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 2009  marzo 03 Martedì calendario

BERTINOTTI COME OBAMA: ANCHE I RICCHI PIANGANO

La lettura di un editoriale del Wall Street Journal (27 febbraio) mi ha procurato una spiacevolissima sensazione, quella di essere tornato a quegli infausti diciotto mesi di follia prodiana che tanto danno hanno arrecato all’Italia. Come i lettori ricordano, quel periodo di demenzialità fu caratterizzato agli esordi da un manifesto di Rifondazione Comunista che recitava: ”anche i ricchi piangano”. Subito dopo il governo presentò una finanziaria che contraddiceva sia i bellicosi propositi ultracomunisti di tassare i ricchi sia la promessa di Prodi in campagna elettorale che le tasse sul ceto medio non sarebbero aumentate. Quella manovra, infatti, si asteneva completamente dall’aumentare gli oneri tributari gravanti sui benestanti, tartassando invece senza pietà le classi medie e medio-basse.

Quest’incubo ad occhi aperti mi è stato provocato dall’apprendere che il presidente Obama si ripromette di finanziare i suoi faraonici programmi abolendo le detrazioni di cui godono il 2% dei contribuenti più ricchi e non aumentando di un solo centesimo le tasse a quanti hanno un reddito pari o inferiore ai 250.000 dollari. I numeri, purtroppo, dimostrano inconfutabilmente che queste due asserzioni sono politiche, cioè false perché impossibili.

Intervistato da Alessandra Farkas sul Corriere Daniel Henninger, vice direttore delle pagine degli editoriali del grande quotidiano economico americano, commenta così i progetti dell’inquilino della Casa Bianca: «Secondo noi è completamente falso affermare che basta aumentare le tasse al 2% di super-ricchi per sovvenzionare i monumentali programmi pubblici di Obama. Anche confiscando tutti i beni di quel 2%, i soldi non basterebbero. La middle class, mi creda, non è al sicuro».

I dati citati nell’editoriale del quotidiano americano non lasciano adito a dubbi. Nel 2006 (ultimo anno per il quale i dati sono disponibili) i quasi 4 milioni di contribuenti americani con redditi lordi superiori ai 200.000 dollari annuali hanno pagato 522 miliardi di dollari di imposte sul reddito, cioè il 62% del totale. L’1% più ricco dei contribuenti, 1.650.000, quelli con redditi superiori a 389.000 dollari, ha pagato 408 miliardi, cioè quasi il 40% (39,9%).

Se Obama confiscasse per intero l’imponibile di tutti i contribuenti con redditi superiori a 500 mila dollari, l’operazione frutterebbe 1,3 trilioni di dollari. La cifra sarebbe ben lungi dall’essere adeguata a finanziare un bilancio che nel 2010 supererà i 4 trilioni. Impietoso l’editoriale si accanisce: «Se anche avesse confiscato ogni centesimo del reddito di tutti gli americani con reddito superiore a 75.000 dollari, non avrebbe ottenuto più di 4 trilioni».

Che il presidente americano faccia promesse impossibili da mantenere, anche se molto biasimato negli Stati Uniti, non stupisce particolarmente noi italiani: siamo talmente abituati a questa prassi che, quando si ripete, non ci stupisce per nulla. Le conseguenze, tuttavia, per l’economia americana sono molto inquietanti e la cosa interessa indirettamente anche noi perché un raffreddore dell’economia degli Usa può diventare una polmonite per il resto del mondo. Per tornare all’intervista di Daniel Henninger: «L’anno prossimo, ad un certo punto, l’economia ricomincerà a resuscitare da sola perché i mercati hanno una capacità di guarigione intrinseca. Quando ciò accadrà e vedremo la creazione di nuovi posti di lavoro, Obama cercherà di attribuirsene il merito. Il vero problema dell’economia Usa è la fiducia: un fattore soprattutto psicologico».

Sarei propenso ad essere più pessimista dell’editorialista yankee. In assenza dell’intervento obamiano, è vero che, come accennato in un precedente articolo, l’economia americana comincerebbe a riprendersi già nella prima metà del 2010, ed è altresì vero che ciò verrebbe imputato a merito del giovane inquilino della Casa Bianca. Ma è lungi dall’essere certo che quella ripresa sarà possibile malgrado le misure decise da Obama: è un braccio di ferro fra le velleità demagogiche e populiste del presidente e la dinamicità dell’economia americana. un vitale interesse di tutto il mondo che lo statalismo obamiano esca perdente da questa sfida.