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 2009  marzo 03 Martedì calendario

L’export verso i Paesi dell’est Europa vale da solo il 12% della bilancia commerciale italiana. Aggiungendo gli ex Paesi Urss, la quota raggiunge il 22%

L’export verso i Paesi dell’est Europa vale da solo il 12% della bilancia commerciale italiana. Aggiungendo gli ex Paesi Urss, la quota raggiunge il 22%. All’incirca 14 miliardi di euro, che, con il crollo dei sistemi finanziari d’oltre cortina, sarebbe messo immediatamente in discussione. Con grave perdita per l’economia italiana. Il no del presidente tedesco Angela Merkel alla creazione di eurobond ha principalmente una natura tecnico-finanziaria - i tassi tedeschi risulterebbero svantaggiosi - ma dovrà trovare una soluzione di natura industriale e commerciale. L’indotto A rischio non è solo una fetta di export con il relativo indotto italiano, ma le joint venture italiane su terreno straniero.Spesso utilizzate come testa di ponte verso i mercati del far east, la Turchia e in alcuni casi i Blacani. Le sedi di aziende italiane delocalizzate a est sono appese al sottile filo degli asset tossici delle banche locali (o degli istituti italiani che negli ultimi anni hanno acquisito filiali del posto) tanto quanto le imprese nazionali. Abbandonare i Paesi oltre cortina al loro destino significa dimenticare una grossa fetta di Made in Italy. «Nell’area dei Paesi della Nuova Europa, fino a Ucraina, Russia, Kazakistan», spiega il sottosegretario al commercio estero Adolfo Urso, «operano oltre 35mila imprese italiane, di cui 18mila solo in Romania, con un export che ancora a fine 2008 è cresciuto con il ritmo del 20%. Di molti di questi Paesi siamo il primo partner commerciale con il nostro sistema bancario che ha supportato la crescita delle aziende che non pensano minimamente di tornare indietro, semmai di spingersi ancora più a Est. Anche perchè dobbiamo essere consapevoli che ogni eventuale ritirata da quei Paesi costerebbe immensamente di più al nostro sistema d’imprese penalizzando proprio le aziende più competitive che hanno scommesso sull’internazionalizzazione». Per fare un esempio su un Paese appena al di là del confine, l’Ucraina, nei primi 11 mesi del 2008 le esportazioni italiane hanno toccato i 2,2 miliardi (+24.69% gen-nov 2007), mentre le importazioni hanno di poco superato la cifra di 2,3 miliardi. In tal senso Kiev è confermato come uno dei più interessanti mercati per le imprese italiane, in particolare per quelle del settore del mobile. Il mercato dell’arredamento è caratterizzato, nonostante l’attuale crisi economica e finanziaria, da un forte dinamismo e da una costante crescita che ha raggiunto un tasso annuale del 25%. Nonostante si preveda un rallentamento legato alla liquidità, l’Ucraina nel 2009 rimarrà uno mercato tra i più promettenti del mondo con una crescita del 15%. Il caso Ucraina «Le prospettive di rafforzamento e di espansione da parte dei produttori italiani di mobili, soprattutto di gamma alta, sono considerate decisamente incoraggianti. Il trend del mobile tradizionale resta positivo», conclude Urso, «l’Europa dovrà far di tutto affinchè un tale bacino faccia default». Al contario le stime 2009 sulle vendite dei mobili per la casa (+50%) e per l’arredo d’ufficio (+25%) dovranno essere drasticamente riviste al ribasso con effetto diretto sui bilanci delle imprese italiane. A Bruxelles, dunque, è in gioco qualcosa che va assai al di là delle comprensibili preoccupazioni della Francia per la salvaguardia e l’intangibilità delle proprie industrie e dei propri mercati del lavoro. Una parte dei popoli e dei governanti dell’Est, con le loro colpe e ingenuità, rimproverano all’Ovest di voler erigere una nuova «cortina di ferro» protezionistica al posto di quella ideologica caduta nel 1989. Il presidente della Repubblica Ceca, di vocazione euroscettica, ha puntato il dito sostenendo che la nave europea, sballottata qua e là dalla tempesta dei mercati internazionali, vorrebbe evitare il naufragio gettando a mare «la zavorra dei Paesi ex comunisti». Se quest’analisi è giustamente indirizzata alla Francia. Non lo è assolutamente per l’Italia, per cui l’est Europa rimarrà sempre una dinamo importante. E tanto meno per Svezia, Austria e soprattutto Germania ancora più esposte oltre cortina.