Barbara Romano 1/3/2009, 1 marzo 2009
«CON EPIFANI ANDAVANO IN VACANZA MA ORA SONO PIU’ SIMILE A TREMONTI»
È la collezione di Tex allineata sulla libreria ad ispirargli la storiella: «Napoleone cerca di prendere un libro dallo scaffale, quando un attendente si offre di dargli una mano. ”Maestà, lasci, glielo prendo io che sono più grande”. ”Tu sei più alto, non più grande”, risponde Napoleone». Non difetta di autostima Luigi Angeletti. Lui è il più piccolo (in centimetri e iscritti) della triplice confederale, ma sfodera tutto il suo orgoglio di leader della Uil, attribuendosi addirittura il copyright del riformismo. E pazienza se c’è chi, come il ministro Ronchi, è convinto che a capo della Uil ci sia ancora Pietro Larizza, come ha detto l’altra sera a Porta a Porta. Gli fanno un baffo pure le critiche di chi, nella Cgil, lo considera un «venduto» per aver firmato, assieme alla Cisl, l’intesa con governo e Confindustria sulla riforma del modello contrattuale. Tanto che non esita a dare l’ennesimo placet al governo, che ha appena varato la legge delega contro gli scioperi nei trasporti.
Angeletti, ma come, il governo pone un limite allo sciopero e lei è d’accordo?
«Le spiego perché. Gli scioperi nel settore del trasporto oggi non colpiscono le imprese, i cui fatturati sono composti dai trasferimenti dagli enti pubblici e dagli abbonamenti. Quindi, quando il servizio non funziona, queste aziende non ci rimettono una lira. Anzi, secondo me certe volte ci guadagnano. Gli unici a rimetterci sono gli utenti. Ecco perché bisogna trovare dei sistemi per rendere più efficace lo sciopero».
Lo sciopero virtuale le sembra un sistema efficace?
«Estremamente efficace. proprio la cosa da fare. Siamo stati noi a lanciare l’idea sette anni fa con un convegno e lo abbiamo persino messo in atto, due anni fa, nel trasporto aereo. I piloti e gli assistenti di volo lavoravano con una fascia al braccio con la scritta: ”Io faccio sciopero”».
Come giudica l’ostilità della Cgil?
«La Cgil parla male del governo a prescindere. Ci sono argomenti su cui attaccarlo può essere utile e necessario. Ma non quando fa cose assolutamente buone».
Se l’aspettava che Epifani si mettesse di traverso?
«Non avevo dubbi. Nelle prossime settimane, in cui dovremmo fare un accordo sulla rappresentanza, ci sarà la prova del nove. Vedremo».
Come sono i rapporti con la Cgil?
«Complicati. Abbiamo un’opinione diversa sul modello contrattuale, che per i sindacati è una specie di carta costituzionale».
Il suo rapporto personale con Epifani?
«Al netto dei ruoli, normale. Io ed Epifani ci conosciamo dagli anni Ottanta. Ma il fatto che lui faccia il leader della Cgil e io della Uil, condiziona al 90% il nostro rapporto personale. Da un sacco di tempo non c’è un incontro informale tra noi».
Lo sente al telefono?
«Ultimamente con una certa rarità».
L’ultima volta che vi siete visti?
«Poco tempo fa, ma per motivi di lavoro».
Vi è capitato di andare al ristorante assieme?
«Ultimamente no. In passato, spesso, soprattutto durante la settimana. Ci vedevamo a pranzo, a cena, ma anche per un caffè».
Chi pagava?
«Chi faceva prima».
Lei ci andrebbe in vacanza con Epifani?
«Ci sono andato in vacanza con Guglielmo. Andammo a sciare assieme tanti anni fa».
Dove?
«Sulle Dolomiti. Andammo in settimana bianca con le famiglie e con amici».
Chi era il più scarso a sciare?
«Lui. Io ero molto più bravo».
Ovviamente.
«Per un semplice motivo: sono un appassionato di montagna. Infatti io ho continuato, mentre lui dopo un po’ ha mollato gli sci».
Ha visto Epifani dopo la manifestazione del 13 febbraio?
«Sì, e gli ho fatto una battuta: ”Mi raccomando, non fare troppi danni”».
Raffaele Bonanni ha detto: quello del 13 febbraio è stato uno sciopero più politico che sindacale. Concorda?
«Anche i lavoratori hanno concordato».
Pure lei, quindi, è convinto ci sia un asse Cgil-Pd.
«Non è stata una protesta combinata. Ma nella Cgil c’è una parte prevalente che interpreta la propria funzione in termini politici».
Cos’ha provato quando ha visto che alla manifestazione avevano aderito oltre cento parlamentari del Pd, tra cui Pierluigi Bersani, Anna Finocchiaro, Livia Turco, Barbara Pollastrini e Rosy Bindi?
«Ho pensato che si stavano facendo del male da soli».
Il cambio al vertice del Pd acuirà la spaccatura sindacale?
«Se una corrente del Pd prende posizione a favore della Cgil, fa una scelta che avrà conseguenze nel mondo sindacale. Soprattutto se quella corrente finisce per avere il sopravvento nel partito».
Che tipo di conseguenze?
«Non tanto sui gruppi dirigenti, ma sulla base. I sindacati non sono scatole vuote, hanno milioni di iscritti, molti dei quali sono militanti che esprimono un voto politico e condividono pienamente la linea del loro segretario generale. soprattutto a questo livello che rischia di consolidarsi l’asse tra Cgil e Pd».
Molti dei militanti Cgil scesi in piazza sono convinti che l’asse ci sia, ma tra voi e il governo.
«Fa parte di una visione caricaturale per la quale fare un accordo col governo equivale a stare col governo. Ma noi quell’accordo l’abbiamo fatto con le controparti, poi il governo è venuto a metterci il cappello».
Siete stati voi ad avallare il sospetto quando, a novembre, vi siete riuniti tutti a casa Berlusconi senza invitare Epifani.
«La Cgil aveva già deciso di non sottoscrivere l’accordo con Confindustria ben prima che entrasse in gioco il governo».
Poi, però, Epifani ed Emma Marcegaglia si sono abbracciati alla tavola rotonda del Pd.
«A lui l’ha abbracciato, con noi ha siglato l’accordo».
Che giudizio dà della Marcegaglia?
«Ottimo. Fare il presidente di Confindustria non è semplice in generale, ma lo è ancor meno per una donna, tanto più giovane».
Ma è brava o no?
«Molto brava. Io non avevo dubbi, perché la conosco da molto tempo. La Marcegaglia, oltre ai suoi modi affabili e cordiali, è una tosta. Anche in privato manifesta grande disponibilità. Durante la trattativa sul modello contrattuale ha cercato in tutti i modi di venire incontro alle esigenze di noi sindacati. Se trova un ostacolo, prima cerca di aggirarlo con le buone, poi va avanti come un carro armato. Questo accordo è stato una grande sfida per lei, perché non è che tutti gli imprenditori sentissero l’esigenza di fare la riforma».
Più brava la Marcegaglia o Luca Cordero di Montezemolo?
«Io mi trovo meglio con la Marcegaglia, perché è un’imprenditrice che è stata moltissimo in azienda. Tra l’altro, la sua è un’azienda siderurgica e io faccio da sempre il sindacalista dei metalmeccanici. Quindi conosce quasi nell’intimo gli operai e i loro problemi».
E Montezemolo?
«Lui aveva una visione più politica del rapporto tra sindacato e impresa».
Gli operai scesi in piazza con Epifani accusano lei e Bonanni di flirtare con il padrone.
«Sono accuse strumentali».
Lei può dire in tutta onestà di non essere filogovernativo?
«L’unità sindacale si frantuma perché un terzo dei lavoratori pensa che se c’è un governo di sinistra bisogna appoggiarlo anche se fa una politica insoddisfacente, mentre se c’è un governo di destra bisogna contrastarlo anche se ti regala i soldi. A me non sta bene».
Sta di fatto che, dalla riforma dell’articolo 18 in poi, lei è sempre stato dalla parte di Berlusconi.
«Le rispondo con le stesse parole che usò Berlusconi alla fine del 2002: ”Noi avremmo voluto modificare l’articolo 18, ma i sindacati non hanno voluto”».
Scusi, chi ha firmato il Patto per l’Italia?
«Noi, ma dopo uno sciopero generale».
Ma lei ha sempre dichiarato la sua disponibilità a rivedere l’articolo 18.
«Certo, ma entro i limiti che noi avevamo fissato. Infatti il governo alla fine dovette venirci incontro e noi firmammo quell’accordo per evitare che ci ripensasse».
Però non sarà un caso che nei tavoli tra governo e parti sociali lei sia il più apprezzato per le sue virtù di mediatore.
«I sindacalisti hanno un compito: fare accordi che siano abbastanza vantaggiosi per le persone che rappresentano».
I metalmeccanici della Cgil sono più di quelli della Cisl e della Uil messi insieme. Come lo spiega?
«Da sempre è così».
Non sarà che sono più bravi di voi a dar voce ai problemi degli operai?
« una conseguenza storica dovuta al fatto che i metalmeccanici sono sempre stati una categoria molto politicizzata. Nelle medie e grandi imprese siamo molto più forti noi, ma le piccole imprese sono molte di più, quindi la Fiom è più presente».
Qual è il quarto sindacato: la Uil o la Ugl?
Ride: «Non rispondo neanche».
Renata Polverini assicura: «L’Ugl pesa più della Uil».
«Tra i pensionati, nelle banche, nel settore pubblico, nell’agricoltura, nell’edilizia, in ogni settore in cui gli iscritti sono pubblici, noi siamo il 25% mentre l’Ugl è sotto il 5%. La Polverini sbandiera cifre che non trovano nessun riscontro».
C’è chi sostiene che senza la triplice confederale la Uil scomparirebbe.
«Nei metalmeccanici la triplice non c’è più da tempo. Abbiamo siglato due contratti senza la Cgil».
Ma perché non vi fondete con la Cisl?
«Perché siamo diversi».
Cosa vi distingue?
«Il dna. In tutte le piattaforme litighiamo. Nel fare i contratti, la Cgil converge molto più spesso della Cisl sulla nostra posizione».
Ha mai litigato con Bonanni?
«Altroché! Ci siamo affrontati a muso duro anche sulla questione fiscale».
Non è piuttosto una questione di potere quella che finora vi ha impedito di fondervi?
«Perché, diminuirebbe?».
Avreste meno soldi, meno posti, meno prebende…
«Dal 1973 al 1984 io sono stato in un sindacato unitario, che si chiamava Flm, ma è stato impossibile mantenerlo perché le differenze erano abissali. L’unità sindacale non è nel dna dei lavoratori, a meno di voler rinunciare a 2-3 milioni di iscritti. Ma non vedo chi ne avrebbe l’interesse».
Quanti immobili ha acquistato la Finlabor da quando lei è segretario generale della Uil?
«Molti. Abbiamo acquistato le nostre sedi».
Perché il suo sindacato si è lanciato in questa grossa operazione immobiliare?
«Per non pagare l’affitto. Visto che i tassi d’interesse erano bassi, abbiamo pensato che era meglio pagare i mutui e lasciare un patrimonio immobiliare alla Uil».
La Società Autostrade è sempre stata considerata una controparte da voi sindacalisti. Non si è sentito in imbarazzo quando ha assunto suo figlio cinque anni fa?
«No, assolutamente. Evito accuratamente di seguire la pratica Autostrade, che comunque non avrei mai seguito per motivi di organizzazione interna alla Uil».
Giudica migliore la politica economica del governo Prodi o quella del governo Berlusconi?
«Non riesco a dare la sufficienza a nessuno dei due».
Lei è più vicino a Brunetta, Sacconi e Tremonti che ad Epifani.
«Assolutamente sì».
La Cgil vi accusa di aver venduto la pelle dei lavoratori per 40 euro.
«Loro non sono riusciti a portarne a casa neanche 4».
Nell’opinione pubblica è sempre più diffusa la sensazione che voi sindacalisti non facciate più il vostro mestiere, ma usiate il sindacato per costruire le vostre carriere personali.
«Lo so».
Ha mai pensato di ”scendere in campo”?
«No, perché mi piace fare il sindacalista».
Nel Palazzo circola la voce che la sua candidatura nel Pdl sia ormai cosa fatta, come ricompensa della sua linea filogovernativa su Alitalia.
«Quando c’era il governo Prodi noi ci opponemmo alla vendita di Alitalia ad Air France, rompendo il giorno prima della Cgil e della Cisl, perché non volevamo che diventasse una compagnia regionale. Abbiamo invece dato il via libera alla Cai perché intende a fare una compagnia di bandiera».
Giura che quando terminerà il suo mandato non scenderà in campo?
«Non credo proprio che mi candiderò».
Come giudica i suoi ex colleghi in politica?
«Erano più bravi a fare i sindacalisti».
Il suo predecessore è Larizza. Chi è più bravo?
«Lui è stato molto più attento alla politica ed è stato molto bravo a traghettare il sindacato fuori dall’era Tangentopoli. Oggi forse sarebbe peggio di me».
In cosa è più bravo lei?
«Penso di interrogarmi di più su quello che cambia nella condizione delle persone».
Nella Uil lei è soprannominato «il bulgaro» perché non accetta oppositori.
«Nella mia prima elezione ho avuto voti contrari, ma non ho mai esercitato pressioni».
Però ha cercato di silurare i segretari regionali di Puglia, Lazio e Lombardia, per piazzare suoi uomini.
«C’era bisogna di un ricambio generazionale».
Ma se ha cercato di fare fuori anche il segretario regionale del Friuli, che ha 40 anni...
«Non eravamo d’accordo su certe cose».
Appunto. Dicono anche che lei abbia la ”sindrome di Napoleone” perché non è molto alto.
«Napoleone non è tra i miei miti. Io sono appassionato di storia e tattiche militari, ci sono altri condottieri che mi hanno dimostrato di essere molto più geniali».
Tipo?
«Annibale».
Chi era il suo mito da piccolo?
«San Francesco».
Quando ha scoperto questa devozione?
«A sette anni. Io sono nato a Greccio, in provincia di Rieti, e la parrocchie erano gestite solo da francescani. Ho anche studiato in un convento francescano».
Ha mai pensato di prendere i voti?
«Da piccolo, sì. Accarezzai per molto tempo questa idea, ma mia madre mi disse: ”Quando sarai maggiorenne farai come ti pare, adesso fai come dico io”. Poi, da grande, sono stato più attratto dalla vita non contemplativa», ride.
Chi erano i suoi genitori?
«Mio padre era operaio metalmeccanico, mia madre casalinga».
Il ricordo più remoto dell’infanzia?
«Da bambino avevo i calli ai piedi perché d’estate andavamo scalzi. Ricordo ancora la sensazione di correre sul bitume tiepido della strada appena asfaltata».
Cosa sognava di fare da grande?
«Di una cosa ero certo: non avrei mai fatto un lavoro in cui avrei dovuto telefonare e viaggiare, le due cose che mi davano più fastidio».
Se l’è tirata addosso.
«Infatti. Ho passato la vita in macchina e al telefono».
Quando ha scoperto la vocazione da sindacalista?
«Non so se ho mai avuto la vocazione. Lavoravo in un’azienda metalmeccanica di Roma, la Omi, che cominciava a non andare bene. Nel mio reparto avevo un amico che mi spinse a fare il delegato dicendomi: ”Non ti preoccupare, i voti te li portiamo noi”».
Leggenda invece vuole che sia stata la Cgil a spingerla a iscriversi alla Uilm.
«No. Quando fui assunto in fabbrica dopo un mese di prova, venne un mio amico a portarmi la tessera della Cgil, ma io gli dissi: ”Guarda che mi sono già iscritto alla Uilm”».
Il suo sindacato è espressione di un mondo – socialisti, socialdemocratici, repubblicani – che non esiste più.
«Ogni tanto mi sento l’ultimo dei mohicani. Ci siamo posti questo problema all’inizio degli anni Novanta. La risposta che io ho cercato di dare è questa: la cultura politica è la capacità di interpretare la realtà e di trovare risposte confacenti ai tempi»
Ok. Ma che area politica rappresenta oggi la Uil?
«I riformisti».
Che vuol dire tutto e niente.
«Ma il vero riformismo lo abbiamo inventato noi».
Cosa votano gli iscritti alla Uil?
«Non ho mai fatto sondaggi, perché non mi sembrava politicamente corretto. Sono stati fatti da altri sul voto dei sindacati alle ultime Politiche, ed è venuto fuori che, degli iscritti alla Uil, il 59% ha votato centrosinistra e il 41% centrodestra».
E lei per chi ha votato?
«Affari miei».