George Soros, la Repubblica, 11/2/2009, 11 febbraio 2009
ECCO LE CINQUE MOSSE PER SALVARE L’ECONOMIA
Quando esplodono le bolle finanziarie, gli effetti, in termini di contrazione, liquidazione forzata di attività, deflazione e distruzione di ricchezza, possono raggiungere proporzioni catastrofiche. In un contesto deflattivo, il peso del debito accumulato può affondare il sistema bancario e spingere l’ economia in depressione: uno scenario da evitare a tutti i costi. Un modo per riuscirci è creare moneta per compensare la contrazione del credito, ricapitalizzare il sistema bancario e cancellare o svalutare in modo ordinato il debito accumulato. Per ottenere i risultati migliori questi tre processi devono essere combinati, e per fare una cosa del genere servono misure radicali e poco ortodosse. Se queste misure si rivelassero efficaci e il credito ricominciasse a espandersi, le pressioni deflazionistiche lascerebbero il posto allo spettro dell’ inflazione e le autorità dovrebbero drenare via dall’ economia la moneta in eccesso con la stessa velocità con cui l’ hanno pompata dentro. La seconda di queste operazioni probabilmente sarà ancora più complicata della prima da portare a termine, sia sul piano tecnico che su quello politico, ma l’ alternativa - la depressione economica globale e il disordine mondiale - è inaccettabile. L’ unico modo per impedire una situazione di assoluto squilibrio - deflazione e depressione a livello mondiale - è prima indurre, e poi ridurre, il suo contrario. Il problema è di proporzioni perfino maggiori di quelle degli anni 30, e la risposta scoordinata e arbitraria dell’ amministrazione Bush ha ulteriormente aggravato la situazione. L’ opinione pubblica e le imprese hanno subito un colpo durissimo dopo il fallimento della Lehman e l’ economia è andata a picco. I prossimi due trimestri evidenzieranno un rapido deterioramento. E quello che succede negli Stati Uniti continuerà ad avere un impatto profondo sull’ economia globale. E dunque, per prevenire il peggio, l’ amministrazione del presidente Barack Obama dovrà adottare un pacchetto di misure radicale e a tutto campo, articolato in cinque elementi principali: 1)Stimoli fiscali; 2) Revisione a 360 gradi del sistema dei mutui; 3) Ricapitalizzazione delle banche; 4)Politiche energetiche innovative; 5) Riforma del sistema finanziario internazionale. Il programma di stimoli fiscali è già in fase avanzata, ma ci vorrà tempo per tradurlo in pratica e servirà unicamente ad attenuare gli effetti negativi della crisi. A mio parere, la revisione radicale del sistema dei mutui e la ricapitalizzazione delle banche sono due misure indispensabili per far ripartire l’ economia. L’ obbiettivo della riforma dei mutui è evitare un calo eccessivo dei prezzi degli immobili riducendo al minimo i pignoramenti e offrendo incentivi per gli acquirenti. Tutto questo è necessario per ridurre le pressioni deflazionistiche, stabilizzare i bilanci delle banche e incoraggiarle a riattivare il credito. Il modo migliore per raggiungere questo obbiettivo è intervenire sul sistema dei mutui, facendo in modo che il capitale non superi il valore della casa. Infuria il dibattito se questi interventi debbano essere frammentari, volontari e mirati ai mutuatari morosi, oppure se debbano abbracciare l’ intero sistema ed essere resi vincolanti anche per quei mutuanti che non aderiscono spontaneamente. Io raccomando un approccio di sistema, perché intervenire in modo frammentario non consentirebbe di raggiungere un numero di famiglie sufficiente a ridurre in modo importante i pignoramenti. I detentori di obbligazioni Cdo non hanno nessun motivo per accettare interventi di modifica volontari che rischierebbero di spazzarli via. Un altro vantaggio di un approccio di questo tipo è il fatto che consentirebbe una revisione a 360 gradi del sistema dei mutui negli Stati Uniti, che si è rivelato alquanto deficitario. Qualsiasi piano per la ricapitalizzazione delle banche dovrà invece essere obbligatorio e abbracciare l’ intero sistema, non scoordinato e volontario com’ è successo con Paulson al Tesoro. Dopo la ricapitalizzazione, i requisiti patrimoniali minimi verrebbero abbassati, diciamo al 6 per cento, e questo incoraggerebbe le banche a prestare, perché sarebbero smaniose di trarre profitti dagli alti margini prevalenti in quel momento. L’ economia si rimetterebbe in moto. Con tutti che hanno a disposizione una montagna di liquidità e improvvisamente sono smaniosi di farla fruttare, si scatenerebbe la corsa alle attività meno liquide. A quel punto, con l’ inflazione in agguato, i requisiti patrimoniali minimi verrebbero alzati all’ 8 per cento e poi ancora più su, riducendo in tal modo la leva del sistema bancario, cosa che, sul lungo periodo, rappresenta un obbiettivo auspicabile. Le politiche energetiche potrebbero giocare un ruolo molto più innovativo per contrastare la recessione e la deflazione. I consumi americani non possono più fare da volano all’ economia globale, serve una nuova locomotiva. Il testimone lo potrebbero raccogliere le energie alternative e il risparmio energetico, ma solo se il prezzo dei carburanti convenzionali verrà mantenuto a livelli sufficientemente alti da giustificare gli investimenti in questo campo, investimenti che aiuterebbero anche a contenere la deflazione. Fino a questo momento, però, nessun politico statunitense ha osato cimentarsi nell’ impresa di cercare di persuadere l’ opinione pubblica della necessità di un aumento del prezzo dei carburanti convenzionali. Il sistema finanziario internazionale, così come si è sviluppato dagli Anni 80 in poi, è stato dominato dagli Stati Uniti e dal cosiddetto "Consenso di Washington". Lungi dal garantire una competizione equa, questo sistema ha favorito quei Paesi che mantengono il controllo delle istituzioni finanziarie internazionali, in particolare gli Stati Uniti, a discapito delle nazioni situate alla periferia dell’ economia mondiale. I Paesi periferici sono stati sottoposti alla disciplina di mercato dettata dal Consenso di Washington, che li ha esposti a una serie di crisi finanziarie da cui gli Stati Uniti sono rimasti immuni, succhiando i risparmi mondiali per tenere in piedi un disavanzo delle partite correnti sempre più ingente. Questo stato di cose avrebbe potuto andare avanti all’ infinito, perché la disponibilità dell’ America a tenere in piedi un deficit cronico con l’ estero trovava corrispettivo nella disponibilità di altri Paesi a tenere in piedi surplus cronici. La crisi finanziaria corrente ha messo fine a questa situazione e allo stesso tempo ha rivelato l’ enorme iniquità di quel sistema, perché la crisi è nata negli Stati Uniti ma sta seminando scompiglio soprattutto nelle nazioni periferiche. I problemi dei Paesi periferici sono uno sviluppo recente, innescato dalla bancarotta della Lehman Brothers, e ancora non ci si è resi conto veramente della loro rilevanza. I Paesi del centro sono riusciti a garantire i loro depositi bancari, ma quelli della periferia non sono in grado di offrire agli investitori assicurazioni altrettanto convincenti. Il risultato è che i capitali fuggono via, non si riesce a rinnovare i prestiti in scadenza e le esportazioni arrancano per mancanza di finanziamenti. Il futuro delle istituzioni finanziarie internazionali, dunque, dipenderà dalla loro capacità di svolgere con efficacia un compito nuovo: proteggere la periferia da una tempesta che promana dal centro, in particolare dagli Stati Uniti. Servono aiuti consistenti per proteggere i sistemi finanziari dei Paesi periferici, incluso il finanziamento dell’ import-export, e per mettere i loro governi nelle condizioni di impegnarsi in politiche di bilancio anticicliche. Per fare la prima cosa serviranno ingenti fondi di riserva, disponibili con breve preavviso per periodi di tempo relativamente brevi. Per fare la seconda cosa serviranno finanziamenti a lungo termine. Ma il fatto è che i circa 200 miliardi di dollari (155 miliardi di euro) in fondi non assegnati a disposizione del Fondo monetario internazionale (Fmi) non sono neanche lontanamente sufficienti per garantire un volume rilevante di aiuti, considerando le potenziali necessità. E allora che cosa bisogna fare? La soluzione più semplice è creare più moneta. Il meccanismo per emettere diritti speciali di prelievo (Dsp) già esiste. Per attivarlo serve solo l’ approvazione dell’ 85 per cento dei membri del Fmi. In passato, sono stati gli Stati Uniti a opporvisi. Creare una maggiore offerta di moneta è la risposta giusta al collasso del credito. Questo è quello che stanno facendo gli Stati Uniti a livello nazionale. Perché non farlo anche a livello internazionale? Questo è il secondo articolo di George Soros, presidente del Soros Fund Management, sulla crisi economica mondiale. Il primo è stato pubblicato il 3 febbraio. Copyright: Project Syndicate, 2009. www.project-syndicate.org (Traduzione di Fabio Galimberti)