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 2009  marzo 02 Lunedì calendario

ALBERTO STATERA PER LA REPUBBLICA DI LUNEDì 2 MARZO

Lobbista e gentiluomo. Un´equazione improbabile in Italia dove, in assenza di veri codici professionali, si fa oggi lobbying nella melassa del salotto della signora Maria Angiolillo a Trinità dei Monti e in altri consimili, pur se meno prestigiosi. Tra ministri in carica, ex ministri, leader della maggioranza e dell´opposizione, banchieri e capi azienda, guitti e ballerine, quasi sempre sotto l´occhio vigile di Gianni Letta e del Bruno Vespa di turno. Con scorno dei professionisti autentici, pochi, che vedono mortificato il loro ruolo e la loro professione, riconosciuta in America e altrove, confusa col malaffare di tanti millantatori e mestatori. Come molti di quegli habitué incorporati nei divani del Transatlantico di Montecitorio, iscritti magari all´Associazione della Stampa Parlamentare, ma che in vita loro mai hanno scritto non un articolo e neanche un biglietto d´auguri.
Altri tempi, pur se non proprio commendevoli, quelli del presidente della Confindustria del dopoguerra Angelo Costa, quando i politici democristiani, che uscivano dalle sacrestie di provincia recitando a memoria il Pater Noster, avevano bisogno dei "supporti tecnici".
Spesso, è vero, accompagnati da viatici monetari distribuiti equamente, secondo le quote di potere partitico detenute. Tot alla Dc, che talvolta "girava" direttamente quote al Psdi di Giuseppe Saragat e al Pli di Giovanni Malagodi.
Per non andare troppo in là nel tempo, all´Italia ancora post-contadina, tre sono i mitici lobbisti degli anni Settanta, che si affiancavano a quelli dallo stile più riservatamente sabaudo della Fiat: Gioacchino Albanese, che per conto di Eugenio Cefis poteva ordinare ai partiti qualunque misfatto per conto della Montedison e del suo capo, cultore di grandi progetti politici e di potere con la complicità del professor Gianfranco Miglio, infine divenuto ideologo della Lega di Bossi; Sergio Castriota, che fece lo stesso mestiere per conto di Mario Schimberni, quando ancora politica e Montedison erano sinonimi; e, mito dei miti, Franco Schepis, fin dai tempi di Giuseppe Petrilli lobbista principe dell´Iri, cioè dei tre quarti dell´economia nazionale, che soggiornava al primo piano del palazzo dell´Istituto, in via Veneto, tra commessi assunti soltanto tra i corazzieri del Quirinale, perché dovevano misurare di statura almeno un metro e novantacinque. Ai deputatini appena arrivati da qualche nebbiosa provincia del Nord che dovevano votare il rifinanziamento di quello che si chiamava "fondo di dotazione", cioè miliardi e miliardi pubblici per coprire i buchi di bilancio, spiattellava un delizioso apologo: «Un turista straniero arriva in Italia con un aereo dell´Alitalia? L´Alitalia è la compagnia aerea dell´Iri. Quel turista sbarca a Genova da uno dei più bei transatlantici del mondo, come la Michelangelo o la Raffaello, la Cristoforo Colombo o la Leonardo da Vinci? Sono dell´Iri. Noleggia una macchina veloce ed elegante, come un´Alfa Romeo? E dell´Iri. Per uscire da Genova percorre la prima strada sopraelevata costruita in Italia? E´ dell´Iri ed è stata realizzata con l´acciaio della Finsider dell´Iri e il cemento della Cementir dell´Iri. Uscito dalla città, quel turista straniero prende un´autostrada della più estesa rete esistente in Europa? E dell´Iri. Si ferma per pranzare in un Autogrill? E dell´Iri. Dopo pranzo telefona alla fidanzata nella sua città straniera usando la prima teleselezione integrale da utente del continente? E una linea della Sip, cioè dell´Iri. Deve cambiare valuta? Va in una delle principali banche italiane, la Commerciale, il Banco di Roma o il Credito Italiano. Anch´essa è dell´Iri».
Seguiva il giorno dopo, con un biglietto vergato a mano, l´omaggio della tessera delle autostrade, la Freccia alata per volare comodi, l´annuncio dell´ospitalità in una crociera nel Mediterraneo, un´Alfa Romeo sprint in prova lunga e, delicatamente, l´annuncio di un possibile contributo per la prossima costosa campagna elettorale.
Fu con Paolo Cirino Pomicino negli anni Ottanta che i politici stessi si fecero stabilmente lobbisti, conculcando ancora la specifica posizione professionale che esiste in America e in altri Paesi. Potentissimo presidente della Commissione Bilancio della Camera, quando c´era l´assalto alla diligenza della Finanziaria, Pomicino, con quell´aria da simpatico guappo, ascoltava tutte le richieste, le selezionava e faceva in modo che quelle sponsorizzate figurassero in un articolo o almeno in un emendamento. Con un finanziamento non troppo vistoso il primo anno, ma capace, l´anno successivo, di creare il precedente per un rifinanziamento ben più cospicuo. Ci sono storie a bizzeffe sul sistema Pomicino, come quella del cosiddetto piano Martinazzoli per le carceri. Il primo anno, con le furbizie pomiciniane, furono stanziati 50 miliardi di lire, che diventarono 600 pluriennali l´anno successivo, garantendo l´appalto delle nuove carceri all´Edilpro del gruppo Italstat, nonostante il presidente Ettore Bernabei ripetesse ai suoi: «Mai carceri, né cimiteri, ovvia! Semmai tante chiese».
Ironia della sorte, il vicedirettore generale dell´Italstat Alberto Mario Zamorani, finito qualche anno dopo nel carcere torinese delle Vallette, aveva di fronte alle sbarre della sua cella il nuovo carcere in costruzione e persino l´insegna dell´azienda che lo stava costruendo, da lui magnificata a Pomicino.
A cosa servono oggi i lobbisti di professione, se gli autentici lobbisti siedono in Parlamento? Basta pensare ai quattro deputati indagati per gli appalti in mezza Italia della Global Service di Alfredo Romeo. Si leggono le intercettazioni e balza agli occhi il loro effettivo ruolo di lobbisti, non solo per ottenere gli appalti, ma persino per costituire le maggioranze nei congressi dei loro rispettivi partiti. Uno degli indagati, Amedeo Laboccetta di An, peraltro, è interessato non solo alla manutenzione delle strade e alla gestione dei patrimoni, business di Romeo, ma soprattutto al gioco d´azzardo, essendo stato fino all´ultima elezione a deputato il legale rappresentante dell´Atlantis World, multinazionale non proprio di nobili lombi, con sede ai Caraibi, che detiene il 30 per cento del mercato italiano delle slot machine.
Troppo lungo l´elenco dei parlamentari lobbisti dei nuovi casinò - uno per ogni provincia - che immancabilmente si agitano all´inizio di ogni nuova legislatura. Lobbisti e gentiluomini?