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 2009  marzo 05 Giovedì calendario

Prima di Eluana Englaro, l’americana Terri Schiavo. Terri Schiavo è morta al Pinellas Park Hospice il 31 marzo 2005

Prima di Eluana Englaro, l’americana Terri Schiavo. Terri Schiavo è morta al Pinellas Park Hospice il 31 marzo 2005. Sul suo corpo, immobilizzato a letto e privo di coscienza, si combatte per 15 anni una delle più drammatiche battaglie legali, scientifiche, filosofiche della storia americana. Una battaglia che ha come posta in gioco la definizione di vita e di morte, il ruolo della religione nella vita pubblica, l’intervento dello Stato nelle scelte dell’individuo. Nel 1993, di fronte all’insuccesso di qualsiasi terapia riabilitativa, si fa strada nel marito la volontà di lasciare morire Terri. Nel maggio 1998 Michael Schiavo chiede a un tribunale che vengano rimossi i tubi che alimentano e idratano il corpo della moglie. Una sentenza del 2000, confermata in Corte d’Appello, gli dà ragione. Terri si trova in uno stato ”vegetativo persistente”, senza alcuna possibilità di recupero. La sua volontà, presunta, sarebbe ”quella di non essere tenuta in vita da una macchina”. A questo punto scendono in campo gli Schindler, i genitori di Terri. La ragazza – è la loro tesi – era una cattolica devota, che non avrebbe mai voluto violare gli insegnamenti della Chiesta in tema di vita ed eutanasia. Per anni si rincorrono sentenze, appelli, esami per determinare il grado di coscienza della donna. Per due volte i tubi che alimentano Terri vengono rimossi, per due volte vengono reinseriti. Mentre deliberazioni dei tribunali e opinioni mediche vanno tutte in un senso – il ”diritto” di Terri di morire – si mobilitano gruppi cristiani, agenzie governative, i repubblicani del Congresso, che cercano di sottrarre il corpo di Terri Schiavo alla tutela del marito e dei medici che l’hanno in cura. Senza risultato. I tubi vengono staccati per la terza volta il 10 marzo 2005. Tredici giorni dopo arriva la morte. L’autopsia mostra che il cervello di Terri pesa, al momento del decesso, 615 grammi, la metà rispetto a quanto considerato normale in una donna di quell’età, peso, altezza. Sono severamente danneggiati corteccia cerebrale, talamo, gangli della base, ippocampo e mesencefalo. Il danno, conclude l’autopsia, è ”irreversibile, e nessuna terapia o trattamento avrebbe mai rigenerato la massiccia perdita di neuroni”.