Alessandro Barbera, la Stampa 03/03/2009, 3 marzo 2009
Gli ultimi quindici anni hanno insegnato a Silvio Berlusconi che l’argomento va trattato con i guanti di velluto
Gli ultimi quindici anni hanno insegnato a Silvio Berlusconi che l’argomento va trattato con i guanti di velluto. Non a caso, e non da ieri, l’ordine di scuderia ai ministri impegnati nel dossier - Giulio Tremonti, Maurizio Sacconi e Renato Brunetta - è «massima cautela». «L’argomento pensioni non è all’ordine del giorno», ribadisce da «Porta a Porta» il ministro del Welfare. «In un momento di crisi non si aggiunge insicurezza ad insicurezza. L’unica cosa di cui discutiamo è l’equiparazione fra uomini e donne nel pubblico impiego». Di tutte le ipotesi sul tavolo, è la più concreta, anche perché imposta da una sentenza europea. C’è pronta una bozza - piuttosto soft - che prevede l’innalzamento graduale del pensionamento delle donne da 60 a 65 anni: un anno ogni due a partire dal gennaio 2010, per essere a regime nel 2018. Di ipotesi più drastiche, al riparo dai riflettori, il governo ne ha fatte diverse. Dal blocco delle finestre di anzianità per un anno - solo questa soluzione vale almeno un miliardo di euro - fino alla parziale revisione degli «scalini» voluti dal governo Prodi. Finora ha però prevalso la cautela e l’urgenza di affrontare la crisi. Soprattutto per Giulio Tremonti, il problema non è tanto il se, ma il come e quando procedere con una simile riforma: procedere subito può guastare gli umori in vista delle prossime consultazioni elettorali. Viceversa, prendere tempo può costare al governo una rivolta dei precari e una caduta di immagine. Resta il fatto che nella maggioranza sono sempre di più quelli convinti della urgenza di reperire in questo modo nuove risorse. Una riforma che - ricorda malizioso il portavoce di Forza Italia Daniele Capezzone - «farebbe giustizia dei dieci miliardi buttati da Prodi per mandare in pensione i 58enni». Proprio ieri, alla proposta avanzata da Enrico Letta di coprire una riforma degli ammortizzatori sociali con una riforma delle pensioni tutti i capigruppo della maggioranza si sono detti favorevoli: «Proposta interessante», hanno detto Fabrizio Cicchitto e Gaetano Quagliariello. «Se ne può parlare» anche per Italo Bocchino e Maurizio Gasparri. «Tremonti e Berlusconi stanno capendo che l’opinione pubblica ha cambiato orientamento», dice Giuliano Cazzola, deputato Pdl e pasdaran di una riforma di tutto il sistema previdenziale. Di certo, se il governo decidesse di discuterne, avrebbe il pieno appoggio dell’Udc di Pierferdinando Casini - il primo a proporla - ma soprattutto di Confindustria e di Emma Marcegaglia la quale, non a caso, ieri ha definito «monca» la proposta di Franceschini. «L’assegno unico per i disoccupati avrebbe senso solo se accompagnato dalla riforma delle pensioni». In teoria, con un simile fronte a favore, nulla vieterebbe al governo di procedere spedito. Ma, a parte la cautela dovuta dalla crisi cui accenna Sacconi, Berlusconi e i suoi ministri temono di alienarsi il sostegno che in questa fase gli garantiscono Cisl, Uil e Ugl. «Se si fa qualcosa, i soldi devono restare ai pensionati», avverte il leader Cisl Raffaele Bonanni. Temono inoltre le divisioni nel Pd: «Letta parla solo per sé stesso», sintetizza Cazzola. «Se il governo procedesse una parte del partito sarebbe ben felice di vedere la Cgil in piazza». E in effetti, né Dario Franceschini né tantomeno Pierluigi Bersani ieri hanno accennato al tema pensioni. «Berlusconi deve venirci a dire no in Parlamento», dice il leader Pd riferendosi solo alla sua proposta sull’assegno per i disoccupati. «Franceschini non ha nessuna intenzione di mettersi contro la Cgil», nota malizioso un esponente di punta del partito che chiede l’anonimato proprio mentre Guglielmo Epifani si dice «costernato» per la proposta di Letta. Domani, a Palazzo Chigi, sono attese tutte le parti sociali per parlare dei nuovi interventi allo studio del governo, fra cui un «maxi-fondo» a favore delle imprese. Le pensioni saranno il convitato di pietra.