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 2009  marzo 01 Domenica calendario

IL POLITICO RIBELLE


Che fosse il migliore della sua generazione se ne sono accorti prima a Hollywood che a Cinecittà. Così Pierfrancesco Favino è stato il comandante dell’esercito del male nel Principe Caspian, e sarà il capo delle guardie svizzere in Angeli&Demoni con Tom Hanks, che a maggio sarà proiettato in anteprima mondiale a Roma. I cinefili italiani però lo conoscono come il sergente di El Alamein, in particolare per l’urlo disperato nella battaglia notturna contro gli inglesi («era morto mio padre, la notizia mi aveva raggiunto nel deserto marocchino: non mi ero mai sentito tanto inutile, tanto fuori posto »). E come il Libanese, capo della banda della Magliana in Romanzo criminale,
regia di Michele Placido: «A Roma mi fermano per strada per chiedermi di fargli Libano, l’altro giorno una sposa all’uscita della chiesa». E’ impressionante la facilità con cui Favino passa dal romanesco al toscano – come nella fiction su Bartali – e al pugliese, nelle sue varie declinazioni. Perché un conto è l’accento di Candela, il paese al confine con la Lucania dov’è nata sua madre Stella, un altro quello di Foggia dov’è nato suo padre Aldo prima di partire, orfano a 11 anni, per Torino a studiare in seminario, un altro l’accento di Ascoli Satriano, il paese di Michele Placido (di cui Favino fa un’eccellente imitazione), un altro ancora quello di Cerignola, il paese di Giuseppe Di Vittorio. Una fiction contrastata, quella sul capo del sindacato comunista. Concepita ai tempi dell’Unione, realizzata con pochi soldi («ne avremmo avuti almeno il doppio se fosse stato un Papa» sorride Favino), andrà in onda sulla Rai a metà marzo con il plauso dei «tatarelliani»: Tatarella, già numero 2 di An, era sentimentalmente legato alla figura del conterraneo Di Vittorio, Fini ha fissato per il 10 marzo una proiezione in anteprima alla Camera, Napolitano l’ha già vista e si è congratulato via lettera con il produttore Carlo Degli Esposti e riceverà la troupe al Quirinale. Per Favino è stato il primo ruolo politico: «La vera svolta della mia vita professionale». E questa è la prima intervista in cui parla di politica.
«Gli anni di Di Vittorio sono drammatici. Gli agrari, il fascismo, la guerra. La Resistenza, il ’48, il ’56. Nel film ci sono i tre scontri con Togliatti: sulla condanna staliniana dei "socialfascisti"; sul patto Molotov-Ribbentropp; sull’Ungheria, quando il capo del partito fa piangere a dirotto il capo del sindacato. "Forse sono un comunista sbagliato" è la battuta che svela l’animo di Di Vittorio. Però a Togliatti va riconosciuto il merito di aver scritto la Costituzione insieme con De Gasperi. Era un tempo di grandi contrapposizioni ideologiche, che però non ruppero l’unità attorno a valori condivisi. Una sorta di tacito patto a non incendiare gli istinti dolenti del popolo; come quando, dopo l’attentato a Togliatti, fu evitata la guerra civile. Proprio il contrario di quanto accade ora. Noi italiani non siamo peggiori degli altri. Purtroppo abbiamo leader politici che parlano alla parte peggiore di noi, che vellicano gli istinti più bassi. Certo, la scelta di Fini di portare alla Camera un film su un comunista è un segnale diverso. Ma la cronaca indica che la tendenza è a dividersi per meglio coltivare gli interessi di parte. Ci sono ancora i Caradonna in giro. Le ronde sono il fallimento della democrazia, la morte della legalità: che cosa avrebbero fatto le ronde al primo albanese incontrato nei giorni di Erika e Omar? Sono divisi più che mai pure i sindacati. Di Vittorio muore a 65 anni nel ’57, l’anno dopo lo scontro sull’Ungheria. Ma il primo infarto lo coglie alla notizia che la Cisl ha rotto l’unità sindacale».
Il suo collega Riccardo Scamarcio, fatta la professione di fede a sinistra, ha detto che Berlusconi comunque è il migliore. «Quella è la frase estrapolata per fare il titolo. Scamarcio aveva fatto un ragionamento diverso. Quanto a me, credo che Berlusconi non nasca dal nulla. E’ il prodotto del disastro estetico, prima che sociale e politico, di questi anni, perpetrato attraverso la tv, l’informazione. Berlusconi è ciò che il paese pensa di sé e vuole essere. E’ ciò che si vede, e si regge sul molto che non si vede. Dell’America colpisce il rispetto delle regole, del merito, del lavoro ben fatto, della libertà altrui. Sull’Italia grava una cappa di conformismo, imposta da una monarchia di cui ci sentiamo tutti sudditi. Siamo ancora il paese dello spot del Mulino Bianco: la famiglia prima stava all’aperto con il cane, poi per anni si è chiusa in casa, ora è tornata all’esterno, con la stessa intatta carica di furbizia, lo stesso senso del clan: questo è mio, e di te non ce ne frega niente». E la sinistra? «Il vero errore di Veltroni è stato l’ottimismo. Ha sbagliato a leggere il paese che aveva davanti». Franceschini? «Mi pare in linea con l’andamento generale. Sinceramente, non esercita grande fascino. Sarebbe stata meglio la Finocchiaro, se non altro per l’immagine».
Romanzo Criminale è stata la palestra di due generazioni di attori. Kim Rossi Stuart, il Freddo. «Lo ammiro molto, per il coraggio e la purezza. Era il divo della tv. Ha scelto di andarsene, in nome della qualità. Oggi tutti i copioni d’Italia passano nelle sue mani. Ed è lui che sceglie. La sua laconicità è diversa da quella di Nanni Moretti. Kim è schivo, non snob, né intellettualoide. Su Rossi Stuart ogni spettatore proietta se stesso; Moretti ti detta quel che devi proiettare su di lui. Questo non gli impedisce di fare film importanti, come La stanza del figlio ». Claudio Santamaria, il Dandi. «Un evento fisico. Aspetto michelangiolesco, istintivo, ha un potenziale enorme. E’ incostante; ma è il suo bello». Stefano Accorsi, il commissario Scialoja. «Siamo amici. La sua carriera comincia adesso, dopo l’enorme successo che ha avuto da ragazzo». Scamarcio, il Nero. «Stesso discorso. Gran faccia. Ma il successo rallenta la costruzione della personalità ». Elio Germano, il Sorcio. «Dotatissimo. Con il limite dell’età. Guardi Alessandro Gassman: è sbocciato adesso. La giovinezza per un attore è una maledizione: dopo un po’ narrativamente è noiosa». Anna Mouglalis. «Algida. A me piacciono le donne che si "acchiappano"». Jasmine Trinca. «Molto brava, molto emozionante. Ha un tratto anni ’60 che ispira nostalgia». E il regista, Placido. «Istinto prodigioso. Animale da cinema. Credo abbia finito di leggere il libro di De Cataldo da cui è tratto il film solo alla fine delle riprese. Bravo anche nel modo di metterci in competizione: "Ue’, ieri Santamaria ha fatto meraviglie, vediamo che fai tu oggi..."». Favino ha studiato all’Accademia con Alessio Boni («il suo più grande pregio è l’umiltà, gli auguro di non perderla»), Luigi Lo Cascio («Uno degli attori più colti e intelligenti che conosca») e Fabrizio Gifuni: «Un talento comico straordinario. Sono certo che in una commedia farebbe meglio che in una fiction sui Papi». Si è formato con Luca Ronconi: «Un genio, molto seduttivo ma poco avvicinabile sul piano umano ». E ha recitato con Monica Bellucci: «Bella testa. Potrebbe fare la diva. Invece ti prepara il pranzo, con la figlia piccola sotto il tavolo». E Servillo? «Lo preferisco a teatro. Purtroppo su Rai2, dove un tempo avrebbero dato Eduardo o al limite Govi, ora c’è la commedia dialettale di Legnano...».