Fabrizio Galimberti, Il sole 24 ore 1/3/2009, 1 marzo 2009
I BUONI PROPOSITI DELLA BAD BANK
L’eterno conflitto fra il bene e il male assume molti travestimenti e uno dei più recenti si ripropone nell’improbabile ambito delle banche: la "banca buona" e la "banca cattiva", o bad bank . Eppure, fedele al vecchio detto secondo cui non tutto il male viene per nuocere, la bad bank non è come il lupo cattivo, che azzanna e basta. La bad bank è più una cura che una piaga, e serve a mantenere in vita la banca-madre.
Vediamo allora di rispondere ad alcune domande, e cominciamo dai titoli tossici.
Cosa sono i titoli tossici?
Con tale espressione, sorta in questa disgraziata crisi, si indicano quei titoli che sono stati emessi a fronte di mutui traballanti (i famosi o famigerati mutui subprime). Questi titoli sono "garantiti" dai flussi di pagamenti dei mutuatari ultimi, ma quando molti dei mutuatari non pagano, questi titoli perdono di valore. E perdono di valore anche tanti altri titoli sintetici creati dalla fertile mente degli ingegneri finanziari, come i Cdo (Collateralized bond obligation). Questi Cdo erano stati emessi mettendoci dentro tanti "pezzetti" di prestiti fatti dalle banche, dai mutui per abitazioni a mutui per uffici, a prestiti alle imprese, e anche dei Cdo precedenti. Il problema è che anche se un Cdo aveva dentro solo un pezzetto di mutui subprime, nessuno li vuole più toccare: sono troppo complicati e si rischia l’infezione. Quindi questi titoli hanno perso di valore, sul mercato non c’è possibilità di scambiarli e rimangono nei bilanci delle banche.
Cosa accade con i titoli tossici
Quando la banca fa il bilancio deve attribuire ai propri titoli il valore di mercato. Se questo valore di mercato è sceso molto (come è successo per i titoli tossici), la banca deve registrare una minusvalenza e se questa minusvalenza è massiccia la banca può registrare una perdita tale da intaccare il capitale. Ora, la banca è obbligata dalla regole di vigilanza a mantenere un certo rapporto fra il capitale e il proprio attivo (prestiti e titoli). Se il capitale scende, ci sono due vie: o trova il modo di aumentarlo di nuovo, chiedendo agli investitori di sottoscrivere nuove azioni, oppure deve ridurre i prestiti. Ambedue le vie creano problemi: aumentare il capitale è difficile, dato che la banca è in difficoltà e gli investitori hanno timore a investire. E ridurre i prestiti fa male all’economia, oltre a danneggiare la banca stessa portando a nudo le sue difficoltà. Ci sono due vie per uscire da questa situazione: il capitale può essere aumentato facendo ricorso ai soldi pubblici, oppure (ma le due vie possono anche essere percorse assieme) si può creare una bad bank.
Che cosa è una bad bank
La bad bank è una nuova società che viene creata per togliere d’impiccio la banca. La banca, abbiamo detto, ha in pancia un scomoda quantità di titoli tossici. Anche se lo Stato entrasse nel capitale per salvarla, rimarrebbe sempre una banca zavorrata da questi titoli maleodoranti. Con la bad bank, invece, questi titoli tossici vengono trasferiti a questa nuova società che viene presa in carico dallo Stato; e la banca, non più zavorrata, può riprendere a fare il suo mestiere normale.
La valutazione dei titoli
Come vengono valutati i titoli trasferiti alla bad bank? Questa è in effetti la domanda da un milione di dollari (o, per essere in linea coi tempi, da un trilione). Se questi titoli vengono valutati al valore di mercato, la banca che li cede registra una minusvalenza tale che la può far fallire. Se vengono valutati più del valore di mercato si alzano le proteste di quanti dicono che lo Stato fa un regalo alle banche. Ma quest’ultima soluzione è inevitabile: il mercato in questo caso non funziona, dà una stima esageratamente bassa del valore di questi titoli.
Il futuro dei titoli nella bad bank
Che cosa succederà dei titoli in pancia alla bad bank? In casi analoghi lo Stato nomina un gestore della bad bank che deve liquidare questi titoli, aspettando con pazienza che le condizioni del mercato migliorino e si annulli la dissociazione creata fra il prezzo di mercato e il valore intrinseco dei titoli. Ma naturalmente, tale felice possibilità non è garantita.
Chi paga il conto
Gli esiti di questa gestione della bad bank non sono necessariamente negativi. Nelle crisi delle banche nordiche all’inizio degli anni Novanta solo in Finlandia lo Stato perse inequivocabilmente un sacco di soldi. In Norvegia alla fine, fra bad bank e banche nazionalizzate (che furono poi restituite ai privati) lo Stato ci guadagnò. In Svezia la perdita fu dell’ordine del 2-3% del Pil, ma alcuni analisti hanno calcolato che, con le conseguenze fiscali da ristrutturazione del sistema bancario, alla fine i conti si chiusero con un guadagno. Ma questo tipo di contabilità non riguarda naturalmente il costo vero della crisi, che tocca non tanto le banche e lo Stato quanto il Paese tutto, il reddito e i posti di lavoro persi a causa della recessione innescata da questa finanza sregolata.