Pablo Trincia, la Stampa 03/03/2009, 3 marzo 2009
IL SUICIDIO DI MASSA DELLE BALENE PILOTA
Per i turisti e i residenti accorsi sulla spiaggia di Naracoopa, in Tasmania, nelle prime ore di domenica mattina, lo scenario è stato quasi apocalittico: un esercito di balene e delfini allineati e agonizzanti nella sabbia, distesi per centinaia di metri lungo il bagnasciuga. Lo spiaggiamento di massa ha coinvolto 194 balene pilota e una mezza dozzina di delfini dal naso a bottiglia, arenatisi sulla piccola King Island, nello Stretto di Bass, che divide la Tasmania dall’Australia meridionale.
La zona è già nota agli esperti come una «tomba di balene», che da lì passano sulla rotta per l’Antartico (ne sono morte già 400 negli ultimi mesi), anche se è raro assistere a una tale mattanza collettiva. Un mistero nel mistero, visto che lo spiaggiamento non ha ancora trovato risposte certe da parte della comunità scientifica. Ma i bagnanti di Naracoopa non si sono posti troppe domande e hanno cominciato la loro lotta contro il tempo, riuscendo a spingere in acqua e a salvare 54 balene e sette delfini, con l’aiuto di motoscafi e moto ad acqua. L’operazione è durata per diverse ore e ha coinvolto centinaia di persone, fino a notte.
Certo, ormai gli abitanti devono essere abituati allo sforzo: il mese scorso, 48 balene si sono morte poco più a sud, nelle acque basse di Perkins Island. Nell’ultima metà di novembre era toccato ad altri 219 esemplari. «Quest’ultima estate è stata piuttosto impegnativa per tutte le comunità di volontari», ha dichiarato Chris Arthur, un esperto della Tasmania’s Parks and Wildlife Service, tra i primi ad accorrere per salvare i cetacei. «Alcuni muoiono subito, mentre altri riescono a sopravvivere per giorni interi». Gli esperti tendono a spiegare il fenomeno con un ventaglio di possibili eventi. possibile che - data la forte coesione sociale tra le balene - quando una di esse si disorienta, le altre la seguono, finendo a loro volta intrappolate nelle acque basse. C’è chi sostiene l’ipotesi che le balene non di rado seguano i delfini vicino a riva, ignare del rischio. E c’è infine l’ipotesi dell’inquinamento acustico sottomarino, causato dalla guerra dei sonar utilizzati dalle varie marine per il controllo dei fondali.
La pressione causata dai sonar avrebbe effetti devastanti sulla fauna acquatica. A rivelarlo è stato uno studio eseguito nel 2000 su 17 balene arenatesi nelle Bahamas, probabilmente a causa di un’esercitazione di sottomarini statunitensi nella zona. Secondo scienziati e ambientalisti, i radar avevano causato emorragie celebrali agli animali, deviandone la rotta. Nello stesso anno, Ken Balcomb, uno zoologo esperto di orche nello stretto di Juan de Fuca, avrebbe scoperto che le forti onde generate dai sonar sono in grado di lacerare i tessuti interni delle balene, causando un forte disorientamento che le può indurre ad arenarsi. Casi simili si sono registrati anche alle Isole Canarie, dove nel 2002 a 14 balene è stata riscontrata la cosiddetta sindrome da decompressione, generata da radar e altri strumenti tecnologici utilizzati negli abissi.
La mattanza di King Island potrebbe avere una causa simile. Ness Pearce, direttore nazionale per la ricerca del centro Sea Shepherd, sostiene che lo spiaggiamento dei delfini sia la vera chiave di lettura. «I delfini non si arenano, a meno che non abbiano disturbi celebrali - ha commentato Pearce -. Questi animali si sono arenati in una zona dove c’è parecchia attività sismica causata da multinazionali che sondano i fondali alla ricerca di petrolio, gas e carbone».