Simonetta Robiony, la Stampa 03/03/2009, 3 marzo 2009
«CHE ROUTINE NELL’OBITORIO DEI MITICI RIS»
Che cosa desidera, veramente: che RIS vada avanti ancora per anni o che finisca con questa serie? Gea Lionello sospira. «Sono felice che vada bene e quindi continui ancora a lungo, ma sono affaticata dal dovervi lavorare otto mesi l’anno che è come andare a scuola». Vacanze? «Poche. RIS Si ferma d’inverno. E i quindici giorni d’estate sono quelli del Ferragosto: giro per una Roma deserta in bicicletta. Niente mare perché non posso abbronzarmi, niente città d’arte perché troppo affollate». Figlia di Alberto Lionello, uno dei monumenti del nostro teatro classico, ma anche uno che non si tirò indietro quando gli offrirono Canzonissima e il suo «lala-lala-lala-lala», Gea Lionello, forte dell’esempio del padre, non ha esitato a interrompere, 5 anni fa, la carriera teatrale cominciata a 17 anni per calarsi nei panni di Claudia Morandi, l’anatomopatologa dei RIS, sempre chiusa nel suo laboratorio a sezionare cadaveri. «L’attore è un mestiere che assorbe completamente: se non reciti fai i provini, se non fai i provini studi. La famiglia ne soffre. Mio padre spesso non c’era perché era in tournée e quando c’era doveva dormire perché la sera recitava. Non so come facciano gli altri ma io entro dentro le cose e non ne esco finché non ho finito».
Lei vive da sola, anche se ha sperimentato la convivenza. La solitudine non le pesa?
«No: non ho né cani, né gatti e neanche un canarino: ho molte piante in casa e mi piace cucinare per gli amici. Ho paura che una famiglia possa privarmi della libertà. Sono un Ariete, passionale e vulcanica, che ha capito quanto serva il rigore della razionalità per tenere a freno gli impulsi».
Lei rappresenta nell’universo tv, una anomala figura femminile: seria, competente, fondamentale per le indagini, poco frivola, spesso con indosso un gilet e un maglione, vagamente maschile, non competitiva: condivide questa scelta anche nella vita?
«In questa serie, finalmente, si vedrà che ho anche una casa oltre a un laboratorio! E il mio personaggio avrà uno sviluppo inatteso che mi ha permesso di approfondire la recitazione, che è quello che mi manca nei RIS. Ripetere sempre le stesse frasi finisce per farmi sentire come un operaio che va in fabbrica. Ma lo stile del personaggio mi convince: detesto l’ostentazione del corpo femminile. Il mio modello di attrice è Diane Keaton. E poi sono troppo alta per potermi permettere abiti strizzati: finirei per apparire esagerata».
Nella vita, però, qualche volta una scollatura può divertire.
«Ne sono convinta. Ho avuto commenti entusiastici dalla troupe quando me la sono concessa».
Da bambina che avrebbe voluto fare?
«La ballerina. Ho studiato danza per anni. Per graziadidio ho smesso, altrimenti adesso farei la coreografa».
Perché l’ha lasciata?
«Con una mia amica sono entrata in un teatrino ed è stata la folgorazione. Ho cominciato con due battute, poi tre, poi quattro. Sono cresciuta lentamente e questo il pubblico lo vede e me lo riconosce: nessuna scorciatoia per me».
Mi pare che abbia vissuto con leggerezza l’esser la figlia di Alberto Lionello.
«Sì, perché un po’ mi ha ostacolato e un po’ favorito: è un conto che va alla pari».
Le manca il teatro?
«Molto. Anche il cinema. Per fortuna, oggi, certi snobismi sono superati e noi attori possiamo fare la tv che ci permette di sopravvivere senza essere considerati incapaci o venduti. Del resto, tutti i vecchi grandi nomi dello spettacolo dal teatro arrivavano».
C’è un ruolo che vorrebbe più di altri?
«Lady Macbeth. Ma mi piacerebbe molto lavorare in un film americano, anche di budget modestissimo. Quando ho girato la fiction su Coco Chanel ho dovuto recitare in inglese e la cosa mi ha intrigato profondamente. Una altra lingua modifica perfino il tuo pensiero. Ho scoperto parti di me che ignoravo. Vorrei rifare questa esperienza».
Non sarà troppo cerebrale?
«Non me ne accorgo»