Oliviero Lenci e Silvio Olivero, MilanoFinanza 28/2/2009, 28 febbraio 2009
STRESS TEST A PIAZZA AFFARI
Applicando al listino il metodo value investing che prende in esame otto multipli, solo due società superano l’esame a pieni voti: Ubi e Mediobanca. Altre 36 portano a casa un bel 7. Ancora meglio lo Stoxx 600
L’analisi dei multipli è da sempre una delle basi per individuare i titoli più convenienti. E si tratta di un approccio che, per quanto semplice, si è dimostrato in passato assai efficace. Esistono infatti rigorose verifiche empiriche del fatto che i portafogli composti da titoli caratterizzati da bassi multipli (ad esempio il rapporto prezzo/utili o quello prezzo/mezzi propri) hanno offerto storicamente rendimenti superiori a quelli composti da titoli contraddistinti da multipli elevati.
Moltissimi titoli, in conseguenza del forte ribasso che ha caratterizzato i mercati azionari negli ultimi 18 mesi, quotano oggi con multipli clamorosamente inferiori alla propria media storica. Gli investitori più coraggiosi e lungimiranti, disposti ad acquistare azioni nonostante l’ondata di pessimismo che si è abbattuta sui mercati e fermo restando che in momenti come questi qualunque valutazione di carattere fondamentale rischia di trasformarsi in un autogol, potrebbero quindi scegliere fra una grande moltitudine di apparenti occasioni. L’analisi che proponiamo si rivolge proprio a questi investitori, poiché la delicatezza della situazione mette in risalto i limiti di questo approccio. Tali limiti possono essere superati dall’utilizzo simultaneo di più multipli e indicatori di natura fondamentale, metodo efficace nella selezione di buone opportunità di investimento, anche in momenti di così elevata incertezza.
Nel caso del rapporto prezzo/utili, l’eventualità che questo sia inferiore alla propria media storica potrebbe essere giustificata dal fatto che le prospettive dell’azienda, cui il multiplo si riferisce, sono cambiate e che gli utili sono destinati a crescere meno di quanto si pensava in passato, trend altamente probabile in questa fase congiunturale. Per questo la selezione comprende sì titoli con basso rapporto prezzo/utile, ma anche con adeguate prospettive di crescita dei profitti. Anche il rapporto prezzo/mezzi propri, considerato singolarmente, potrebbe risultare fuorviante: aziende che quotano meno del patrimonio netto contabile potrebbero celare rischi di fallimento.
Inserendo nell’analisi un numero più alto di parametri, secondo un metodo riconducibile a Ben Graham, il padre del Value Investing, si può ovviare a questi rischi. Nel nostro screening abbiamo inserito otto condizioni:
1) La società, secondo il consensus, deve produrre utili nel 2009;
2) Il rapporto prezzo/utile 2008 deve essere inferiore alla media degli ultimi cinque anni.
3) L’earnings yield (inverso del rapporto prezzo/utile) deve essere superiore al rendimento di un titolo di Stato decennale.
4) Il tasso di crescita degli utili atteso nel medio periodo deve essere superiore al 5%.
5) Almeno quattro degli ultimi cinque esercizi chiusi in utile.
6) Il dividend yield (rapporto tra dividendo atteso dal consenso e prezzo) deve superare il rendimento di un titolo di Stato decennale.
7) Il rapporto prezzo/mezzi propri deve essere minore di 1.
8) Il rapporto fra debito netto e mezzi propri deve essere minore di 1 o, nel caso di banche, la leva (totale attivo/tangibile equity) deve essere minore di 20.
Si tratta di un setaccio a maglia molto fine, attraverso il quale, in condizioni di mercato normali, passano ben pochi titoli. Ma applicando i parametri ai 600 componenti dell’indice europeo DJStoxx600, attingendo alle informazioni disponibili attraverso la banca dati FactSet, si osserva che ben 43 titoli rispettano tutte le condizioni elencate, mentre 201 ne rispettano almeno 7 (come evidenziato dalla prima tabella in pagina). Si tratta di un dato eccezionale, superiore anche a quello osservato in occasione dei precedenti minimi di marzo 2003, quando 34 titoli superavano tutti i test e 148 ne superavano almeno 7. I 34 titoli che nel 2003 superavano lo screening hanno realizzato una performance media del 111%, nettamente superiore a quella dell’indice, cresciuto solo del 9%. Un buon viatico per la credibilità del test che stiamo sperimentando. Significativa anche la distribuzione delle eccellenze fra i differenti comparti: premiati sono il settore chimico, le costruzioni e l’immobiliare; meno convenienti i beni di consumo, i petroliferi e i servizi di pubblica utilità.
Applicando la stessa analisi ai titoli del Mibtel, solo due azioni, Ubi e Mediobanca, ottengono il massimo del punteggio mentre 36 incassano almeno 7 punti (come evidenziato dalla seconda tabella in pagina che riporta le due promosse a pieni voti e una selezione delle blue chip tra le altre 36). Il listino europeo offre quindi più occasioni rispetto a quello di Piazza Affari sia a livello assoluto sia in proporzione al numero di titoli inseriti nel paniere. Il dato non deve sorprendere: lo Stoxx600 è composto da blue chip a larga capitalizzazione e, almeno sulla carta, di qualità superiore e dunque è più probabile che ospiti del valore nascosto. Ma fa comunque specie che un terzo dei titoli europei tratti a uno sconto così alto rispetto alla media storica. Una situazione che non è sfuggita ai value investor che infatti hanno iniziato ad acquistare. Lo ha fatto ad esempio Warren Buffett - che di Graham fu allievo - al quale oggi taluni imputano l’eccessivo anticipo con cui è entrato sul mercato, ma l’approccio descritto non ha certamente la pretesa di intercettare il timing esatto con cui intervenire, quanto piuttosto quello di evidenziare opportunità di lungo periodo. Come Buffett ha scritto il 16 ottobre scorso sul New York Times: «Sarò chiaro su un punto: non so prevedere i movimenti di breve termine del mercato azionario. Non ho la più pallida idea se le quotazioni azionarie saranno più alte o più basse fra un mese o fra un anno. Quello che è probabile è che il mercato salirà, forse anche molto, ben prima che l’umore degli investitori o l’economia tornino a migliorare».