Francesco Forte, LiberoMercato 27/2/2009, 27 febbraio 2009
L’ANTITRUST MULTA I PASTAI PER 12 MILIONI
Il garante della concorrenza ha accertato, dopo una laboriosa indagine, che in Italia c’era un trust della pasta alimentare che ne sosteneva il prezzo artificialmente ed ha comminato multe a due associazioni di categoria l’ Unione nazionale dei pastai e l’Unionalimentari e a 26 produttori . Si è accertato (...)
(...) che gli industriali della pasta effettuavano riunioni, in cui concordavano i prezzi che avrebbero tenuto . E ciò si chiama ”cartello” o anche ”trust” cioè accordo di monopolio. Nel senso che le imprese del ramo pur essendo 130 e quindi in grado di farsi la concorrenza fra loro, si sono accordate per non farsela e per comportarsi, nel prezzo, come se fossero una sola, cioè appunto un monopolio. In realtà il trust non era esteso a tutte le imprese produttrici di pasta, ma solo le maggiori. E in effetti la multa ha riguardato 26 aziende pastaie, non tutte le 130. Ma la quota del mercato di queste 36, soprattutto nelle città di una certa importanza, era ed è quella di gran lunga prevalente e il caro pasta ha interessato tutti i consumatori di tali città e inciso sul caro vita. Le multe riguardano i comportamenti tenuti nel 2007. I produttori di pasta però si sono difesi, dando la colpa dei prezzi elevati ai commercianti, con particolare riguardo ai supermercati.
Ed hanno anche sostenuto che avevano fatto l’accodo sul prezzo, ossia il cartello monopolistico, per difendersi dal potere di supermercati, che diversamente avrebbero comprato da loro la pasta a prezzi troppo bassi, per rivenderla a prezzi molto alti. E l’autorità antitrust in effetti ha ridotto le multe, per tenere conto di questa particolare funzione dell’accordo fra i pastai. Nel 2007 era difficile stabilire sino a che punto i pastai facevano rincari di prezzo, superiori ai costi che dovevano subire, per il rincaro del grano duro e del gasolio, e sino a che punto la causa del rincaro stesse ne ciclo commerciale In Italia non vi è una vera concorrenza nella grande distribuzione perché in essa hanno un semi monopolio di origine politica il sistema della Lega delle cooperative e qualche grandissima casa internazionale. Parte delle giustificazioni addotte dai pastai potevano essere dotate di qualche fondamento. E comunque i rincari erano trainati dal rialzo delle materie prime. Adesso invece il calcolo è molto più facile facile, perché le quotazioni delle materie prime sono crollate , sia per il grano duro o tenero che per il gasolio. Ma dal gennaio del 2008 al dicembre, la pasta è ancora rincarata, mentre dovrebbe essere diminuita, dato che i costi di produzione maggiori sono discesi, quanto meno da metà anno. Ora secondo le associazioni dei consumatori, la confezione di mezzo chilo di pasta, quella standard, nel gennaio del 2008, costava 75 centesimi, mentre dicembre ne costava 92.
L’aumento, su base annua, è il 22 per cento, una cifra spettacolare, che non trova giustificazione nella dinamica dei prezzi, che sono diminuiti. Attualmente lo stesso tipo di confezione costa 90 centesimi. Adesso la pasta è discesa di prezzo, al consumatore, ma il prezzo normale sembra essere sui 90 centesimi il mezzo chilo. E non pare che ciò sia in linea con i ribassi dei costi. Tuttavia occorre notare che nei supermercati, soprattutto adesso, per la pasta cominciano ad esserci dei prezzi molto diversificati con politiche di sconti e marche fuori linea. Cioè si sta verificando un po’ di concorrenza, Non è chiaro però se il divario che si riscontra nei prezzi delle varie confezioni, nei vari esercizi della grande distribuzione dipenda dal fatto che essa, in certi casi ha ridotto i propri margini, per attirare i consumatore, mentre i pastai continuano a tenere prezzi sostenuti.
Oppure se queste flessioni di prezzi, che si sono verificate a macchia di leopardo dipendano dal fatto che le imprese produttrici hanno ribassato il prezzo e i commercianti hanno dato seguito a ciò solo in certi casi. Fatto sta nell’indice del costo della vita del gennaio la pasta era ancora fra le voci ”resistenti” al ribasso, che si riscontrava invece, in altri settori, riguardanti il prezzo dei beni di più frequente consumo. Il pane, l’altro prodotto il cui prezzo era aumentato in modo anomalo, e che non ha registrato una diminuzione in accordo con la riduzione delle materie prime, invece a gennaio ha registrato una flessione dello 0,1 rispetto al mese precedente. In questo periodo, in cui il consumatore è molto preoccupato ed ha subito, spesso, decurtazioni di redditi o di prospettive di reddito, il prezzo dei beni di prima necessità è di particolare importanza.