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 2009  febbraio 28 Sabato calendario

MILANO MI HA TRADITO MA ALLA FINE HO VINTO IO"


Da questa vicenda potevo uscire in due modi. Buttandomi dalla finestra, come fece mia sorella Isabellina. Oppure incollando pezzo per pezzo i rottami della mia vita. Ho scelto la seconda strada e oggi sono sereno. Ma intanto sono passati 26 anni. Riesce a immaginarsi in che modo?».
«Oggi», per Angelo Rizzoli, significa il primo giorno da prosciolto. I suoi sei processi, dice, sono stati finalmente «disinnescati». Quanto gli siano costati in termini finanziari preferisce non saperlo («qualche milione di euro sicuramente: se pensa che la Rizzoli, all’epoca, venne valutata 400 miliardi di lire...»). Quanto in termini emotivi, lo scopre guardandosi allo specchio tutte le mattine.
L’atto finale è della Cassazione, che ha cancellato la condanna a tre anni e quattro mesi per bancarotta: «Bancarotta impropria, l’avevano chiamata: perché per me, caso unico in Italia, era stato deciso che scattasse anche se non c’era stato fallimento. Dopodiché la Corte ha preso atto che, con la nuova legge, l’amministrazione controllata non è più omologabile al fallimento: perciò, il reato non sussiste. Ma ci tengo a dirlo, né io né la Rizzoli siamo mai falliti».
E dunque Angelone è ufficialmente pulito. Il nipote del Cumenda, il ragazzo grasso e timido che voleva diventare editore come il nonno, e che per questo si laureò in Scienze politiche e si prese pure un Ph.D. alla Columbia di New York, quello che nei giorni di gloria sposò Eleonora Giorgi, che s’impegolò con la P2 per salvare il «Corriere della Sera» e che finì in carcere per 13 mesi, suscitando il brivido e il ludibrio delle grandi famiglie milanesi, oggi può ricominciare a vivere. Peccato che di anni, a questo punto, il ragazzo, ora produttore televisivo di successo, ne abbia già 65.
Rizzoli, lei ha tre figli. Come gliela racconta questa storia?
«Spiegandogli che a un certo punto mi è caduta addosso una tempesta mediatica, che mi ha fatto apparire completamente diverso da come so di essere. E che, condizionati da questo ciclone, i magistrati milanesi mi hanno arrestato, buttato in carcere nonostante fossi malato in modo noto ed evidente (di sclerosi multipla non degenerativa ndr), sequestrato e alienato i beni. Va anche detto che, con perfetto distacco, lo stesso pm che mi fece arrestare poi mi prosciolse in istruttoria: no, non faccio parte del partito antimagistratura. Ma ai miei figli dico soprattutto che il carattere conta più dell’intelligenza. Perché è col carattere che si esce dai guai».
Come si fa a ripartire?
«Ho avuto la fortuna di incontrare una donna straordinaria. Mia moglie Melania non mi ha fatto mancare il suo appoggio neppure per un minuto. Con lei ho costruito una famiglia solida e tranquilla. E poi c’è stato Silvio Berlusconi, l’unico che mi ha dato una mano».
Quando vi siete conosciuti?
«Nel 1975, mentre stava lanciando Milano 2, uscì sul ”Corriere d’informazione” un pezzo molto critico sul progetto. Mi venne a trovare per spiegare le sue ragioni e da allora siamo rimasti in contatto. Quando uscii di prigione e tutti mi trattavano come un paria, lui m’invitò a pranzo ad Arcore e mi fece un discorso molto diretto: guarda avanti, ricomincia da una piccola cosa, ma lasciati alle spalle il passato. Nella tradizione della tua famiglia non ci sono soltanto i libri e i giornali, ci sono anche i film. Se ti metti a produrre film per la tivù, ricordati che io te li comprerò sempre. Ha mantenuto la promessa».
Qualcuno ipotizzerebbe una solidarietà targata P2.
«E sbaglierebbe. Ho conosciuto Silvio molto prima che si cominciasse a parlare di P2. Qui si tratta di rapporti umani e di nient’altro».
Che cosa si rimprovera?
«Parecchie cose. Ma non mi sento di aver commesso errori così gravi da giustificare quel che mi è successo».
Per esempio?
«Non sono orgoglioso dei miei rapporti con Calvi e con gli uomini della P2. Ma va anche detto che ho tentato di tenerli fuori dal ”Corriere”. Era una partita difficile».
Chi l’ha incastrata?
«I poteri forti, cioè quel connubio fra politica e finanza che spesso trova la sua sintesi nelle banche».
Accennava all’ostracismo che ha subito in quei giorni a Milano.
«Eravamo i re della città, i proprietari del Milan, il nonno inaugurava scuole e ospedali ed era popolarissimo. Di punto in bianco ecco gli appuntamenti cancellati, le telefonate non restituite, le facce voltate dall’altra parte. Una sera a cena, da mio cugino amministratore delegato della Banca Commerciale, tutti i commensali fissarono gli occhi nel piatto per non darmi la mano. Scappai da quella casa in lacrime».
E infatti lei vive a Roma dall’89. Non torna mai nella sua città natale?
«Il nonno scendeva a Roma soltanto per il cinema, noi Rizzoli lì ci eravamo sempre sentiti un po’ estranei, non commerciavamo con la politica. Quando comprammo il ”Corriere della Sera” ce l’hanno fatta pagare. Ma non perdono i milanesi che mi hanno trattato in quel modo. Adesso ci vado solo per lavoro, una riunione e via. Non sarà una sentenza a farmi cambiare idea».