Sergio Romano, Corriere della sera 1/3/2009, 1 marzo 2009
TALLEYRAND, DIAVOLO ZOPPO CHE NEGOZIO’ ANCHE CON DIO
Nella sua rubrica si parla spesso di personaggi storici, ma non ho letto mai nulla su chi considero il migliore di tutti: Charles-Maurice de Talleyrand-Périgord.
Mi sono imbattuto in lui durante la lettura del libro di Roberto Calasso «La rovina di Kasch», che faceva luce su un passaggio della storia europea che non avevo ancora chiarito: com’era possibile che dopo la Rivoluzione francese e le guerre napoleoniche, a seguito del Congresso di Vienna la Francia fosse, sulle cartine geografiche d’Europa, tale e quale a prima? Da lei vorrei quindi avere un ritratto di Telleyrand e conoscere il perché questa personalità del passato non troppo remoto sia ormai praticamente dimenticata dai media e dalla scuola italiana.
Nicola Leorati
niqola@katamail.com Caro Leorati,
T alleyrand continua a essere materia di studi politici e saggi biografici. Ma è difficile salvare dall’esecrazione morale, nei manuali scolastici, un personaggio che fu definito cinico, spregiudicato, traditore, voltagabbana. Vi è un episodio del 1809 che merita di essere ricordato. Napoleone era in Spagna quando rapporti segreti lo informarono che Talleyrand aveva preso contatto con Metternich e stava esortando il ministro austriaco a trarre vantaggio, con una guerra fulminea, dalla difficile situazione delle truppe francesi nella penisola iberica. Rientrò a Parigi, lasciò passare qualche giorno e il sabato 28 gennaio, nelle prime ore del mattino, convocò Talleyrand insieme ai maggiori dignitari dello Stato, per una pubblica requisitoria che durò non meno di tre ore. Gli rinfacciò le cariche, gli onori, le ricchezze di cui lo aveva colmato. Lo chiamò «ladro», «verme», «persona sleale», «canaglia». «Meritereste – gli disse – che vi facessi a pezzi come un bicchiere di vetro». E poi, dopo una pausa: «Siete m. in un guanto di seta».
Le battute taglienti e gli aneddoti dissacranti continuarono a perseguitarlo al di là della morte. Si racconta che gli inservienti del farmacista Nicard, dopo l’imbalsamazione del suo corpo, dimenticarono di chiudere il suo cervello in un vaso d’argento e lo lasciarono sanguinante su un tavolo coperto di crusca. «Sino a quando – scrisse Victor Hugo – qualcuno si ricordò che in strada c’era una fogna e in quella fogna andò a gettarlo». Un altro aneddoto concerne il suo funerale. Fu deciso che la salma sarebbe stata trasportata nel suo castello di Valençay e che il cocchio funebre sarebbe passato dalla barriera Denfert, una parola che in francese suona esattamente come «d’enfer», cioè d’inferno. «Da dove passiamo? » aveva chiesto il cocchiere. «Dalla barriera d’inferno » gli era stato risposto.
Eppure questo «diavolo zoppo» (aveva un piede caprino, effetto di una brutta caduta quando era bambino) rese al suo Paese grandi servizi. Fu ministro degli Esteri all’epoca del Direttorio e del Consolato, Grande ciambellano dell’Impero, Primo ministro e ministro degli Esteri di Luigi XVIII all’epoca della Restaurazione. In ciascuna di queste funzioni non perdette l’occasione per arricchirsi, ma non perse mai di vista gli interessi della Francia. Vi sono almeno due negoziati da cui uscì trionfatore. Il primo fu quello di Vienna dopo la fine delle guerre napoleoniche. Per evitare che la Francia venisse punita dalle potenze vincitrici, Talleyrand si appellò al principio di legittimità e convinse gli altri Stati che tutti i sovrani avevano interesse a stipulare, contro le minacce rivoluzionarie, un patto di reciproca garanzia. Riuscì a dimostrare, in altre parole, che la Francia dei Borbone era vittima della Francia giacobina e napoleonica, e che aveva il diritto di essere trattata come vincitrice.
Il secondo fu il trattato con Dio che stipulò nelle ultime settimane della sua vita. Era stato vescovo di Autun, ma aveva approvato la confisca dei beni ecclesiastici (da cui aveva tratto vantaggio), sottoscritto la Costituzione civile del clero e consacrato due vescovi «costituzionalisti ». Era insomma una versione radicale e rivoluzionaria di monsignor Lefebvre, il vescovo scismatico di cui si è molto parlato nelle scorse settimane. E come Lefebvre era stato scomunicato. Quando, verso la fine della sua vita, chiese i conforti della religione e la sepoltura in terra benedetta, gli fu chiesta una solenne ritrattazione. Firmò, naturalmente, ma non prima di avere lungamente negoziato e strappato alla Chiesa qualche importante concessione. Sapeva di dover morire, ma per qualche giorno tenne Dio in sala d’aspetto, come tutte le potenze terrene con cui aveva negoziato nel corso della sua vita.