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 2009  marzo 05 Giovedì calendario

CHI VUOLE SPEGNERE BIG TOBACCO


Pochi lo sanno, ma in Italia le sigarette hanno un prezzo minimo (quasi mai praticato in tabaccheria) stabilito dagli ex Monopoli dello Stato: 3 euro e 60 centesimi per un pacchetto da 20. A cosa serve questo prezzo minimo? In teoria a tutelare dal fumo i più giovani. In pratica però crea anche una specie di cartello, un patto non scritto tra i grandi produttori, che così evitano il rischio di farsi concorrenza al ribasso.

Ora però una sentenza del Tar del Lazio, dello scorso 28 gennaio, ha sospeso le due delibere degli ex Monopoli dello Stato su questo prezzo minimo, e la vicenda sta inquietando non poco le multinazionali di Big Tobacco. A presentare il ricorso al Tar è stata la Yesmoke, un piccolo produttore del torinese, che aveva già vinto in materia una battaglia a livello europeo. A giugno scorso, infatti, la Commissione ha deferito lo Stato italiano davanti alla Corte di Giustizia europea per violazione delle regole del trattato sulla libera concorrenza, dopo che anche l’Antitrust italiano aveva pronunciato la sua contrarietà al prezzo minimo (che nessun paese europeo ha adottato), introdotto da noi dalla legge Finanziaria per il 2005.

L’intervento dei giudici amministrativi (che il 13 maggio si riuniranno per la discussione di merito), rischia di scardinare il nostro mercato delle bionde, il più ricco d’Europa con un consumo di 92,8 milioni di chili. La posta in palio, secondo i dati del Tobacco Observatory, vale 17,4 miliardi di euro: nel 2007 la fetta più grossa, pari al 74,1 per cento, l’ha intascata l’Erario, grazie a un complesso meccanismo di tassazione. Un miliardo e 74 milioni è finito nelle tasche dei dettaglianti. E due miliardi e 800 milioni se li sono divisi produttori e distributori. A fare la parte del leone sono stati i tre colossi Philip Morris, Bat e Japan tobacco, che da soli fanno il 95,5 per cento del mercato. Ora Yesmoke si prepara a inondare le tabaccherie con i suoi pacchetti ’no logo’ a tre euro e 40 centesimi (contro i 4,40 di un pacchetto di Marlboro), per poi limare il prezzo di ulteriori venti centesimi, sfidando al ribasso il cartello del Big Tobacco.

Perché la questione del prezzo minimo è così importante? Per le associazioni dei genitori e per il ministero della Salute, quello è il baluardo per tutelare i giovani dal vizio del fumo. Difficile misurarne l’efficacia. Di certo, è misurabile il portentoso incremento di entrate per il fisco, grazie al quel livello minimo che ha fatto salire il prezzo di tutte le sigarette. Cosa potrebbe succedere senza? Una soluzione sarebbe che lo Stato, pur di difendere i giovani, aumentasse il livello di tassazione (che è già al 75 per cento del prezzo), incassando ancora di più. Ma questa mossa non piace alle multinazionali, perché se da un lato incide sulle vendite, dall’altro riduce i loro margini di guadagno. Dunque la mossa di Yesmoke ha messo in scacco sia le vere intenzioni dello Stato sia gli interessi dei grandi produttori.

Se il quadro è chiaro, più difficile è capire chi ci sia davvero dietro la Yesmoke, che ha iniziato la sua attività nel Duemila con la vendita di sigarette on line da un magazzino piazzato nella svizzera Balerna, zona franca del Canton Ticino: grazie all’utilizzo del sistema postale internazionale, il consumatore finale pagava le tasse nel paese di arrivo della merce, ma non quelle del paese di partenza. La pacchia è durata poco: la giustizia americana l’ha condannata a un risarcimento-monstre di 548 milioni di dollari (ridotti a 173) per concorrenza sleale e violazione dei diritti d’autore. Così nel 2005 Yesmoke ha aperto a Settimo Torinese uno stabilimento capace di produrre un miliardo di sigarette l’anno. Ma le informazioni offerte dal sito Internet si fermano qui. I fratelli Carlo e Giampaolo Messina si presentano come i titolari, ma una visura camerale conferma solo che il primo, residente a Mosca, è presidente del cda e consigliere. E che la quasi totalità del capitale è in portafoglio alla Belrose Investment Sa: sta cioè al sicuro in Lussemburgo, dietro una fitta coltre di mistero.