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 2009  marzo 05 Giovedì calendario

OBAMA VA ALLA GUERRA


Diviso in sei parti, il documento segreto ha cominciato a circolare in poche copie per la valutazione delle agenzie di intelligence americane. Viene adesso presentato al generale David Petracus, eroe della campa*gna irachena. Elaborato da un gruppo di esperti militari e civili del Centcom, il comando centrale dei teatri di guerra americani in Medio Oriente, il rapporto è il primo di una serie che punta alla revisione della strategia Usa in Afghanistan ordinata da Barack Obama. Da questi documenti dipende l’esito della «guerra di Obama», dopo che la Casa Bianca ha ordinato a 17 mila soldati americani, inizialmente destinati all’Iraq, di partire per l’Afghanistan.
Un «surge» in piena regola, ma i rinforzi, che si uniranno al 38 mila soldati Usa e ai 32 mila militari della Nato, sono solo un acconto. Il generale David McKiernan, comandante delle truppe straniere in Afghanistan, parla chiaro: «Non è un aumento provvisorio, per vincere abbiamo bisogno di uno sforzo sostenuto come questo almeno per i prossimi 3 o 4 anni». I piani del Pentagono auspicano quasi il raddoppio delle forze americane con l’invio di 30 mila uomini in 18 mesi.
La forza delle armi, però, non basta. Per gli americani la carta vincente in Afghanistan sarà la stessa strategia antiguerriglia che ha portato al successo in Iraq. «Il nostro intervento non può limitarsi a un aumento di truppe» ha spiegato il generale David Petraeus. «Il rafforzamento militare sarà inefficace se non verrà accompagnato da un surge politico» spiega a Panorama Ettore Sequi, rappresentante speciale dell’Unione Europea per l’Afghanistan. «Il governo deve erogare ai cittadini i servizi essenziali di uno stato di diritto cominciando a debellare la corruzione. Poi va rilanciato lo sviluppo con un nuovo slogan: "Conquistiamo i cuori e lo stomaco degli afghani"». Lavera svolta è il terzo pilastro del surge politico. «Con Richard Holbrooke (inviato Usa per PAfgbanistan e il Pakistan, ndr) è chiaramente emersa l’importanza di coinvolgere tutti gli attori regionali, compreso l’Iran, nella soluzione del problema afghano».
Il 18 e 19 febbraio il ministro degli Esteri, Franco Frattini, è volato a Herat e a Kabul. Al ritorno in patria ha avuto un lungo colloquio telefonico con Holbrooke, che aveva appena detto: «In Afghanistan sarà più dura che in Iraq». Dalla Farnesina confermano che Frattini si veda «venerdì 27 febbraio» con il nuovo segretario di Stato americano Hillary Clintm. Al centro dell’incontro la possibilità concreta che I’Iraq (fondamentale per le linee di approvvigionamento) partecipi alla conferenza sulla stablizzazione dell’Afghanistan e del Pakistan, a margine del G8 a Trieste di fine giugno. Frattini avrebbe già anticipato l’invito parlando al telefono con la sua controparte di Teheran, il ministro Manoucher Mottaki.
Per il colpo di reni necessario a vincere la sfida afghana arriverà a Kabtù un nuovo ambasciatore Usa. Il candidato a cui sta pensando la Casa Bianca è il generale Kari Eichenberry, vice dell’ammiraglio Giampaolo Di Paola (ex capo di stato maggiore della Difesa) al Comitato militare della Nato a Bruxelles. Eichenberry ha già servito due volte in Afghanistan al comando delle truppe. «E un intellettuale combattente. Il primo ad avere capito che bisognava investire molto di più nell’addestramento di esercito e polizia afghani» spiega una fonte di Panorama da Kabul. La scelta di un militare di carriera come diplomatico in Afghanistan è ardita, ma «Obama si gioca la faccia. Deve ottenere risultati in fretta, per esempio un successo senza sbavature con le elezioni presidenziali afghane del 20 agosto».
Per il settimanale americano News Week l’Afghanistan sarebbe già diventato il Vietnam di Obama. Analisti come Gary Schmitt, esperto militare dell’American eriterprise institute di Washington, mettono in discussione le vere intenzioni della Casa Bianca: «Il presidente sembra avere ripensamenti su una guerra che porterebbe via tempo e risorse all’amministrazione».

L’esito dei dibattito in corso a Washington rischia di avere un ruolo fondamentale nella campagna militare. Secondo i sondaggi, il conffitto in Afghanistan è sostenuto solo dal 34 per cento degli americani. Nel 2008 nel paese hanno perso la vita 15 5 soldati Usa. Anche se Frederick Yagan, uno degli architetti del surge iracheno, è ottimista: «Per stabilizzare il paese ci vorranno meno truppe che non in Iraq e ci saranno anche meno perdite». Di parere opposto la parte più liberal del Partito democratico, già schierata contro un maggiore coinvolgimento in Afghanistan.
Una delle spine nel fianco dello sforzo internazionale è l’aumento di vittime innocenti. Secondo un rapporto Onu, sono 2.118 i civili uccisi nel 2008, il 40 per cento in più rispetto all’anno precedente, anche se il 65 per cento è stato niusacrato dagli «insorti». «I talebani usano i civili come scudo umano e se ne infischiano se negli attentati perdono la vita» accusa l’ambasciatore Sequi. «Ma non possiamo dimenticare che ogni morto innocente rischia di alienarci le simpatie degli afghani». Lultimo «danno collaterale» risale al 16 febbraio, quando gli Usa hanno lanciato un’operazione speciale a 20 chilometri da Herat. L’attacco aereo avrebbe dovuto eliminare un comandante talebano, ha invece eliminato tre militanti e 13 civili.
Anche l’Italia farà la sua parte. Per ora ha circa 200 uomini al comando di un maggiore, ma si raddoppierà con l’arrivo fra marzo e aprile dei paracadutisti della Folgore. E per le presidenziali arriveranno almeno 250 altri militari. All’inizio dell’estate l’intero contingente potrebbe arrivare a 2.800 2.900 uomini. E le squadre Onilt (i Lawrence d’Arabia che affiancano e addestrano il 2071 Corpo d’armata afghano) hanno già raddoppiato gli affettivi. Anche se Petraeus sostiene che manca ancora all’appello il 40 per cento degli specialisti Omlt in tutto il paese. L’obiettivo è aumentare l’esercito afghano da 80 mila a 134 mila effettivi, in modo che possano garantire da soli la sicurezza.
Il minisurge italiano comprende l’apertura del nuovo avamposto Tobruk e la costituione di un secondo gruppo di battaglia, che verrà raddoppiato con i parà della Folgore in arrivo a primavem Ma i problemi non mancano. Dal 1 gennaio al 14 febbraio sono stati registrati 30 tentativi di attacco (trappole esplosive, lanci di razzi e attentati suicidi riusciti o sventati), il 56 per cento in più rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. E in più un’occasione i Lawrence d’Arabia italiani sono intervenuti per sedare sparatorie fra i soldati afghani, rispettati dalla popolazione, e i poliziotti che la caglieggiavano ai posti di blocco.
«Siamo più presenti sul terreno e pám o poi ci sarà il botto» prevede una fonte italiana in prima linea. «La situazione si sta scaldando. Anche perché in primavera raccoglieranno il papavero d’oppio per scambiarlo con denaro e armi ». A metà gennaio la nostra inteiligence ha segnalato l’arrivo dalla città pachistana Quetta di pezzi da novanta talebani.
Gli emissari hanno minacciato di tagliare i fondi se non sono rilanciati gli attacchi contro le truppe straniere. E hanno organizzato assemblee per incentivare la Jihad.
Da mesi lungo le statali 517 e 515 i ritrovwnenti di trappole esplosive sono quotidiani. All’inizio di febbraio nel distretto di Bakwa sono stati segnalati 150 200 taleban~ Pochi giorni dopo i talebani hanno colpito il dormitorio fer=inile dell’Università di Herat. E ora in città è allarme rosso per sette terroristi suicidi che sarebbero pronti a colpire anche la Squadra di ricostruzione provinciale italiana.
L’ambasciatore Sequi non ha dubbi: «Ogni anno viene annunciato come determinante, ma vi garantisco che per l’Afghanistan il 2009 sarà più cruciale degli altri ».