Margherita De Bac, Corriere della Sera 02/03/2009, 2 marzo 2009
Inutile provarci. Nello scacchiere italiano dei ticket è davvero un’impresa scovare due Regioni sovrapponibili
Inutile provarci. Nello scacchiere italiano dei ticket è davvero un’impresa scovare due Regioni sovrapponibili. La situazione è drammaticamente disomogenea, ovunque ti sposti. Esistono ventuno repubbliche differenti. Uno degli effetti del federalismo che ha dato alle amministrazioni locali l’autonomia di legiferare in materia di sanità. Percorriamo un ipotetico itinerario attraverso la Penisola. Partiamo dalla Calabria. Per avere i farmaci di fascia A (quelli rimborsabili) non si paga nulla e lo stesso vale al pronto soccorso dove le prestazioni, anche la più banale come la medicazione di una ferita, sono gratuite. Per esami diagnostici e visite specialistiche invece il cittadino versa un massimo di 36,5 euro a ricetta. Saliamo verso il Nord. Nel Lazio, prima Regione ad aver subito il commissariamento da parte del governo, i romani sborsano 4 euro a confezione se il medicinale costa più di 5 euro, la metà se è inferiore. Tutto gratis al pronto soccorso. Per specialistica e diagnostica, i contributi dipendono dalle prestazioni (ad esempio 15 euro per risonanza magnetica e Tac). Ultima tappa in Lombardia, regione con bilancio in pari, eppure perseverante nel riscuotere il contributo alle spese farmaceutiche: 2 euro o 1 euro a seconda del prezzo della confezione, di pronto soccorso (25 euro i codici bianchi, cioè gli interventi meno urgenti che non richiederebbero l’impegno di una struttura deputata alle emergenze), e di specialistica (massimo 36 euro per 8 prestazioni). Una vera e propria giungla, secondo l’indagine molto aggiornata condotta dal quindicinale il Bisturi, pubblicata sul numero in uscita domani, e dal Ceis di Tor Vergata. Oltre a non garantire equità di trattamento ai contribuenti, favoriti o sfavoriti a seconda di dove abitano, il sistema dei ticket così come è applicato oggi si dimostra fallimentare per molti altri versi. Nato come strumento di appropriatezza e controllo della spesa, viene quasi ovunque utilizzato per colmare i buchi di bilancio. Una tassa. In pratica i cittadini scontano la colpa dell’inefficienza gestionale delle amministrazioni. Sarebbe forse venuto il momento di intervenire, di introdurre una sorta di linguaggio comune in modo da rendere omogeneo il sistema di riscossione. Sempre nel rispetto dell’autonomia delle Regioni. «Non si può fare a meno dei ticket, intesi soprattutto come strumento di regolazione dei servizi. Se devi pagare stai attento a acquistare farmaci, la gratuità invece è sorgente di abusi. E’ inconcepibile che esistano differenze di modelli perfino tra Asl contigue », afferma senza giri di parole Francesca Martini, sottosegretario al Welfare. E’ convinta che «Stato e Regioni debbano avviare un dibattito. Sono misure impopolari, la parola fa paura ai governi, ma ritengo ci debba essere una sorta di Lea dei ticket decidendo quanto e come il cittadino deve pagare in tutta Italia». Mette le mani avanti Enrico Rossi, assessore della sanità in Toscana, coordinatore della commissione Salute delle Regioni, preoccupato che si possa procedere a una ridistribuzione del Fondo per la sanità per soccorrere le amministrazioni in deficit: «Non si penserà che per rendere i cittadini tutti uguali di fronte al ticket si vengano a togliere i soldi a noi. Il ticket non è uno scandalo. Noi abbiamo il diritto di fare le nostre politiche». Chissà se se ne parlerà durante le negoziazioni sul nuovo Patto per la salute 2010-2011, primo appuntamento questa settimana. Il ministro del Welfare Maurizio Sacconi si ritrova sul tavolo anche il caso Calabria, 2 miliardi in rosso. C’è minaccia di commissariamento. La Regione governata da Agazio Loiero, governatore di centrosinistra, è tra quelle che non applicano ticket né su farmaci né al pronto soccorso: «Siamo in grande difficoltà – riconosce il presidente che sabato pomeriggio ha parlato con Sacconi ”. Non abbiamo previsto finora di gravare sui cittadini per non colpirli in una fase di profonda crisi economica. Il deficit è di 1 miliardo e 700 milioni, altri 635 milioni sono trattenuti dal governo e non c’è liquidità. Le aziende hanno chiesto anche tre anticipi alla tesoreria. L’importo di interessi passivi è di 77 milioni e ci uccide». Loiero però è titubante sui ticket: «Sono impopolari. Sa, noi votiamo tra un anno... Vediamo». In Lombardia, che ha chiuso il 2008 in pareggio ed è nell’elenco delle virtuose, i ticket sono stati introdotti nel 2001 quando occorreva riagguantare il pareggio in bilancio. Da allora non sono stati più aboliti. Ma sono escluse dal versamento moderato molte categorie di cittadini: «Il nostro imperativo è evitare gli sprechi – spiega la filosofia della giunta Formigoni, l’assessore al bilancio, Romano Colozzi ”. Li usiamo come forma di disincentivazione e non per incamerare risorse. Meglio perseguire una politica come la nostra che rinunciare a queste misure e poi adottare pressioni di altro tipo sui pazienti. Esempio obbligo di prescrivere generici per avere la completa gratuità. Significa limitare la libertà di scelta all’interno del prontuario». La prima crepa nel sistema dei contributi alla spesa da parte degli utenti si è creata nel 2001 quando il governo di Giuliano Amato, ministro della salute Umberto Veronesi, decise di cancellarli. Da allora è stato difficile tornare indietro. Ci ha provato Romano Prodi, nel 2007: 10 euro per le visite specialistiche. L’allora ministro della salute, Livia Turco, racconta che quella decisione fu l’incubo di diverse nottate insonni. Alla fine Prodi fu costretto ad una ritirata. Se qualcuno oggi volesse riprovarci, non potrebbe prescindere da una energica riorganizzazione delle esenzioni, basate sul reddito e sul tipo di malattia. Disomogenee e spesso inique. Margherita De Bac