Giancarlo Dotto, la Stampa 02/03/2009, 2 marzo 2009
L’UNICO INIMITABILE SONO IO
C’è un pazzo Chisciotte di sangue pavese in viaggio per l’Italia che imita uno più pazzo di lui, ma così pazzo da scambiare le osterie per teatri e da credersi un po’ Vittorio Gassman e molto Carmelo Bene. Dalla Mancha ultraterrena che li ospita, i due sacri mostri farneticano a loro volta di unirsi e dunque sfidarsi nella messinscena del cavaliere errante di Cervantes, Vittorio nella parte di Don Chisciotte, Carmelo in quello di Sancho Panza. Detta così, sembra un’allucinazione da emicrania, è invece lo spettacolo ultimo dell’ultimo dei Mohicani.
Sono in molti a dire di Franco Branciaroli che è il miglior attore teatrale oggi in Italia. Uno che a 61 anni s’inventa un divertimento quasi privato, tra un Galileo e un Edipo Re, giocare da puparo con i due monumenti del nostro teatro, mattatore tra mattatori. Che si diverte a fare quello che fa, non perché «il teatro allunga la vita», come insinua uno spot televisivo di questi tempi, ma perché il teatro, farlo più che subirlo, resta, alla periferia del mondo, la migliore ricreazione possibile, meglio se consumata in solitudine. «Del resto, la comunità degli attori si è dissolta. Una volta gli amici colleghi venivano a vederti a teatro, non fosse altro che per controllare quanta gente c’era. Oggi, non frega nemmeno più quello».
Dissolti per dissolti, tanto varrebbe accogliere il suggerimento di Alessandro Baricco, trasferire il denaro pubblico dal teatro alla scuola e alla televisione.
«Baricco farebbe bene a fare il romanziere. La sua unica incursione come regista nel cinema finanziato da soldi pubblici è stato un fallimento memorabile. Soldi di Stato erano anche quelli che hanno finanziato la versione cinematografica del suo ”Novecento” e consentito a Luca Ronconi di allestire uno spettacolo miliardario e molto modesto tratto da un suo testo. Baricco, mi risulta, non va a teatro, deduco quindi che quando lo stronca prende come riferimento i suoi spettacoli di mediocre drammaturgo».
In assenza di certezze, ci si rifugia nel passato. Branciaroli scomoda due totem come Bene e Gassman, profittando della loro giustificata assenza. Un oltraggioso omaggio o un amichevole sfregio?
«La cosa sta su un crinale, tra l’omaggio e l’ironia. Del resto, Bene e Gassman erano due nobilmente goliardici. Non due opposti, ma due lati di una persona sola. Pensavo a uno spettacolo raffinato per addetti ai lavori, e invece, cavolo, si divertono tutti, anche i diciottenni che non sanno neppure chi siano questi due signori».
Perché Don Chisciotte?
«I desideri chisciotteschi di Carmelo li conoscevo bene. La sua fissa era di farlo con Eduardo. Tutti vogliono fare Chisciotte, solo che non sanno come farlo. Nessun attore al mondo, con uno scolapasta in testa e una lancia, regge più di cinque minuti. Io ho aggirato l’ostacolo. Tutto il "Don Chisciotte" di Cervantes è in fondo un trattato sull’imitazione. Il vero Chisciotte sono io, in quanto imito due visionari condannati al fallimento nella loro pretesa di interpretare l’hidalgo della Mancha».
Si è mai chiesto come avrebbero reagito i due, Carmelo e Vittorio, eventualmente accomodati in platea?
«Non saprei. Certo, non avrebbero preso bene l’ultima battuta in cui i due si danno dell’"imitabile" e del ”manierista”. Magari avrebbero accettato il gioco, la puttanata, di farli recitare in modo spinto, alla Gassman o alla Bene. Il Carmelo con il Sennheiser in gola. Questa, magari, l’avrebbe fatto incazzare».
I puristi beniani sono feroci. Non sono venuti in camerino a bastonarla?
«E’ venuta solo una pazza tutta vestita di nero col cappello da cow-boy a protestare. Sono i teatranti che non colgono l’humour e s’indignano pensando sia una presa per il culo. Del resto, i peggiori nemici di Beckett sono i beckettiani. Guai insinuare che il maestro anche lui cacava come i comuni mortali. I fan amano questo spettacolo, si commuovono quando sentono la voce di Carmelo».
Voci, fa dire lei ai due sfidanti, «nobilmente manieristiche e quindi facilmente imitabili».
«Premesso che il teatro è voce, ci sono due tipi di voci. Una come la mia, inimitabile, in quanto voce di vasta gamma, di grandi mezzi, ma naturale. Le loro sono invece voci costruite, inventate, dunque imitabili. Sto parlando di manierismo recitativo. Vale anche per Totò. Io, se faccio l’Humbert di Nabokov o Prometeo, cambio, perché interpreto. Carmelo se ne fotteva della psicologia. Il suo fascino è la voce. Se recito io, devono stare a sentire cosa dico».
Ha rinunciato ad essere una grande voce piuttosto che un grande attore.
«Forse perché, essendo superdotato in quanto a voce sin da piccolo, questa facilità m’ha reso pigro, non m’ha spinto all’impegno».
Breve ma intenso il sodalizio con Bene.
«Con Carmelo abbiamo condiviso due anni di tournée all’epoca del "Faust". Io e lui soli in scena. Ho passato le vacanze a casa sua in famiglia. Mangiavamo insieme, dormivamo nello stesso albergo. Bei tempi. Lui aveva dieci anni più di me, c’era dell’ammirazione reciproca».
Si racconta poi di una brusca separazione.
«Una balla. Deve sapere che io sono praticamente sordo. Ho subito due operazioni di otosclerosi, sentivo un fischio dentro l’orecchio, un incubo. Dissi a Carmelo che non potevo riprendere il "Romeo e Giulietta". Lui pensò che volessi tradirlo con i fratelli Taviani. Capì che non era vero quando mi operarono. Ho smesso di sentirlo, Carmelo, quando era conciato male e forse non aveva piacere a farsi vedere da me».
E Gassman?
«Una volta venne in camerino da me a Verona, con una coperta addosso per il gran freddo. Mi disse: "Tu sei il più bravo...", pausa, ".... della tua generazione”».
Il più grande tra i due.
«Teatralmente, non c’è confronto, Carmelo. Però se prendi il cinema di Gassman, viene fuori un genio assoluto. Non so se Carmelo avrebbe saputo fare le follie di Vittorio ne "I mostri" o ne "Il sorpasso". Direi che l’uno non avrebbe potuto fare quello che faceva l’altro».
Franco Quadri disse di Franco Branciaroli, nel ’74, «è nata una stella».
«S’era innamorato di me perché ero bellissimo. Molto prosaicamente dico che diventi star il giorno in cui il tuo conto in banca supera i cinquanta milioni di euro. Non è il mio caso. Vittorio Gassman sì che era una star internazionale, più di Carmelo, in quanto a popolarità e conto in banca».
Fa dire anche a Gassman: «La perfezione si raggiunge imitando gli uomini non applicando teorie».
«Oggi non si distingue tra realtà e finzione. In questo mondo di merda dove gli uomini sono solo i vestiti che portano, l’imitazione dei grandi è l’unica salvezza. Non c’è bisogno di Proust per descriverla questa sfilata di soli vestiti. La domanda oggi è: ma come mai in questo mondo orrendo ogni tanto si trova la carità e la grazia, nonostante tutto? E’ là che il vero artista deve andare a indagare. Il problema è: esiste ancora dell’umano da indagare?».
Cosa accade alle spalle di Branciaroli?
«Teatralmente non succede un bel nulla da tempo. L’unico è Ronconi che ogni tanto fa succedere qualcosa, ma ha 76 anni e non gode ottima salute. C’è poi una genia di critici che, ogni tre o quattro anni, annuncia il nuovo, grande attore o drammaturgo italiano. Tipo il Fausto Paravidino, spiegato alle masse come il nuovo Ibsen. Gli altri nomi? Non li so, spariscono subito, bisogna andarli a cercare su internet».
L’attore oggi alla moda è Toni Servillo.
«E’ l’effetto cinema. Il cinema italiano resta un fenomeno amatoriale. Appena varcano Chiasso è finita. "Gomorra"? Per carità, non lo voglio vedere, so già di che si tratta. I temi sociali trasferiti al cinema o a teatro mi disturbano. Per questo, mi basta leggere un giornale. Michelangelo Antonioni mi diceva: "Filmare è mostrare, se non hai i soldi per mostrare che cazzo mostri? Casa tua, la via di sotto? Teatraccio filmato". Lui andava in America a filmare i deserti».
In televisione la si vede poco o nulla.
«Non è una mia scelta. Non gliene frega niente a nessuno di un teatrante. Non sanno neanche che esisto. Loro vanno a riprendere la gente che caga nei cessi. Il loro sogno televisivo è specchiarsi nel pubblico a casa, ragliare come raglia lui».
Il teatro allunga la vita. Spot o beffa di Stato?
«Il teatro uccide anche, dipende da come lo fai. Carmelo Bene, per dire, è durato pochissimo. Se il teatro è svogliatezza puoi vivere anche fino a 104 anni. Io? Chissà. Io non sono uno genio e sregolatezza, ma questa è un’attività che ti logora dentro. Credi di essere una persona normale e magari sei invece un pazzo. Uno che con il prossimo non ha più niente da fare».
Il più grande e godibile attore planetario?
«Il Peter Sellers di "Oltre il giardino", l’ultimo grande film che ho visto».
Sua moglie Anna la segue in tournée?
«No, si annoierebbe a morte. Solo io riesco a trovarla ancora divertente la vita teatrale. Mi piace passare le ore nelle camere d’albergo, sdraiato sul divano. Ho appena finito un libro di 1200 pagine di Forrest Wallace, "Infinite Jest". Un lusso che i comuni mortali non si possono permettere».