paolo Madron, Il sole 24 ore 1/3/2009, 1 marzo 2009
«UN FUTURO IMPEGNO IN FIAT? PERCHE’ NO»
Per ora è rimasto l’ultimo degli Agnelli, l’ultimo che porta il più blasonato cognome dell’industria italiana. Vista dall’esterno, la suggestione è forte. Vista dalla sua parte, probabilmente non ha tutta la valenza simbolica che le si attribuisce. Almeno Andrea Agnelli, 33 anni, figlio di Umberto, consigliere di Fiat ed Exor, sembra pensarla così. E forse ha sempre creduto che fosse meglio proteggersi dall’aura del nome standosene fuori, lontano da Torino. Se cinque anni fa è tornato è perché, morto suo padre, la rappresentanza di quel 10% della Giovanni Agnelli & C, la cassaforte del gruppo, toccava a lui. Senza per questo però tradire la volontà - questo gli aveva sempre suggerito Umberto - di seguire un mestiere in proprio. La holding che ha fondato due anni fa si chiama Lamse, sigla apparentemente misteriosa fino a che non ti spiega che è la crasi tra La Mandria e Sestriere, i luoghi degli affetti e dei ricordi. Ed è negli uffici della Lamse, in piazza Cln, ovvero quella coda architettonicamente stonata della centralissima piazza San Carlo, che l’abbiamo incontrato.
Quanto le pesa essere l’ultimo degli Agnelli?
Da giovane era un motivo di tensione. Poi uno cresce e capisce che portare questo cognome significa avere qualche responsabilità in più per quello che rappresenta.
Lei però è cresciuto lontano da Torino.
Ho passato quattro anni in Philip Morris a occuparmi di comunicazione. La mia idea era quella di restarci fino a diventare general manager, poi avrei deciso cosa fare. Invece la vita ha scelto per me.
A decidere è stata la morte di suo padre.
Il suo consiglio era di restare lontano da Torino, anche perché era difficile essere inserito nello staff di un’azienda di cui sei azionista. Poi, quando è mancato, il senso di responsabilità verso mia madre e mia sorella mi hanno indotto a rientrare.
Una malattia crudele e rapida la sua.
Purtroppo molto rapida, è un male cui pochi di noi si sottraggono. Fu traumatico perché avevo già vissuto la malattia di mio fratello Giovanni. Ti prende un senso di impotenza.
Giovanni era il preferito di Gianni Agnelli, l’erede designato. Al Financial Times rilasciò un’intervista che fece molto arrabbiare Romiti dove criticava i patti di sindacato.
Giovanni aveva le qualità per assumere un ruolo di leadership. Aveva opinioni forti che non nascondeva. Ma nostro padre ci ha educato così. Uno dice cosa pensa e se ne discute. E poi si condividono le decisioni del gruppo.
Si diceva che molte delle informazioni che consentivano al Financial Times di scrivere articoli non proprio teneri sulla Fiat arrivassero da Giovanni.
Non lo so, e lo dubito in quanto lui era uso esprimere le sue opinioni apertamente. Io ricordo solo che mio zio Gianni diceva che il Financial Times era il miglior giornale al mondo, e che per questo gli dispiaceva di doverlo querelare.
Suo padre è stato presidente della Fiat per un anno.
Sedici mesi per l’esattezza.
Pochissimo, ma abbastanza per azzeccare la scelta di Marchionne.
Un giorno mi chiamò a Ginevra e mi disse: «Vallo a trovare perché ti accorgerai che è un manager molto bravo». Allora lui era solo consigliere d’amministrazione della Fiat. Ci incontrammo un paio di volte a cena sul lago Lemano.
E di cosa parlavate?
Gli chiedevo consigli sul mio futuro lavorativo, e poi naturalmente di Fiat.
Il suo rientro a Torino fece rumore. Fu in coincidenza di una sua famosa intervista al Foglio dove diceva che non sarebbe stato uno scandalo avere una Fiat meno familiare e più bancaria.
Si ragionava su quale fosse il modo migliore per garantire la sostenibilità dell’Auto. Allora non mi sembrava un dramma una Fiat meno familiare e più bancaria, del resto anche oggi il ruolo della famiglia potrebbe ridimensionarsi per effetto del consolidamento.
John Elkann la pensa come lei. In questo le giovani generazioni sono più laiche.
John pensa che il criterio su cui misurare la bontà degli investimenti di Exor, da cui Fiat dipende, è il Nav. Siamo laici, nel senso che si valutano le opportunità senza dimenticare il nostro ruolo di azionisti storici.
Se il signor Buffett o i libici che oggi vanno tanto di moda si presentassero con un pingue assegno per comprarsi il Lingotto?
Siamo nella fantasia, ma detto questo valuteremmo le loro offerte.
Le fa specie, guardando la Borsa, che in pochi mesi Fiat sia passata da 24 a 3,5 euro?
Ragionare sulla capitalizzazione di Borsa ha poco senso, almeno in una prospettiva storica. Ma mi colpisce il paradosso.
Quale?
Che il 2008, ovvero l’anno del miglior bilancio di sempre, coincida con l’inizio di una crisi drammatica.
Di qui la decisione di sposarvi, anche accettando di rimanere in minoranza.
una delle opzioni. Le proposte le studia Marchionne che ha le deleghe e la nostra totale fiducia.
Mai avuto la tentazione di vendere le sue azioni della Giovanni Agnelli & C.?
Mai, tant’è che all’ultimo prestito obbligazionario abbiamo acquistato tutta la nostra quota e anche qualcosa di più.
Lei non ha mai contestato la linea di comando decisa a suo tempo dall’Avvocato?
Quando mancò mio padre, i soci della Giovanni Agnelli & C. si riunirono per indicare il presidente della Fiat e quello dell’accomandita. Sul primo, Gabetti propose Montezemolo che passò all’unanimità, così come la nomina di Gabetti a presidente dell’accomandita su proposta di mio cugino John.
E per chi doveva rappresentare la famiglia in Fiat?
Ci fu un dibattito alla fine del quale sono stato io a indicare John, ovvero colui che ci ha rappresentato dal ’97 in avanti, come la persona più idonea per la vice presidenza.
L’accomandita si allarga man mano che la famiglia cresce. Una fatica tenere tutti uniti...
Siccome è giusto che ognuno segua la sua strada, chi vuole uscire può farlo tranquillamente. E chi resta trova nell’accomandita la miglior garanzia di continuità.
Si ricorda quando la fu Lehman Brothers, proponendo alle banche di rilevare le azioni che derivavano dal convertendo, sembrava volesse scalare la Fiat?
L’episodio causò qualche divergenza di opinione. L’oggetto del contendere era l’effettiva consistenza dell’azione destabilizzante di Lehman.
Lei pensava che non ci fosse?
A differenza di altri, io reputavo quel rischio non così forte. Però poi la decisione fu unanime e procedemmo ad aumentare la quota della famiglia, anche per proteggere il lavoro di Marchionne.
Avete confermato Montezemolo alla presidenza. Nella linea della tradizione, da Valletta a Romiti, meglio avere un presidente esterno alla famiglia.
In questo momento Montezemolo rappresenta il miglior presidente che possiamo esprimere.
D’accordo con chi definisce suo padre un uomo che spesso ha sacrificato le sue idee per mantenere l’unità della famiglia?
Credo ci fosse una complementarietà tra il Dottore e l’Avvocato, una chimica particolare che nasceva da lontano. Mio padre rimase orfano presto e fu suo fratello a fargli da padre. Fu lui a regalargli il primo motorino.
Si vedevano spesso suo padre e suo zio?
Praticamente ogni domenica. Li sentivo parlare in casa mentre fuori io giocavo a pallone.
Da ragazzo avrà tanto sentito parlare dell’antagonismo tra umbertini e romitiani.
Sono state due correnti di pensiero all’interno di una grande azienda. Ma uno è sempre stato un manager e l’altro l’azionista, e fino a prova contraria sono gli azionisti che comandano sui manager.
Ci sono due personaggi di rango che hanno attraversato la storia Fiat: uno, per soli tre mesi, Carlo De Benedetti. L’altro, Romiti, che c’è rimasto per quasi trent’anni.
Quando guardo al passato della Fiat penso solo a Vittorio Valletta. Per il presente e il futuro il riferimento è Marchionne.
Suo padre aveva una concezione più laica della Fiat, la considerava un investimento e non, come l’Avvocato, un affare di cuore.
Le racconto un particolare. Appena arrivato al Lingotto Marchionne mi mostrò un grafico sull’andamento dell’industria automobilistica dal 1970: sono 35 anni che l’industria distrugge valore, al di là dei cicli positivi che però interessano chi fa trading e non l’azionista stabile.
Marchionne non è lì per sempre.
Niente e nessuno è per sempre, anche se lui è lontano dalla pensione.
Per qualcuno la crisi attuale ne ha appannato il tocco magico.
A differenza che in altri casi, stavolta la crisi Fiat non deriva dal prodotto ma dal contesto economico in cui l’azienda si trova a vivere.
E se torna a lavorare in Svizzera?
Adesso è qui e credo qui rimarrà.
Un altro momento di tensione tra lei e la famiglia fu quando, a seguito di Calciopoli, ci fu la rimozione della triade Giraudo, Moggi, Bettega che guidava la Juventus.
All’epoca Ifil scelse di azzerare per poi ripartire. Non condivisi quella scelta, anche perché avevo in mente la dichiarazione che aveva fatto l’Avvocato in occasione di Tangentopoli: «I miei uomini vanno difesi fino all’ultimo grado di giudizio».
Invece nell’occasione l’avvocato della Juventus disse: mi appello alla clemenza della corte...
Esatto. Poi, alla luce dell’esito dei processi sportivi, si vide che fu giustizia sommaria. Tant’è che ci furono persone coinvolte che non fecero nemmeno in tempo a leggere le carte.
D’accordo sul divorzio tra Fiat e Mediobanca?
Sì, perché al di là del legame storico si scelse di privilegiare gli investimenti sul core business, e di mantenere l’editoria. Pensi che siamo anche usciti dal Sestriere, che in fondo è un altro luogo topico nella storia di famiglia.
Un giornale lo comprerebbe oggi?
Certo, l’editoria mi piace molto.
E quelli che intanto compra in edicola?
Financial Times e Wall Street Journal in primis, poi gli altri. Cominciando dalla Gazzetta dello Sport.
A proposito. Sa che sul blog del competitor Tuttosport c’è un Andrea Agnelli fan club che auspica il suo approdo alla Juventus?
In questo momento sono un grande tifoso della Juve e di chi la gestisce, ovvero Cobolli Gigli e Blanc. Si sono dati cinque anni per tornare a vincere, e sono a metà del percorso. Il giudizio lo daremo alla fine.
Ci sarà mai un suo futuro operativo in Fiat?
Oggi ho due obiettivi: far crescere la Lamse e portare la Rayder Cup in Italia.
Con la Bmw come sponsor. Marchionne la bacchetterà...
Le scelte sono del comitato organizzatore. E poi, per tradizione, la Bmw ha sempre sponsorizzato molto il golf.
Torniamo al suo futuro in Fiat.
Se ci saranno delle opportunità perché no? Ma per ora il problema non si pone. John è maturo ed è lui il nostro primus inter pares.
Sbaglio o dopo l’iniziale freddo vi siete riavvicinati?
Vero. Caratterialmente siamo diversi, ma abbiamo imparato a lavorare sulla complementarietà.
A proposito di freddezza. Ha notato quella del Governo e di parte dell’imprenditoria sugli incentivi?
Noi abbiamo solo chiesto un trattamento simmetrico. Il fatto che Oltralpe i singoli Stati siano intervenuti metteva un’industria globale come la Fiat in una situazione di svantaggio competitivo.
Se ci fosse bisogno di un aumento di capitale la famiglia farebbe la sua parte?
Ipotesi della irrealtà, perché non se n’è mai parlato.
L’età non perdona, tant’è che stanno uscendo di scena i grandi consiglieri, anche se Gabetti è sempre in ufficio.
Gabetti conterà sempre, la sua esperienza è un patrimonio prezioso.
Non vi fa paura di restare soli?
C’est la vie. E forse in quel giorno saremo noi protettori e garanti di altri più giovani.
I giovani fanno sempre più fatica, e anche i cinquantenni. Ha visto come è stato spazzato via Veltroni?
Sì, ma la cosa che mi fa più effetto è vedere come l’Italia, a differenza di altri grandi Paesi, non riesca ad avere un bipolarismo reale.
Per chi vota?
Dipende, do un voto disgiunto in base alle persone.
Chiamparino forever?
A Torino ha fatto molto bene, ed è una persona che ha tutta la mia stima.
Qualcuno lo vorrebbe a Roma, anche se nel suo partito molti preferirebbero stesse dov’è.
Mi sembra giusto che abbia la sua chance di crescere.
Per ora l’unico che cresce è Berlusconi.
Sta lavorando bene, anche se si ritrova come nel 2001 a gestire momenti molto difficili. Momenti strani, convulsi, volatili: l’altro giorno pensavo a come in pochi mesi il giudizio su Obama sia già cambiato tre volte.
A voi le banche hanno dato credito, ma per altre aziende il rubinetto stenta ad aprirsi.
Infatti ritengo si debbano rivedere alcuni criteri di Basilea 2 che in questo contesto rendono difficilmente praticabile il ricorso al credito.
Ma lei i suoi soldi oggi dove li metterebbe?
Bella domanda. Li metterei in aziende di media dimensione che presentino innovazioni di prodotto, d’esercizio o di processo produttivo. Le dico solo che come Lamse stiamo trattando l’acquisto di un’azienda che si occupa di energia e una di abbigliamento.
I private equity però non se la passano bene.
Chi ha investito ai prezzi di prima sì, chi ha aspettato è in salute. Noi abbiamo sinergie con il fondo inglese Bluegem gestito da Marco Capello, che è stato per tanti anni responsabile del private equity di Merrill Lynch. Con un punto di riferimento all’estero si lavora molto meglio.
GLI UOMINI GUIDA
Vicepresidente della Fiat dal maggio del 2004
«Sono stato io a indicarlo per la vicepresidenza Fiat. Dopo un inizio freddo abbiamo imparato la complementarietà. In comune abbiamo un’idea laica dell’azienda: criterio è il Nav»
Presidente della Fiat dal maggio del 2004, da poco riconfermato
«Quando mancò mio padre, Gabetti lo propose ai soci e passò all’unanimità. In questo momento rappresenta il miglior presidente che possiamo esprimere»
Amministratore delegato della Fiat dal maggio 2004
Carlo De Benedetti e Romiti? «Quando guardo al passato penso solo a Vittorio Valletta. Per il presente e il futuro il riferimento è soltanto al manager che abbiamo scelto»
I PUNTI DI RIFERIMENTO
A lungo presidente della Fiat morto a Torino nel 2003
«Fu lui a fare da padre a mio padre, fu lui a regalargli il primo motorino. Si vedevano ogni domenica, li sentivo parlare in casa mentre fuori io giocavo a pallone»
Presidente della Fiat dal 2003, scomparso nel maggio del 2004
«Mi ha suggerito di restare lontano da Torino perché era difficile entrare nello staff di un’azienda di cui sei azionista. Lui ha presieduto la Fiat giusto il tempo per scegliere Marchionne»