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 2009  marzo 05 Giovedì calendario

RENATO ZERO VI PIACCIO TRAVESTITO DA UOMO NORMALE?


«L’abito non fa il monaco, fa solo un gran casino. Lasci che glielo dica uno che come linea d’abbigliamento indossa il caos. Quel mozzicone di stoffa che è la cravatta semplifica la vita e rende rispettabili. Io invece, fin da ragazzo, le mie idee me le sono messe addosso. Non ho mai dovuto aprire una ventiquattrore per mostrare il campionario, ero un teatro ambulante, un libro aperto». Maglione nero a collo extralarge, pantaloni scozzesi rosso acceso e una tazza di decaffeinato tra le dita, Renato Fiacchini, in arte Zero, s’illumina ogni volta che rievoca i primi azzardi di una vita artistica fuori dal coro. «A Roma si dice: ”Chi s’alza prima si veste”. E, piaccia o no, sull’apparenza sono arrivato prima di tanti altri».
Lei usciva di casa travestito da Renato Zero pur avendo un padre poliziotto e come vicini di casa 136 famiglie di agenti di polizia.
Sono andato per gradi. I primi tempi uscivo con una borsa dove nascondevo i paramenti e gli arnesi del mestiere. Per la vestizione usavo i portoni dei palazzi. Le piume di struzzo al civico 98, i fuseaux al 100, la «stivalata» al 102…
Com’è andata la prima volta che suo padre Domenico l’ha vista agghindato in abiti non convenzionali?
I miei paramenti erano gettonatissimi tra i poliziotti. Ogni tanto, mentre camminavo per strada, mi caricavano su uno dei loro carrettoni e mi portavano al commissariato di Campo Marzio, dove era in servizio mio padre. «Che ci fai ancora qui?» era la sua reazione ogni volta che mi vedeva nello stanzone dei fermati. Mi blindavano per accertamenti, ma in realtà alcuni colleghi di papà avevano una curiosità morbosa nei miei confronti. Ero il loro momento di sollazzo. Finiti gli sfottò, mi lasciavano andare. Papà, nonostante la divisa e la sua provenienza da una famiglia di pastori, era una persona estremamente tollerante e paziente.
La cito: «Dietro questa maschera, lo sai ci sono io» cantava nella «Favola mia». Il trucco e i travestimenti facevano davvero parte di lei oppure sono stati una scorciatoia per il successo?
Il make-up e gli strass non hanno nascosto il vero Renato. Anzi, l’hanno esaltato e fatto venire fuori in tutta la sua genuinità.
Ma lei non s’è mai vergognato per un aspetto sempre sopra le righe in qualsiasi corcostanza?
No, ma ho provato disagio per l’imbarazzo degli altri. Oggi sembra tutto facile, ma negli anni Settanta sedersi di fianco a Renato Zero poteva essere disdicevole.
Che uomo sarebbe stato Renato Fiacchini senza i travestimenti di Renato Zero?
Un uomo problematico. A me i boa di piume e i lustrini hanno salvato la vita. E mi hanno insegnato a dialogare anche con il più feroce dei duri da periferia. Anzi, dirò di più: io il mio Oscar l’ho vinto sul marciapiede.
In che senso?
A 16 anni me la giocavo in strada con i «bori» di 30 che mi ammazzavano con le parole. Ma non chinavo il capo, tornavo indietro e li affrontavo: «Perché mi dite così? Venite che Renatino vi offre un caffè». Il giorno dopo quelli erano sedati e gli insulti arrivavano da altri «truzzi». E allora, pronti con un altro caffè. Roba da star svegli tre giorni di fila.
Lei si definisce un cattolico praticante?
A modo mio sono un praticante solitario, nel senso che per questioni di concentrazione vado in chiesa quando non c’è nessuno. M’inginocchio e rifletto sulla mia vita e su quella dei miei cari.
Che cosa fa nella vita Renato Zero quando non si occupa di musica?
Esco di casa e vado dal fruttivendolo o dal macellaio. Mi metto in fila con il mio sacchetto e parlo poco. Le urla e le scene isteriche di un tempo sono rare. Non perché non mi amino più, ma perché la gente normale, oggi, ha problemi seri. E io mi faccio sempre più piccolo perché non voglio che mi dicano: «Renà, scusa se non ti faccio festa, ma oggi mi rode il c… Sai ho problemi di lavoro, di soldi».
Un tempo i suoi fan, noti come «sorcini», la veneravano e la seguivano passo passo per 24 ore al giorno.
Sapesse quante volte ho detto a questi ragazzi: non v’accanite così, non vestitevi come me sul palco, pensate di più al vostro futuro, Renato vi può guidare fino a un certo punto, ma poi dovete cavarvela da soli. Nella vita reale non esiste un supereroe chiamato Zero. Anch’io ho i miei difetti, faccio cavolate e sono vulnerabile. A casa mia sono venuti i carabinieri per cercare fan minorenni che non si trovavano più. Non so se mi spiego. Per uscire di casa mi nascondevo nel furgone della lavanderia in mezzo ai panni sporchi e puzzolenti. Ero agli arresti domiciliari.
Ma questi sorcini erano anche nullafacenti, oltre che un po’ ossessivi?
Si figuri che due dei più caldi sono diventati rispettivamente presidente di una banca e magistrato al tribunale di Milano. Ma il migliore è stato quel medico che non aveva mai confessato la sua zeromania. Dopo avermi visitato, tutto rosso in faccia, mi ha confessato: «Finalmente sono riuscito a toccarti». Mi ha scioccato.
Per il nuovo disco ha deciso anche di sfidare le regole della discografia tradizionale. Il che significa…
Che Presente, il mio nuovo cd con 17 canzoni inedite, non avrà una major alle spalle per quanto riguarda la produzione, il marketing e la distribuzione. Se ne occuperà una società chiamata Tattica, intestataria dei miei diritti. la prima volta che un artista si cimenta in un’impresa del genere.
Si racconta di un suo leggendario concerto, negli anni Settanta, in provincia di Modena, a Zocca, il paese natale di Vasco Rossi. Che in quell’occasione sarebbe stato anche l’organizzatore della serata.
Tutto vero. Lui faceva il dj ed era in società con un promoter di concerti. Lo spazio dello show era mitico: i giardinetti pubblici del paese. Dopo il terzo pezzo ci fu un botto micidiale e l’amplificazione andò a fuoco. Allora, per non far saltare la data e perdere l’ingaggio, mi misi a raccontare barzellette. Vasco e il socio mi diedero 1 milione e mezzo di lire dicendomi: « la prima volta che paghiamo qualcuno per non cantare».