Giampaolo Pansa, Il Riformista 04/03/2009, 4 marzo 2009
Giampaolo Pansa per "Il Riformista" inutile cercare un retroscena canaglia nella crisi dell’Unità
Giampaolo Pansa per "Il Riformista" inutile cercare un retroscena canaglia nella crisi dell’Unità. Tutto è chiaro, nei limiti del romanzo giallo. I grandi racconti polizieschi ti mettevano sotto gli occhi i possibili colpevoli di un delitto. Ma sino all’ultima pagina non lasciavano capire chi, tra i sospettati, fosse quello giusto. Anche in questo caso gli indiziati sono tre. Il primo è l’ex leader del Partito democratico, Walter Veltroni. Il secondo è l’attuale padrone del giornale, Renato Soru. Il terzo, non sorprendetevi, è la Repubblica di Ezio Mauro. Sul primo indiziato si conosce quasi tutto. A cominciare dalla conclusione della sua avventura politica. Il Perdente di Successo ormai è uscito di scena dopo uno tsunami di sconfitte elettorali. Ma era stato lui il padrino dell’ultima rinascita dell’Unità. A cominciare dalla scelta del direttore, Concita De Gregorio. Veltroni l’aveva fermamente voluta, soprattutto perchè era una donna e per di più bella, elegante, spigliata. Non pensate subito che il sottoscritto sia un vecchio maschio che ritiene certi mestieri adatti più al suo genere che a quello femminile. Anche il grande Corriere della sera, un giorno, forse sarà guidato da una signora provvista di un superbo lato B, per citare un mantra delle attuali sfilate di moda: "L’eros colpisce di spalle". Ma dirigere un quotidiano mi sembra ancora un mestiere per ruvidi maschiacci. Capaci, al momento giusto, di rovesciare le scrivanie. E di fare il braccio di ferro con il più tirchio degli editori. Ma nel suo breve regno, Walter voleva stupire anche nei dettagli. Per questo suggerì l’avvento di Concita. La bionda inviata di Repubblica non aveva mai diretto nulla. Dal punto di vista professionale, era una single di qualità, però niente di più. Ammetto che rimasi colpito quando si disse di lei: una donna che ha allevato un plotoncino di figli è capace di tutto. Era uno slogan giusto, dal punto di vista umano. Ma purtroppo inadatto sul campo di battaglia della carta stampata. Al posto di Concita, oggi non sarei grata a Veltroni. Il suo gusto per l’effimero ha messo nei guai anche la nostra collega. E quando dico effimero intendo la noncuranza per l’esperienza professionale di un candidato. Legata al mancato accertamento della sua capacità di guidare una squadra verso un traguardo irraggiungibile: rianimare un vecchio foglio di partito e farne un giornale adatto a questo tempo da lupi. Allo scopo non potevano bastare gli scatti di Oliviero Toscani sull’Unità in jeans. Mostravano una minigonna che fasciavano un bel fondoschiena, quello della direttora. Nient’altro. Oggi Veltroni non conta nulla. Dunque possiamo al secondo indiziato: Soru, il padrone dell’Unità. La vecchia proprietà era stata felice di venderla all’Uomo di Tiscali perché, diceva lui, «aveva Gramsci nel cuore». Il fondatore del Pci si sarà rivoltato nella tomba. Infatti Soru ha applicato al quotidiano diretto da Concita la stessa regola che Enrico Mattei, il grande capo dell’Eni, applicava ai partiti. Mattei ringhiava: «Per me i partiti politici sono come i taxi: servono per una corsa, li paghi e scendi». La stessa cosa ha fatto Soru con il giornale ex-Pci. In vista del voto regionale in Sardegna, e nella convinzione di vincere, si è comprato la testata per accreditarsi presso Veltroni. Un accredito costato molto caro, soprattutto per quel che sarebbe avvenuto pochi mesi dopo. Mesi orribili, di tragedia politica e finanziaria. Segnata da tre eventi che non erano stati messi in conto. La sconfitta elettorale di mr. Tiscali. La fuga di Veltroni dal mattatoio del Pd. Infine l’obbligo di ripianare il passivo dell’Unità con un altro assegno milionario. Obbligo che, fino a oggi, Soru si è ben guardato dall’onorare. Che cosa dice il nostro romanzo giallo? Dice che, se l’Unità dovesse morire, di certo l’assassino non potrebbe che essere lui. Il vecchio Sherlock Holmes esclamerebbe: «Elementare, Watson». Ma l’astuto poliziotto indicherebbe sullo sfondo anche un altro indiziato: la Repubblica di Ezio Mauro. Qualcuno osserverà: che cosa c’entra, in questo giallo, il giornale di largo Fochetti? C’entra, e come se c’entra! Non per un intervento diretto sulla scena del crimine, bensì per una circostanza esterna. Non voluta né dal direttore né dall’editore repubblicani. La circostanza è che la squadra dell’Unità ha fatto un giornale rivolto allo stesso lettorato di Repubblica. Come ha spiegato Andrea Romano sul Riformista, il quotidiano di Mauro è l’unico vero giornale di partito rimasto in Italia. Un giornale pensato e prodotto per un pubblico di sinistra, e di quello più convinto. Un pubblico che vuole essere confortato nella propria fede, che non ama farsi domande, che rifiuta i dubbi, che vuole essere incitato a credere e a combattere. Lascio perdere l’obbedire perché l’obbedienza non è più una virtù. Riassumendo, la buonanima Veltroni, lo sconfitto Soru e la sfortunata De Gregorio sono inciampati nell’errore della loro vita. Quello di mettere sul mercato un sottoprodotto di Repubblica. Meno potente, meno ricco, meno astuto dell’originale. E questo in un’epoca di vacche magre per la carta stampata. Quando a contare, si spera, sono la diversità, la snellezza, l’agilità e la disinvoltura. Qualità che Eugenio Scalfari definiva con un’immagine indimenticabile: il giornale libertino. Vorrei sbagliarmi, ma l’avventura del foglio creato dal sardo Gramsci, e distrutto dal sardo Soru, rischia di finire male. Ce ne dispiace molto. Chi fa il giornalista non può che dolersi delle sfortune di una testata. Dunque, viva l’Unità! E le colleghe e i colleghi che sino a oggi l’hanno fatta vivere. Insieme a loro, accendiamo un cero davanti al ritratto di san Dario da Ferrara. Ma nessuno può dire se Franceschini avrà la forza, e i soldi, per accollarsi quest’altro miracolo.