Sergio Romano, Corriere della sera 28/2/2009, 28 febbraio 2009
IPPOLITO E SILVESTRI DUE PROFETI DEL NUCLEARE
Pochi oggi sanno che già agli inizi degli anni Sessanta eravamo all’avanguardia nel ricorso al nucleare per la produzione di energia elettrica, ciò grazie al professor Felice Ippolito, eletto deputato nelle liste del Pci. L’iniziativa fu stroncata mediante l’utilizzazione – per la prima volta nella storia repubblicana – dello strumento giudiziario. Allora furono i democristiani. Chi di spada ferisce...
Vittorio A. Farinelli
Caro Farinelli,
Ho conosciuto e frequentato Felice Ippolito dopo il suo ritorno dal Parlamento di Strasburgo dove aveva trascorso due legislature fra il 1979 e il 1989. Era stato eletto nelle liste comuniste, ma fu sempre «liberal» e molto più vicino al Partito repubblicano di Ugo La Malfa e ai radicali di Marco Pannella che non al Pci. Mi piacevano la sua intelligenza, la sua ironia, la divertita rassegnazione con cui descriveva i mali del mondo e la sua signorilità napoletana. Fu signorile anche nel 1964 quando venne fantasiosamente accusato di avere approfittato dei fondi del Cnen (Comitato nazionale per la energia nucleare, di cui era segretario generale) e condannato a dieci anni di reclusione. probabile che i democristiani, come lei scrive, abbiano avuto le loro responsabilità, ma anche Giuseppe Saragat, leader dei social-democratici, temeva che Ippolito facesse del Cnen ciò che Enrico Mattei aveva fatto dell’Agip e diventasse un altro dittatore occulto della politica italiana. Si accorse probabilmente di avere commesso un errore e lo graziò dopo la sua elezione alla presidenza della Repubblica. Ma il danno, ormai, era difficilmente riparabile. Il processo di Felice Ippolito aveva tolto di mezzo l’uomo che era riuscito a fare dell’Italia, con le centrali del Garigliano e di Latina, il terzo produttore mondiale di energia nucleare. Quando andò a Strasburgo, Ippolito cercò di rendere all’Europa il servizio che non aveva potuto rendere al suo Paese. Ma erano gli anni in cui l’energia nucleare stava diventando la bestia nera dei movimenti ecologisti; e Ippolito non poté fare nulla per impedire che il referendum del 1987, pochi mesi dopo il disastro di Cernobyl, seppellisse le speranze e le ambizioni del nucleare italiano. In patria, durante gli ultimi anni della sua vita (morì nel 1997), si occupò di miniere, protezione civile e soprattutto dell’Antartide dove esiste dal 1986 una stazione italiana.
Nel ricordare Felice Ippolito, caro Farinelli, non sarebbe giusto dimenticare Mario Silvestri, professore di impianti nucleari al Politecnico di Milano, creatore del Cise (Centro Informazioni Studi Esperienze), progettatore di un grande reattore nucleare a nebbia (il «Cirene ») e della centrale nucleare di Trino Vercellese. Mentre Ippolito cercava di impegnare lo Stato e sognava l’equivalente italiano della Commissione americana per l’energia atomica, Silvestri lavorò a suscitare l’interesse e l’impegno della grande industria, dall’Edison alla Fiat, dalle acciaierie di Cogne alla Montecatini. Alla fine, dopo un lungo duello, entrambi i paladini del nucleare italiano furono sconfitti dagli stessi nemici: l’egoismo degli interessi economici, la miopia dei po-litici, le irrazionali paure degli enti locali, la mancanza di ambizioni della società nazionale. Delle centrali che verranno costruite dopo questo lungo purgatorio del nucleare italiano, la prima dovrebbe essere dedicata a Ippolito, la seconda a Silvestri.