Eugenio Occorsio, Affari & Finanza (Repubblica) 02/03/2009, 2 marzo 2009
L’Iri di Obama comincia da Citigroup Repubblica – 02 marzo 2009 AFFARI FINANZA Dieci anni fa Ben Bernanke era un tranquillo docente di Princeton, appassionato della Grande Depressione
L’Iri di Obama comincia da Citigroup Repubblica – 02 marzo 2009 AFFARI FINANZA Dieci anni fa Ben Bernanke era un tranquillo docente di Princeton, appassionato della Grande Depressione. Nelle sue ricerche incontrò Beniamino Quintieri, economista di Tor Vergata che studiava lo stesso periodo. Verificando le risposte alla crisi nei vari paesi, Bernanke si dimostrò interessato alla nazionalizzazione delle banche italiane del 1933 con la nascita dell’ Iri. «Chissà se in America ci sarà mai bisogno di un intervento del genere», sospirò. Tornato in sede, spedì una lettera di ringraziamenti per la collaborazione che Quintieri custodisce gelosamente. Oggi, diventato presidente della Fed, gestisce non senza imbarazzi la nazionalizzazione delle banche Usa.«Ma nazionalizzazione è una parolaccia?», chiedeva venerdì scorso l’ intervistatrice del Cnn a Jeffrey Sachs, economista della Columbia University. E lui un po’ intimidito: «Beh, l’ importante è che sia un intervento temporaneo...». E Allen Sinai, che forse la mette un po’ sul personale perché anni fa era a capo della Lehman Brothers che ora è stata lasciata fallire, insiste: «Qual è l’ alternativa? Sono istituzioni troppo grandi per fallire, devono essere messe in condizione di fare da motore della ripresa». Così, si parte. Obama ha creato una riserva speciale di 250 miliardi di dollari nel budget 2009, oltre alle centinaia di miliardi già impegnate nell’ operazionesalvataggio. Giovedì, senza neanche aspettare il risultato della due diligence ordinata appena due giorni prima sulle 19 maggiori banche (qui lo chiamano stress test), ha annunciato che Citigroup convertirà i primi 25 miliardi di dollari di azioni privilegiate sui 45 miliardi che il governo ha comprato con i fondi Tarp in novembre, in azioni ordinarie: ciò porta gli Stati Uniti a possedere il 40% del capitale della maggior banca mondiale, 200 milioni di clienti in 140 paesi e 18,7 miliardi di dollari di perdita 2008 più i 3,7 persi nel 2007. La quota pubblica è otto volte più grande della maggior quota privata, che appartiene al principe AlWaleed, e questo dice chi prenderà le decisioni da oggi in poi. Il mercato peraltro ha accolto malissimo la seminazionalizzazione, e venerdì il titolo è crollato del 30% alle prime battute: le azioni ordinarie in cui sono state convertite quelle privilegiate originariamente acquisite sono più rischiose né danno dividendo, il che significa aver rinunciato già in partenza a 2 miliardi di dollari. Un intervento analogo è comunque nell’ aria per Bank of America, seconda in classifica, che è riuscita miracolosamente a chiudere l’ anno in attivo per 8 miliardi (ma nel quarto trimestre ha perso 1,8 miliardi) ma è altrettanto esposta verso lo Stato: i fondi Tarp sono intervenuti per 20 miliardi, più 18 miliardi in garanzie sull’ attivo e quasi 30 per il salvataggio di Merrill Lynch. C’ è qui un ulteriore elemento di urgenza: l’ integrazione con Merrill si sta rivelando catastrofica, e lo Stato, visto che ci ha messo un sacco di soldi, vuole intervenire direttamente per sanare i problemi. Ecco perché le due maggiori banche d’ America e del mondo stanno passando in mani pubbliche. Chiamarle "banche" è riduttivo perché sono veri e propri centri di potere finanziario, e per questo dichiarati ufficialmente too big to fail: sono primary dealer dei Buoni del tesoro americani (sono quelli cioè che fanno il prezzo) e poi assicuratori, broker, finanziatori, banchieri d’ investimento e quant’ altro è reso possibile dalla totale deregulation di cui hanno goduto fin dalla metà degli anni ’ 80 e che poi è stata anche la loro condanna. Due colossi con un destino parallelo: fondate rispettivamente nel 1812 come City Bank of New York e nel 1904 a San Francisco dall’ italiano Amedeo Giannini con il nome di Bank of Italy, "Citi" e BankAmerica hanno conosciuto entrambe un importante sviluppo nel 1929 (pessimo anno, ma succedeva nei primi mesi mentre la crisi scoppiò in ottobre): la prima in quell’ anno diventò la maggiore banca commerciale del mondo grazie all’ acquisizione della International Banking Corporation che le permise di superare il miliardo di dollari di asset, la seconda nei primi mesi del ’ 29 assunse l’ attuale denominazione. Sempre con la regia di Giannini aveva acquisito la Bank of Los Angeles: l’ intraprendente figlio di emigranti divenne presidente e il capo della banca acquisita, Orra Monnette, acquisì la copresidenza. Giannini, i cui genitori venivano da Genova, si ritirò poi nel 1945 e morì nel 1949 a 79 anni. Le similitudini fra le due banche non finiscono qui, e le altre non sono coincidenze ma rispondono allo stesso disegno di acquisire quante più attività possibile appena le legislazioni lo permettevano. All’ inizio degli anni ’ 60 si gettarono contemporaneamente nel nascente business delle carte di credito: la Citigroup (che allora si chiamava Citibank) creò il First National City Charge che poi diventò MasterCard, la banca californiana rispose con la BankAmericard, che nel 1975 cambiò il nome in Visa. Ancora mosse parallele: per anni i due colossi avevano dovuto vivere l’ imbarazzo di non poter operare direttamente al di fuori del loro stato d’ origine (una disposizione della legge bancaria del 1936), ma quando negli anni ’ 90 la deregolamentazione trasformò la finanza in un FarWest, le due banche in tutta fretta assunsero la titolarità piena delle centinaia di filiazioni extrastatali, e poi si gettarono nell’ operazione più ambiziosa, la bancassurance. La Bank of America acquisì la Transamerica, proprietaria del grattacielo a piramide che è uno dei simboli di San Francisco, visto in centinaia di telefilm (anche qui c’ è una rivalità diretta perché il Citigroup Center è uno dei grattacieli più celebri di Manhattan), e la Citibank rispose rilevando nel 1998 in un colpo solo l’ assicuratrice Travelers, e le blasonate finanziarie Salomon Brothers e Smith Barney. Un megamerger da 90 miliardi di dollari per festeggiare il quale la banca si ridenominò Citigroup e che portò sul podio della conglomerata Sandy Weill, che arrivò insieme alla Travelers che era di sua proprietà. Un podio ha però tre gradini: sugli altri due sedevano John Reed, un tranquillo manager di lunghissimo corso, e Robert Rubin che poi doveva intraprendere una fortunata carriera politica e già allora era il più visibile di tutti. I tre coCeo si fecero una guerra spietata che finì due anni dopo con la vittoria a tutto campo di Weill, che diventò così il banchiere più potente, più volitivo e anche, sul finire (lasciò nel 2007), più controverso del pianeta. Anche in casa Bank of America non è che le cose fossero molto tranquille. Per tutti gli anni ’ 90, quelli della deregulation, e anche dopo, continuò la girandola delle acquisizioni. Nel ’ 94 la banca rilevò la Continental Illinois di Chicago, che era fallita per una serie di speculazioni sballate sul petrolio ed era stata salvata e temporaneamente acquisita dalle autorità federali (un altro omen interessante). Dell’ ottobre 1998 è invece la fusione con la NationsBank di Charlotte, North Carolina, un’ operazione da 87 miliardi di dollari. E del 2004 l’ acquisizione della FleetBoston (che era la settima banca d’ America) per 47 miliardi di dollari. Non è finita: all’ inizio del 2006, la Bank of America ha acquisito il gigante delle carte di credito Mbna per 35 miliardi in cash e azioni. Poi, quando credeva di essere ancora abbastanza forte da bypassare il disastro dei subprime, ha comprato all’ inizio del 2008 per 4 miliardi di dollari la Countrywide che nei mutui aveva il core business (ha ancora in corso un complicatissimo taglio occupazionale da 7.500 dipendenti). Ma soprattutto il 16 settembre 2008, il giorno dopo il fallimento della Lehman Brothers, ha rilevato la Merrill Lynch, una delle maggiori banche d’ investimenti del mondo resa però uno straccio dallo tsunami finanziario, per 30 miliardi di dollari forniti pronta cassa dal governo. Un’ operazione, quest’ ultima, che si rivelerà esiziale per la banca. Nulla è andato bene: lo stock ha continuato a sgretolarsi, ed oggi vale circa 3 dollari contro i 50 di un anno fa. In un mare di guai si è poi infilato John Thain, exCeo della Merrill: dapprima è stato licenziato dalla Bank of America, che inizialmente gli aveva promesso un posto di vertice ma poi si è innervosita perché credeva di fare il capo in casa d’ altri e aveva garantito 4 miliardi di bonus ai suoi fedelissimi. Infine il 19 febbraio il procuratore di New York, Andrew Cuomo, il figlio del celebre exgovernatore, ha inviato avvisi di garanzia sia a Thain che all’ amministratore delegato di BankAmerica, Kenneth Lewis, per irregolarità sempre connesse con la politica dei premi ma soprattutto per la volontà di nascondere il vero stato (comatoso) delle finanze. E ora? Che sarà di questi due mammut gravemente ammalati? Come si comporterà lo stato</->azionista? Il vecchio saggio Paul Volcker, messo non a caso da Obama a capo della commissione consultiva sulle banche in diretta contrapposizione con Bernanke, si è limitato a dire: «Qui cambierà tutto». A partire dalla linea di comando. - EUGENIO OCCORSIO