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 2009  marzo 02 Lunedì calendario

«Giovanni Galli l’ha un sol difetto: l’è pisano!». Scherzava così l’altro giorno l’edicolante sotto il Franchi, glorioso stadio della vecchia Fiorentina da cui è partita un’avventura che, poiché cominciò col calcio, non può che finire con la sua più naturale prosecuzione con altri mezzi: la politica

«Giovanni Galli l’ha un sol difetto: l’è pisano!». Scherzava così l’altro giorno l’edicolante sotto il Franchi, glorioso stadio della vecchia Fiorentina da cui è partita un’avventura che, poiché cominciò col calcio, non può che finire con la sua più naturale prosecuzione con altri mezzi: la politica. Raccontano da Firenze che la scelta del Pdl toscano è ormai certa, manca solo - dettaglio però non da poco - la benedizione di Silvio Berlusconi, che sarà a Bruxelles e poi in Medio Oriente e «esaminerà al suo rientro le candidature che gli verranno sottoposte sul tavolo dai dirigenti locali del partito, di solito noi facciamo così», illustra Paolo Bonaiuti. I dirigenti locali del partito sono d’accordo, e se restasse fermo il cortese diniego di Bonaiuti a correre, il Cavaliere valuterà diciamo senza ostilità il possibile imprimatur a Galli, per il quale si è speso Denis Verdini, l’uomo di tutte le candidature forziste degli ultimi anni. Magari, Galli guiderebbe una lista civica di personalità dello sport e dello spettacolo, aggiunta a quella più tradizionale del Pdl: «Le nostre facce non possono attirare più voti di quelli che già abbiamo. Galli invece è in grado di convincere anche chi è non è sicuro di andare a votare». Se andrà così, sarà allora l’ex portiere a sfidare Matteo Renzi, e prima di alzare il ditino e sorridere la sinistra-so-tutto-io farebbe bene a valutare i rischi dell’ennesima vicenda calcio-politica nel centrodestra, parabola sul concetto di impossibilità relativa (nulla è impossibile) nell’Italia 2009. Perché Galli anche tra i pali era uno riflessivo, non il genere di portiere-kamikaze alla Stefano Tacconi, che tentò la strada della politica in improbabile formazione di estrema destra alle regionali lombarde (e con annunci del tipo «credo che potremmo avere la possibilità di curare il cancro, la cura ci viene nascosta ma c’è»). La sua visione della politica, per quanto apparentemente limitata all’elogio del Silvio, è in realtà più scaltra e prudente di quella di sconsiderati calciatori-esternatori alla Cannavaro, o alla Totti: Galli non l’avete mai pescato a dire boiate pazzesche. Al limite, nel ”94, anno della discesa in campo, poteva uscirsene con cose come «Berlusconi sapeva sempre che cosa dire a ciascuno di noi ed era difficile che non riuscisse a toccare il tasto giusto per sollevare il morale e farti rendere di più. Quindi lo saprà per l’Italia». Così, adesso, si presenta come lui, «semplice apprendista della politica»: «Sì, la cosa mi è stata chiesta, e con Verdini siamo stati in riunione venerdì scorso per vedere se le esigenze del partito e alcune mie idee e richieste potevano collimare».  vero che l’ex portiere della Fiorentina, poi passato al Milan di Arrigo Sacchi, e della Nazionale, vorrebbe che Berlusconi gli desse una mano un po’ come ha fatto - eufemismo - con Cappellacci in Sardegna? «Diciamo che è uno dei temi in discussione», ammette Galli. «Sto studiando molto, se il presidente (lo chiama solo così, nda.) darà il suo via libera ora si apre un altro capitolo e un’altra storia. Anche se io personalmente son sempre stato in ottimi rapporti anche con Domenici, con Cioni, che hanno molto aiutato la Fondazione dedicata a mio figlio (scomparso nel 2001 a soli dicott’anni in un incidente in motorino, nda); e negli ultimi tempi anche con Renzi...», Cioni, l’assessore della giunta Domenici intercettato nell’ultima inchiesta sugli appalti della zona di Castello, è stato uno dei primi a cogliere acutamente il pericolo Galli, ha invitato a non alzare il sopracciglio i tanti esteti della gauche alla fiorentina, i Giorgio Van Straten, neo consigliere Rai veltroniano, i Paul Ginsborg, eroe della stagione girotondina, il litigiosissimo Pd, persino qualche professore moderato non proprio entusiasta dell’ennesima trovata calcio-politica, come Antonio Paolucci. No, li ha avvisati Cioni, «non sottovalutate Galli. Ha ottimi rapporti con la Curia e la sua Fondazione fa assistenza vera». Appunto, Curia più fondazione; anche se Galli nell’eloquio mostra ancora di ricordarsi più Gullit e Van Basten che il nome del vescovo. Attenti, però: lo sa benissimo. E conosce meglio di tanti altri - in parte usando armi affini - il suo probabile rivale: «Sì, sono stato contento della vittoria di Matteo alle primarie, ha rotto coi riti della sinistra, io l’ho conosciuto e c’è un rapporto di simpatia. Però so che mi teme, perché anch’io ho un grande rapporto con la gente, è la cosa che so fare davvero bene, girare tra le persone, parlare, un po’ come lui... Tempo fa ci incontriamo a una cena e Matteo, grande tifoso viola, mi fa ”Giovanni, so che potresti correre per fare il sindaco, quanto mi piacerebbe farti un gol”. Io gli ho risposto ”beh sai, non è mica così facile...”». Di Sacchi dice: « stato il più grande allenatore che abbia mai incontrato. Noi dovevamo pensare solo a noi stessi, chiunque avessimo di fronte dovevamo giocare il nostro calcio e fare in campo quello che avevamo fatto in allenamento. Non davamo spazio a negatività», rifiuto dei cattivi pensieri effettivamente molto berlusconiano, quasi un programma politico (ottimismo forever). Sul Cavaliere ha confidato: «Oggi ho un po’ di rimorso per aver lasciato il Milan, e il presidente ogni volta che mi incontra mi punta il dito e mi dice ”tu sei l’unico giocatore cha ha deciso di lasciare il Milan di sua volontà”». Di sé, infine, dice: «Ritengo che se mi è stata data questa possibilità, sicuramente non è perché sono stato un calciatore famoso, altrimenti mi avrebbero dato qualcos’altro, il pallone d’oro». Come se anche quello, in fondo, dipendesse da Silvio.