Carola Uber, Chi, 4 marzo 2009, 4 marzo 2009
Christian De Sica è a Los Angeles. Nel 60° anniversario del film Ladri di biciclette, ha riportato l’Oscar vinto da suo padre a Hollywood, in occasione del Los Angeles-Italia Film & Art Festival, rassegna che da quattro anni si tiene alla vigilia degli Academy Award
Christian De Sica è a Los Angeles. Nel 60° anniversario del film Ladri di biciclette, ha riportato l’Oscar vinto da suo padre a Hollywood, in occasione del Los Angeles-Italia Film & Art Festival, rassegna che da quattro anni si tiene alla vigilia degli Academy Award. Nella stessa occasione è stato proiettato il primo lungometraggio del figlio di Christian, Brando, Parlami di me, tratto dal musical autobiografico messo in scena dal padre. «Portare la statuetta è stato un gesto di buon augurio: good luck sweetheart!», spiega Christian. Suo padre Vittorio l’ha diretta una sola volta, nel ”73, nel film Una breve vacanza. Ora la dirige suo figlio. Che effetto le fa? «Con mio padre fu un’esperienza carina: avevo 22 anni, pesavo 100 chili e mi fece fare un tisico! Essere diretto da Brando, a 57 anni, è stata un’emozione diversa, straordinaria». Lei è più padre o più figlio? «Io vorrei stare dentro una culla ed essere cullato da tutti: genitori, figli, amici. Vorrei morire giocando con il trenino elettrico. Mi sento giovane, non mi piace essere chiamato papà, non mi piace crescere e invecchiare. Essere maturi, l’esperienza e tutto il resto mi fanno schifo». Il cinema Usa le piace? «Mi piacciono i film di Clint Eastwood, ma non quando fa il regista. Non mi piacciono i film d’azione, coi botti, le sparatorie: come diceva Marco Ferreri, sono film preistorici. Per non parlare dei loro film demenziali, comici: orrendi vicino ai nostri capolavori assoluti di Natale. Solo che noi non abbiamo produttori capaci di esportarli. E la nostra stampa fa guerra ai nostri prodotti. Siamo un Paese geniale, di navigatori, improvvisatori e anche di teste di c….!». Frequenta lo star system, crea contatti di lavoro? «Ma chi mi si piglia, qui? Alla mia età? Poi hanno dei sindacati che non ti fanno entrare nel giro, al massimo ti fanno fare la parte di un greco, un messicano, un italiano. Mica come da noi, che appena arriva uno straniero ci caliamo le mutande». Tra poco tornerà in Italia per il film di Pupi Avati, Il primo figlio. Un ruolo drammatico? «Tanto drammatico non credo: è il ruolo di un figlio di buona donna cretino… sono belle soddisfazioni! Ma la mia fortuna è stata anche interpretare personaggi odiosi, rendendoli simpatici, seguendo l’esempio del grande Sordi, che non ha fatto che raccontare italiani tremendi». Sordi diresse suo padre in Un italiano in America… «Brutto film, fatto di corsa; mio padre interpretava un giocatore incallito. E, anche lui, si giocò tutti i soldi della paga nei casinò!».