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 2009  marzo 05 Giovedì calendario

FRANCA ROIATTI PER PANORAMA, 5 MARZO 2009

Sommosse Gli effetti collaterali della crisi europea. Economia e occupazione a picco. Famiglie e stati che non riescono a fare fronte ai debiti. La gente arrabbiata che scende in piazza dall’Islanda alla Grecia. Ma la vera polveriera è l’Est, con le banche al collasso che rischiano di travolgere tutta l’Ue.
Il premier lettone ha gettato la spugna venerdì 20, seguendo le orme del collega islandese che i suoi concittadini, armati di mestoli e uova, avevano costretto ad andarsene a gennaio. Entrambi sono vittime della crisi economica che sta diventando sempre più politica e infiamma le piazze. A migliaia hanno manifestato nei paesi del Baltico, contadini e camionisti bloccano a ripetizione le autostrade e le frontiere in Grecia, studenti e agricoltori bulgari hanno preso a sassate la sede del parlamento, in Ucraina si marcia a favore della Russia, a Mosca contro il governo.
Pil in caduta, valute in picchiata, deficit abnormi (dati a pagina 120), emorragie di posti di lavoro stanno spingendo la gente arrabbiata sulle strade. E fanno crescere le preoccupazioni di una deriva violenta. A suonare l’allarme è stato il numero uno del Fondo monetario internazionale, Dominique Strauss-Khan, che a dicembre ha dichiarato: «Se i governi non si daranno da fare, disordini sociali potranno verificarsi in molte parti del mondo». Un avvertimento rilanciato dal ministro dell’Economia francese, Christine Lagarde, al World economic forum di Davos e ribadito dall’Organizzazione internazionale del lavoro, che stima in 50 milioni i posti di lavoro a rischio nel mondo.
Primi a mostrare la loro rabbia sono stati, a novembre, gli islandesi. Centinaia di persone hanno assediato a più riprese il parlamento, dopo un brusco risveglio dalla sbornia finanziaria che aveva proiettato alle stelle il pil della piccola isola e convinto le banche locali di essere onnipotenti. La ciambella di salvataggio lanciata dall’Fmi al governo di Reykjavik non ha fermato i dimostranti, che dopo scontri con la polizia sono riusciti a far dimettere il primo ministro Geir Haarde.
«Mi ha colpito vedere in piazza islandesi di mezza età, perfino anziani. Temono che le loro pensioni finiscano in fumo» osserva Robert Wade, professore di politica economica alla London school of economics. «Questa sensazione di paura che attanaglia l’Europa può sfociare in varie forme di protesta, dallo sciopero selvaggio a tumulti simili a quelli che hanno scosso le banlieue parigine nel 2005».
L’Islanda come la Grecia e sei paesi dell’Europa dell’Est, tra cui l’Ungheria, gli stati baltici e la Slovacchia, sono stati declassati dalla società di riassicurazione Aon: la stabilità politica oltre che economica è ora più a rischio. «Sono paesi dove la conquista del benessere sociale è stata velocissima, aziende e famiglie si sono indebitate, spesso in euro, e ora che le valute nazionali sono precipitate diventa difficilissimo ripagare i debiti» riassume Uberto Ventura, condirettore della Aon Italia.
La Romania è un caso da manuale. Quasi il 60 per cento dei prestiti erogati è in euro, in 3 mesi gli stipendi sono calati del 20 per cento, altrettanto ha perso il leu nei confronti dell’euro: una situazione esplosiva.
Josef Pröll, ministro delle Finanze dell’Austria, a metà febbraio è stato ancora più esplicito: «Se sull’Ucraina si abbatte una catastrofe economica o politica, non potremo evitare l’effetto domino sull’Europa». Kiev è intrappolata in una spirale mortale: il prezzo dell’acciaio, la voce più pesante nelle esportazioni, è in caduta libera, quello del gas importato dalla Russia è triplicato, il debito verso l’estero è salito da 29 miliardi di dollari del 2004 a 105 miliardi. Il sindaco della capitale ucraina non è più in grado di pagare medici, conducenti di autobus, riscaldamento nelle scuole, e in piazza i filorussi hanno chiesto la testa del presidente filoccidentale Victor Yushcenko.
La Lettonia è un altro malato gravissimo. Nel 2006 l’economia viaggiava velocissima, più 12 per cento, poi la bolla immobiliare è scoppiata, con essa le banche, spingendo il paese sull’orlo del baratro: le previsioni per quest’anno parlano di un pil in rosso del 10, forse addirittura 13 per cento. I lettoni, giura una diplomatica del paese baltico, sono tranquilli, eppure il 13 gennaio 10 mila persone si sono raccolte davanti alla cattedrale medioevale di Riga per lamentarsi di come il governo stava affrontando la crisi. Nella notte la protesta è degenerata: 40 feriti, di cui 14 agenti. Oltre 100 persone sono finite dietro le sbarre.
«Ci sono giorni in cui si contano perfino 1.000 licenziamenti» snocciola Iveta Kazoka, ricercatrice al centro studi Providus di Riga. «Il Fondo monetario ha chiesto al nostro governo severi tagli al bilancio e nessuno ha ancora chiarito dove cadrà la scure. Ma a giugno ci saranno le elezioni amministrative ed europee. E si discute già della possibilità di vietare altre manifestazioni nella capitale».
Nella vicina Lituania il 16 gennaio i dimostranti hanno attaccato il parlamento con fumogeni, uova e palle di neve: erano 7 mila, mobilitati dai sindacati contro i tagli ai salari nel pubblico impiego e l’aumento delle tasse. Ottantasei persone sono state arrestate e il presidente Valdas Adamkus ha puntato il dito contro il nemico di sempre: la Russia.
Mosca però ha già abbastanza guai in casa propria: centinaia di persone hanno protestato in tutto il paese nelle ultime settimane e a poco sono valse le tradizionali contromisure del Cremlino, come quella di affiancare manifestazioni filogovernative. «Il potere teme che le proteste possano degenerare fino a mettere in discussione l’autorità di Vladimir Putin e Dimitri Medvedev» ha dichiarato un alto funzionario. «La crisi non si può più nascondere». Per questo il presidente Medvedev ha rilasciato, a sorpresa, una lunga intervista alla tv statale Rossiya, promettendo ai russi che li avrebbe tenuti costantemente informati sull’evolversi della situazione. Nel frattempo si prepara il piano per fronteggiare i licenziamenti di massa, soprattutto nelle città monoimpresa, che impiegano 25 milioni di persone.
John Levy, della società di consulenza Eurasia group, smorza i timori: «Non credo che assisteremo a episodi di guerriglia. Piuttosto il rischio è che molti di questi paesi colpiti dalla crisi non siano capaci di prendere le necessarie misure».
Ma Scotland Yard rilancia: «Ci aspettiamo un’estate calda, gli attivisti e gli estremisti che finora avevano poco seguito troveranno una sponda nella classe media». Quella che di solito tace