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 2009  marzo 04 Mercoledì calendario

PER LA PSICHIATRIA L’AMERICA E’ A BRESCIA


Trent’anni fa, quando le dissero che il Pilastrùn andava chiuso, Rosaria affidava ancora Marta e Federica ai suoi mat, perchè allora i bresciani li chiamavano così e perchè le bambine erano troppo piccole per stare a casa da sole. «Tuttavia, non ho mai incontrato un malato di mente realmente pericoloso, se non per se stesso; piuttosto, ho visto migliaia di vite perdute nelle camerate dei vecchi manicomi, prigioni costruite per nascondere chi aveva già delle pesanti sbarre nella sua testa. L’ultimo paziente l’ho mandato a casa nel ”99 - ci racconta - e quasi tutti sono riusciti a integrarsi nelle loro comunità.
Pur con tutte le sue incongruenze, la legge 180/78, che ha imposto la chiusura di quelle strutture, si è dimostrata la strada giusta». Quella che porta ai pilastroni, le antiche porte di Brescia, Rosaria Pioli la percorre tutti i giorni da 32 anni, da quando questo Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico era, appunto, il ’manicomio dei frati’, per distinguerlo da quello pubblico. I Fatebenefratelli sono qui dal 1884. Nel ”96 hanno ottenuto per il centro San Giovanni Di Dio, aderente all’Aris, il riconoscimento di Irccs. Questo non significa solo una collaborazione più stretta con l’Università di Brescia e gli altri centri di ricerca o l’obbligo di condividere i risultati delle ricerche con la psichiatria pubblica, ma anche un finanziamento statale di due milioni di euro all’anno. Si spendono per indagare le basi genetiche delle malattie mentali, testare nuove cure dell’Alzheimer, esplorare i meandri della memoria… «Siamo un istituto privato ma svolgiamo un servizio pubblico da 125 anni - spiega il direttore generale, fra’ Marco Fabello - e abbiamo scelto di impegnarci nella ricerca sulle malattie mentali perché rappresenta la frontiera più avanzata dell’Ospitalità. il nostro carisma, ci rende testimoni di umanizzazione, di solidarietà con i malati di mente, di prossimità». La stessa di cui parlava padre Turoldo: «qui siamo alla prossimità del mistero, molto più di quanto immaginiamo»; la stessa che condusse San Giovanni Di Dio, il fondatore dell’Ordine dei Fatebenefratelli, a riconoscere, come ricorda fra’ Marco, che il malato psichico deve «godere degli stessi diritti delle persone per bene». Non era poca cosa, per il 1537. La lettura della malattia e della vita è rimasta la stessa, inconfondibilmente cristiana e senza complessi. Anzi, nel mondo della psichiatria la figura imponente di questo frate dal saio nero è sinonimo di un’eccellenza talmente aperta da avere accreditato la valenza terapeutica della religione: «per i nostri infermieri e per i nostri medici ­spiega da anni il religioso - un musulmano e un buddhista ammalati non sono ’stranieri’ ma uomini che si ammalano, soffrono, si curano, vivono o muoiono da musulmano e da buddhista». E accedono ogni giorno all’area ospedaliera del centro con la prescrizione del medico curante. I ricoveri, infatti, sono a carico del servizio sanitario nazionale e per le visite specialistiche si paga solo il ticket: per un caso di sospetto Alzheimer fanno, al massimo, 22,51 euro e solo chi vuole scegliere da quale medico essere visitato deve sborsare di più, fino a 130 euro. La convenzione con la Regione Lombardia copre il 100% per cento del bilancio con un finanziamento di oltre sedici milioni. Insomma, non c’è nessun dubbio circa la natura pubblica del servizio offerto dal Pilastrùn, che i bresciani continuano a chiamare così, anche se non è più un manicomio e tutt’intorno è cresciuta la città, con i suoi bar e i suoi supermercati.
Anzi, è normale incrociare i pazienti dell’istituto tra gli scaffali della Coop, mentre fanno la spesa, e gli abitanti del quartiere rivelano, secondo una recente indagine, un indice di paura del malato mentale sensibilmente più basso della media cittadina. Neanche la tragedia del 2007, quando un paziente fu ucciso a coltellate da un altro ospite dell’istituto, ha incrinato negli specialisti la convinzione che la riabilitazione sia possibile e che il contributo delle persone «normali» sia determinante. «La prima patologia da curare è lo stigma - commenta Giuseppe Rossi, primario della comunità in cui sono ricoverati i pazienti ’residenziali’ - . Il disabile psichiatrico non è quasi mai pericoloso e quando lo diventa non avviene mai improvvisamente, eppure è circondato dal pregiudizio sociale, da un’autentica paura che si trasforma in esclusione sociale.
Questo è lo stigma che si riflette negativamente sull’autostima del paziente e dei suoi: una conseguenza che, nel caso della schizofrenia, secondo uno studio internazionale colpisce una famiglia su quattro». Rossi, professionalmente parlando, è nato qui: «Sono arrivato prima della laurea - ricorda - e la mia fortuna è stata una collaborazione tra l’istituto e l’Università di Boston». Gli americani hanno lasciato il segno al Pilastrùn:
parlavano il linguaggio del coinvolgimento del malato e scommettevano sulla riabilitazione, esortavano a lavorare con i care giver, a partire dai famigliari. Il connubio con il personalismo cristiano fu spontaneo e Rossi ne divenne il testimone. Le sue scale di valutazione psichica oggi sono adottate anche Oltre Oceano. «Noi non usiamo neanche il termine schizofrenia» puntualizza il primario, che ricorre alla musica per sottrarre i suoi pazienti alla morsa delle allucinazioni e alla pittura per abbattere i muri del loro delirio. Rossi si inserisce in un percorso di emancipazione del malato mentale avviato nel 1911 con il superamento del concetto di
dementia praecox, che inchiodava il disabile alla nemesi di quell’aggettivo, in cui era sottintesa l’evoluzione funesta della malattia.
«Invece un terzo dei casi recupera, se adeguatamente trattato» avvisa lo psichiatra. I Fatebenefratelli ci credono e mettono a disposizione tutto il necessario: «Ogni paziente può essere sottoposto a diagnosi e terapie tradizionali oppure entrare in un protocollo sperimentale.
Patologie complesse come l’Alzheimer debbono essere affrontate con strumenti sofisticati. Qui ci sono; tuttavia il malato viene sottoposto alla sperimentazione ­sottolinea Carlo Miniussi primario di neurofisiologia - solo previo consenso informato». Miniussi insegna all’Università di Brescia, come Massimo Gennarelli, primario di genetica. Il primo cura l’Alzheimer con la stimolazione magnetica transcranica, una tecnica molto avanzata che stimola le aree cerebrali deficitarie con un campo elettromagnetico. Il secondo, oltre a organizzare la banca dei fibroblasti, che è una piccola fabbrica di cellule staminali, studia nuovi dosaggi per i farmaci in base alle predisposizioni genetiche della depressione, delle sindromi bipolari, della schizofrenia… Trent’anni non sono passati invano.