Ignazio Ingrao, Panorama, 5/3/2009, 5 marzo 2009
LA LORO MISSIONE POSSIBILE
Il sangue dei martiri scorre ancora nella Chiesa italiana. Suor Leonella Sgorbati, don Andrea Santoro, padre Angelo Redaelli, padre Mario Bianco, monsignor Bruno Baldacci, monsignor Luigi Locati, don Giuseppe Bessone, padre Luciano Fulvi, padre Faustino Gazziero: sono i missionari italiani uccisi solo negli ultimi cinque anni. L’elenco potrebbe continuare se si tornasse indietro nel tempo. Sono eroi, ma non come li vorrebbero il cinema e la televisione. La morte li ha sorpresi nel pieno della loro disarmata normalità: Sgorbati è stata uccisa mentre si recava in ospedale a Mogadiscio ad accudire gli ammalati; Santoro mentre pregava in chiesa a Trabzon, in Turchia; Locati mentre visitava un centro pastora¬le della diocesi di Isolo in Kenya; Bessone mentre accoglieva in casa un ragazzo di strada a Blumenau in Brasile. La cronaca li ha presto dimenticati o non li ha nemmeno conosciuti. Sono morti per aver annunciato il Vangelo, per aver difeso i più deboli, per aver portato una parola di pace e di riconciliazione in un contesto lacerato dalla guerra. In tutto sono 104 i religiosi, i sacerdoti, le suore, i laici missionari uccisi negli ultimi cinque anni, secondo i dati dell’agenzia vaticana Fides.
Agli omicidi si aggiungono sempre più spesso i rapimenti, come nel caso di suor Caterina Giraudo e suor Maria Teresa Oliveto, liberate il 19 febbraio dopo oltre 100 giorni di sequestro, nelle mani dei guerriglieri somali. 0 come padre Giancarlo Bossi, rapito per 40 giorni nelle Fihppine, nel luglio del 2007. Eppure, anche in questi casi l’attenzione della stampa e dell’opinione pubblica è stata modesta, quasi che rapimenti o attentati fossero un naturale corollario dell’attività di un missionario.
Come Bossi, anche le due suore rapite in Kenya poco dopo essere state liberate hanno chiesto di ritornare in missione. «Ho sentito mia sorella al telefono. Non tornerà più a EI Wak per motivi di sicurezza, ma ha intenzione di tornare in Africa» annuncia don Fredo Olivero, fratello di una delle due suore liberate.
La storia di ogni missionario è il racconto di quotidiani atti di sacrificio, o eroismo: la fatica della lingua, la mancanza di cibo e acqua potabile, le malattie, i rischi per l’incolumità. «In mezzo a tanta povertà, la presenza dei missionari è un segno di non abbandono e il loro coraggio una forte provocazione per la società occidentale» ricorda però padre Giulio Albanese, missionario comboniano e giornalista, fondatore dell’agenzia di stampa Misna.
Alcuni missionari diventano «imprenditori della solidarietà». il caso di Ernestina Cornacchia, 62 anni, missionaria laica, originaria della diocesi di Mantova, da 15 anni nelle favelas brasiliane. Nel Barrio de la Paz, sconfinata baraccopoli alla periferia di Salvador de Bahia, Cornacchia ha creato laboratori di falegnameria e serigrafia, un ambulatorio, un consultorio e una farmacia, scuole materne e corsi professionali con 900 allievi. Sorriso aperto, sguardo diretto, si commuove quando racconta di Mary, la prima laureata della favela: dopo aver insegnato per anni nelle scuole comunitarie ha concluso felicemente la facoltà di pedagogia.
All’altro capo del mondo ha fatto lo stesso padre Franco Laudani, missionario comboniano. Da 35 anni vive tra i pigmei della Repubblica democratica del Congo. «Oggi le nostre scuole sono frequentate da 5 mila alunni pigmei, il 60 per cento della popolazione infantile di questa minoranza. Iniziammo 10 anni fa avviando 80 classi. Ora sono 350» racconta Laudani. Lo scorso anno, dice con orgoglio, «si sono di¬plomati i primi cinque maestri pigmei del Congo». Si realizza così il progetto di San Daniele Comboni, «salvare l’Africa con l’Africa».
Da Rumbek, nel sud del Sudan, il vescovo, Cesare Mazzolari, missionario comboniano originario di Brescia, lancia un appello: «I missionari non possono limitarsi a fornire servizi. Dobbiamo investire nella società civile, formare futuri leader, educarli a prendere in mano il loro destino». Parole che il Papa si prepara a fare sue nel viaggio che compirà dal 17 al 23 marzo in Cameran e Angola.
Dal Bangladesh Franco Cagnasso, 65 anni, missionario del Pime, tiene un blog molto seguito («Schegge di Bengala» su www.missionline.org). Padre Cagnasso lancia una provocazione: persino in un paese quasi totalmente musulmano come il Bangladesh fare il missionario non significa solo aiutare i poveri ma soprattutto «annunciare il Regno di Dio»: «Ogni anno i nostri missionari hanno la gioia di battezzare o di riaccogliere nella vita della comunità cristiana tante sorelle e fratelli. In alcuni paesi sono gruppi numericamente consistenti, in altri si tratta di poche unità. L’annuncio non è scomparso. intessuto nella trama quo¬tidiana della nostra vita».
Dal 1991 nel cuore della Siberia, a Novosibirsk, vive una comunità della Fraternità sacerdotale dei míssionari di San CarIo Borromeo. I cattolici sono solo lo 0,2 per cento della popolazione, le condizioni di vita proibitive. Francesco Bertolina, valtellinese, si muove continuamente da un viaggio all’altro: centinaia di chilometri in auto, d’estate e d’inverno, con la pioggia e con la neve, per raggiungere sparuti gruppi di fedeli.
Un giorno, racconta don Bertolina, «sono stato nel villaggio di Krasnosiorsk. Dopo aver celebrato la messa una signora mi ha confidato che la sua giovane figlia era stata violentata da un uomo dei posto, ubriaco, la figlia era rimasta incinta ma la madre era riuscita a convincerla a non abortire. Credo di poter dire che la decisione di questa donna, insieme con l’obbedienza della figlia, siano il miracolo più grande di cui il Signore mi ha reso testimone in questi anni in Siberia».
Non ha paura del fondamentalismo islamico Pietro Zago, 74 anni, missionario salesiano. Da dieci anni in Pakistan, padre Zago è impegnato nei progetti di ricostruzione delle case e delle scuole per le popolazioni colpite dal sisma dell’ottobre 2005, con l’aiuto del Vis (Volontariato internazionale per lo sviluppo, l’ong dei salesiani). Questo dramma, racconta Zago, è stato l’occasione per aprire nuovi canali di dialogo con l’Islam: «La nota più positiva di questa emergenza è stato vederci, noi minoranza cristiana, affiancati da centinaia di musulmani che collaboravano nella costruzione di strutture, in luoghi dove le nostre case con il tetto blu sono solo il segno che la vita sta riprendendo». Ora l’impegno principale di Zago è combattere l’analfabetismo, che nel nord ovest del Pakistan raggiunge il 75 per cento della popolazione.
In Corea del Sud padre Vincenzo Bordo, 51 anni, missionario degli Oblati di Maria Immacolata, vive in un appartamento alle porte di Seul. Si definisce «Missionario della strada», perché trascorre le sue giornate raccogliendo barboni, alcolisti, ex carcerati, anziani, poveri, malati mentali per le vie della città. Per loro ha costruito un luogo di accoglienza, la Casa di Anna, dove distribuisce 400 pasti al giorno.
Ma c’è anche chi pensa alla spiritualità, come il gesuita Paolo Dall’Oglio, che a Deir Mar Musa, nel deserto siriano, ha fatto rinascere l’antico monastero di San Mosè l’Abissino.
I missionari però devono fare i conti con la crisi delle vocazioni: religiosi, sacerdoti e suore italiani in missione agli inizi del Novecento erano circa 25 mila, oggi sono 13 mila. Gerolamo Fazziní, direttore del mensile Mondo e missione, lancia l’allarme: «I missionari, almeno quelli made in Italy, sembrano una specie in via d’estinzione». Dimintizione compensata, tuttavia, dalla crescita di «giovani che, sempre più numerosi, chiedono di passare qualche mese in missione svolgendo attività di volontariato» informa Laura Badaracchi nel volume Fare ilprete non è un mestiere. Una vocazione alla prova (Edizioni dell’Asino).
il caso di Sara Persico, 38 anni, di Bergarno, da cinque anni a Goma, nel nord Kivu, in Congo, insieme con altri nove giovani, tutti volontari salesiani, impegnati nel recupero ch bambini soldato e ragazze violentate. E c’è persino chi parte con tutta la fàrniglia: Nicola Soana e Monica Ponteavichi che, con i loro due figli, Rebecca e Tobia, sono rimasti tre anni in Cina in un villaggio nirale a 60 chilometri da Pechino. Anche i volontari laici hanno i loro martiri, tra questi Annalena Tonelli, uccisa nell’ottobre del 2003 da due sicari nell’ospedale di Borama in Somaliland.