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 2009  marzo 02 Lunedì calendario

ROBERTO MANIA PER LA REPUBBLICA DI LUNEDì 2 MARZO

Lobby è una parola inglese che tradotta in italiano diventa, più o meno, una parolaccia. Eppure tutti fanno lobby: le grandi imprese private, come la Fiat; quelle pubbliche, come l´Eni o l´Enel; i sindacati e la Confindustria, i consumatori e gli ambientalisti, i notai e i tassisti, i costruttori e i commercianti, le banche e le assicurazioni. La fa pure la Chiesa, si sa. Anche se poi «nell´immaginario popolare e colto, le lobby stanno per potere indiscriminato perseguito con ogni mezzo e fuori da ogni regola, specie da parte di forti interessi economici», come ha scritto il politologo Gigi Graziano in un libro intitolato "Lobbies".
Barack Obama ha pubblicamente dichiarato guerra ai potenti lobbisti americani di K Street. Da noi è tutto più opaco, all´italiana. Ci sono i lobbisti ma nessuna legge ne regola l´attività: dal 1948 sono state presentate 27 proposte di legge (due in questa legislatura) e un solo disegno di legge è arrivato dal governo (secondo governo Prodi) ma mai un´Aula parlamentare ha discusso dell´argomento. Ci si definisce orgogliosamente lobbisti solo da qualche anno, da quando sono nate le prime società dichiaratamente di lobbying. In assenza di un albo ma anche di un registro, si stima a spanne che siano oltre un migliaio i lobbisti italiani di professione. Contro i 15 mila di Washington e gli altrettanti che gravitano su Bruxelles.
 un mondo di potere, di scambi, di relazioni, di rapporti massimamente contigui con la politica. Ad alto rischio etico. Nel gioco ciascuno mette in campo il proprio interesse che - per dirla con Montesquieu, «è il più grande monarca della Terra». Appunto.
Un tempo - nella prima Repubblica - gli interessi erano rappresentanti direttamente in Parlamento. La Coldiretti aveva i suoi 40 deputati nelle file della Dc, così le cooperative rosse nel Pci. Poi è cambiato tutto. Fino alle liste elettorali definite per cooptazione. Le grandi associazioni di categoria hanno smarrito i propri punti di riferimento e hanno dovuto rafforzare la propria azione di lobby. Anche il lobbista si è dovuto adeguare. «Negli ultimi dieci anni - dice un anziano lobbista, consulente di diversi grandi gruppi privati - il parlamentare è diventato inaffidabile. Abbiamo dovuto concentrare la nostra azione sul governo centrale e su quelli locali».
Resta il fatto che in Parlamento ci si deve andare. E non tutti possono entrare, aspettare i deputati e i senatori nei corridoi delle Commissioni o in Transatlantico. Il primo tipo di lobbista all´italiana è proprio quello che può varcare il portone di Montecitorio o quello di Palazzo Madama: sono gli ex parlamentari e i giornalisti, non proprio rigorosi nell´interpretare il loro ruolo. Lobbisti in chiaro scuro, artigianali, un po´ d´antan. Le tecnologie oggi, però, permettono di raggiungere il singolo deputato ben più facilmente. E qui cominciano a entrare in campo le nuove società di lobbying. Il pioniere, all´inizio del 2000, è stato Claudio Velardi, già nello staff di Massimo D´Alema a Palazzo Chigi, con la sua "Reti". Velardi si definisce «lobbista in sonno» da quando fa l´assessore nella giunta campana di Antonio Bassolino. La sua società fattura 5-6 milioni l´anno. Tra i clienti Autostrade, Enel, Eni, Sky e anche per la Conad che voleva poter vendere i carburanti fuori dai supermarket. Era suo cliente anche Alfredo Romeo travolto dall´inchiesta napoletana sulle gare per manutenzione delle strade cittadine.
Lo schema di azione di "Reti" e delle altre società di lobbyng (dalla "Cattaneo Zanetto & co." alla "VM Relazioni istituzionali" di Vincenzo Mascellaro, alla multinazional Burson-Marsteller, fino alla neonata "Beretta-Di Lorenzo & parteners", fondata dall´ex direttore generale della Confindustria e responsabile delle relazioni istituzionali della Fiat, Maurizio Beretta) è più o meno lo stesso: si fa il "monitoraggio parlamentare" per capire gli effetti di determinati provvedimenti sugli interessi dei propri clienti, poi si passa al pressing. Distinguendo tra coloro che hanno potere decisionale (i membri del governo, i presidenti delle Commissioni e i capigruppo) e coloro che possono esercitare un´azione di influenza, deputati di prestigio ma anche i giornalisti. La manovra è a raggiera. Questi sono i professionisti della lobby. Dice Giuseppe Mazzei, responsabile istituzionale di Allianz, promotore dell´associazione "Il Chiostro", per la trasparenza delle lobby: «La nostra è una professione vera. Non si può improvvisare, non è un magheggio. Bisogna trovare le persone giuste, creare le condizioni, informare».
Chi ha visto da vicino le lobby in azione è stato l´ex ministero dello Sviluppo economico, Pier Luigi Bersani, che con le sue lenzuolate sulla liberalizzazioni se l´è trovate un po´ tutte davanti. «Ma il primo ostacolo da superare era quello del Consiglio dei ministri. Un esempio? Quando ho cercato di abolire il Pubblico registro automobilistico. La "lobby dell´Aci" è stato più forte». Piegato sul Pra e da un tardo sottogoverno democristiano, a Bersani è andata meglio su altri versanti, nonostante i farmacisti, gli avvocati e i commercianti. «Eppure - dice - ricordo quando venne da me Sawiris, il proprietario di Wind, per dirmi che l´abolizione della tassa sulle ricariche telefoniche lo avrebbe costretto a licenziare. Lo avvertii: spero che lei non lo faccia!».
Andò male a Roberto Maroni, quando da ministro del Welfare tentò la riforma della previdenza complementare. Lo bloccarono le assicurazioni. Alcuni ministri (tra cui Giorgio La Malfa, allora ministro per le Politiche comunitarie) arrivarono a Palazzo Chigi alla riunione del Consiglio dei ministri con il dossier preparato dall´Ania, l´associazione delle assicurazioni, il cui direttore generale era all´epoca Giampaolo Galli che ora ha preso il posto di Beretta alla Confindustria. Lobby.
C´è chi ha provato a fare il lobbista in senso stretto, ma non gli è andata bene. «Facciamo anche noi lobby!», tuonò l´allora segretario generale aggiunto della Cgil, Ottaviano Del Turco, in una riunione unitaria delle confederazioni. Erano i primi anni Novanta. Cgil, Cisl e Uil mandarono una loro "rappresentanza" ai gruppi parlamentari. Ricorda Giuliano Cazzola, oggi deputato Pdl ma a quei tempi anche lui uno dei segretari confederali Cgil: «Ci ospitò il gruppo parlamentare del Pci. Peccato che quando si accorsero di noi ci comunicarono anche che nella notte la Finanziaria era stata approvata...».
«Faccio il lobbista dagli anni Ottanta e non sono affatto pentito», attacca Vincenzo Mascellaro, con un passato da manager alla Firestone, alla 3M Italia, a Autostrade e alla Sisal. Ora ha una sua società con una partnership negli Stati Uniti. Se nelle nostre automobili siamo tutti forniti di giubbotto riflettente lo dobbiamo alla sua azione di lobby, imperterrita: dal ´94 al 2001, quando venne approvato il nuovo codice della strada. Era della 3M la tecnologia necessaria. Ora, Mascellaro, sta aprendo il dossier sulle energie rinnovabili. «Tanto il nucleare non si fa», sostiene. Ma la lobby serve a tante piccole cose. Per esempio a far passare (dopo tre anni di pressing dell´Anfia e dell´Ancma) il "tuning libero". Che cos´è? la possibilità di modificare senza il nulla osta della casa madre alcune parti della propria auto, salvaguardando la sicurezza. Ma soprattutto: che cosa c´entrava con il decreto Milleproroghe? Chiedere ai lobbisti.