Antonio Dini, Nova 26/2/2009, 26 febbraio 2009
LA DOPPIA VITA DEL DATO D’AZIENDA
Il mondo consuma ogni anno 280 milioni di tonnellate di carta. Circa 56mila miliardi di fogli A4. Certamente non tutta è carta usata negli uffici, ma – hanno stimato gli esperti della britannica National Association of Paper Merchants – buona parte sì.
E il consumo di carta non è in diminuzione ma in aumento, perché sta aumentando anche il quantitativo di informazioni digitali prodotte. La diffusione delle stampanti personali (laser o a getto d’inchiostro) e dei sistemi di posta elettronica, che possono mandare con un solo click lo stesso Pdf a decine o centinaia di persone lo stesso Pdf, hanno fatto il resto.
Il dato non è sempre strutturato. Non è sempre, cioè, archiviato ordinatamente in un database. Invece, giace scomposto nelle email, nei documenti in allegato salvati alla rinfusa nel computer, persino scritto a lapis o biro sul bordo dei documenti già stampati, obbligando gli impiegati a tenere una copia cartacea della pratica già digitalizzata sul computer perché non tutte le informazioni collimano.
«Se volessimo tentare una stima di quante informazioni sono fuori dal database aziendale, non ne verremmo mai a capo», spiega Giovanni Marré, 42 anni, alla guida di It Consult, piccola società di Urbino specializzata nella gestione documentale. Sono loro, e decine di altre piccole aziende a metà fra il mondo del software e della consulenza, a occuparsi in Italia di documenti in formato digitale, di conservazione sostitutiva degli archivi fiscali, di fatturazione elettronica, di archivistica del bit, oltre che dei rudimenti di business intelligence, di collaborazione, di condivisione della conoscenza.
Lo fanno soprattutto per le medie e piccole imprese nazionali, i soldati e i graduati della nostra economia, che producono ogni giorno milioni e milioni di byte di informazioni.
Al livello zero della fabbrica dei dati, dove si muovono i pesci piccoli e medi del mondo imprenditoriale, i concetti sofisticati di "knowledge management", "business intelligence" e di "groupware per la collaborazione" non sono più ignoti. «Anzi – aggiunge Marré – non solo le aziende capiscono, ma hanno anche le idee chiare. Solo, seguono una strada all’opposto di quella immaginata da molti. Non si parte per cambiare tutto ma per risolvere un piccolo problema; e poi, se va bene, si continua. Un piccolo passo alla volta».
Se si muove la focale dell’obbiettivo all’indietro, a vedere la mole di informazioni digitali prodotta sulle grandi autostrade informatiche mondiali, il numero italiano diventa subito minuscolo.
Nel mondo ogni anno, secondo le stime di Gartner e di Idc, si è tranquillamente superata la soglia dell’Exabyte, cioè le migliaia di Petabyte, a loro volta composti da mille Terabyte l’uno.
Tradotto: più di un milione di migliaia di miliardi, ovvero una cifra seguita da 18 zeri. Nel 2000 a Berkeley un famoso economista provò a fare una stima (poi aggiornata nel 2003) sul quantitativo di informazione nel mondo. Usando una serie di metafore entrate nell’immaginario collettivo, Hal Varian aveva scoperto che la somma dei byte di cui sono composti i libri pubblicati in un anno negli Usa (5 Terabyte), delle notizie (25 Tb), i periodici e i quotidiani (20 Tb), era una goccia di fronte al "muro" di 195 Terabyte di documenti stampati e fotocopiati negli uffici degli Usa. O che la capacità complessiva dei dischi rigidi venduto nel 2003 (14mila Petabyte) era quaranta volte quella di cinque anni prima.
I calcoli di Varian erano molto complicati e dopo di lui in pochi hanno cercato di seguire il settore con la stessa attenzione.
Varian stesso è andato dalla parte di chi all’informazione, anziché studiarla, cerca di dare un senso (da pochi mesi è diventato Chief economist di Google). Tuttavia, anche se nella foresta non c’è più nessuno ad ascoltare il rumore dell’albero che si schianta, il fenomeno procede con fragorosa regolarità.
Tanto che anche il versante opposto, cioè il rischio di perdita dei dati, mantiene alta l’attenzione. il caso di Symantec, conosciuta per gli antivirus ma in realtà da tempo al centro dell’arena della sicurezza, che ha studiato in Italia e nel resto d’Europa come funziona il pronto soccorso del dato per le aziende e soprattutto quando serve. La perdita o il furto dei dati aziendali, la benzina che fa girare il motore delle imprese, spaventa.
Il 67% delle aziende italiane interpellate (la media in Europa è al 50%) ha affermato di temere una possibile perdita di informazioni e addirittura il 51% ha ammesso di aver già subito almeno una volta episodi simili. Il 47% ha anche dichiarato un conseguente danno economico, con valori che oscillano dai 10mila agli oltre 100mila euro.
I costi poi si moltiplicano con le procedure di recupero e le possibili complicazioni legali. Anche per questo, forse, nell’epoca della business intelligence e del pronto intervento per i dati, il mondo consuma ogni anno sempre più carta.