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 2009  febbraio 16 Lunedì calendario

SE «SCHWARZY» PERDE IL SOGNO DELLA CALIFORNIA


Go West, l’esortazione che per più di un secolo ha animato il «sogno americano», è uscita da un bel pezzo dal linguaggio popolare dei cittadini statunitensi. E ora la gente dell’Ovest, quella California che è il più ricco e popoloso Stato dell’Unione (38 milioni di abitanti), comincia addirittura ad andarsene: verso nord (Oregon o Seattle) e verso est la borghesia bianca, verso sud gli immigrati ispanici che, non trovando più lavoro, se ne tornano in Messico, in Guatemala, in Perù.
Fine del sogno
«Dreamin’ California», abbiamo cantato per generazioni, ma adesso il sogno sta diventando incubo: «Deserto che avanza, incendi incontenibili, disoccupazione record: ridateci la California che ci siamo pagati, ridateci una terra di ottimismo, nella quale sia piacevole andare in giro» grida dalle pagine del «Los Angeles Times» Patt Morrison. La celebre «columnist » interpreta perfettamente lo stato d’animo di gente passata in breve tempo da un diffuso benessere alla devastazione del crollo del mercato del lavoro, di una crisi immobiliare spaventosa, con interi quartieri divenuti città fantasma e della ritirata di una macchinata statale che non riesce più a fornire nemmeno alcuni servizi essenziali. Ad esempio, non ci sono soldi per tenere sotto controllo i 6622 responsabili di crimini sessuali che sono stati rimessi in libertà, ma che vengono sorvegliati «via satellite », grazie al braccialetto elettronico. Chi verificherà che rispettino il divieto di avvicinarsi a scuole e parchi? Nessuno lo sa. E anche trovare fondi per rinforzare il sistema carcerario più affollato del Paese è diventato un problema. Le 33 prigioni dello Stato sono state costruite per 84 mila detenuti ma ne ospitano 158 mila: un tribunale federale ha ordinato al governatore di provvedere, ma Arnold Schwarzenegger non ha nemmeno i soldi per mantenere la situazione attuale. Probabilmente sarà costretto a rimettere in circolazione i condannati per i reati meno gravi.
Con le entrate fiscali che continuano a scendere per effetto della crisi economica e del fortissimo calo dei valori immobiliari e con il costo dell’assistenza che cresce per effetto della disoccupazione, la California è precipitata in una spaventosa crisi fiscale: 42 miliardi di dollari di buco nel bilancio in un momento in cui i rubinetti del credito sono pressoché chiusi.
Bilancio in crisi
In autunno il «governatore Terminator» ha dichiarato lo stato d’emergenza finanziario e qualche settimana fa, visto lo stallo a Sacramento (sede del Parlamento californiano) sulla legge di bilancio, ha cominciato da solo a tagliare le spese «mettendo in libertà » per due giorni al mese i 238 mila dipendenti pubblici il cui stipendio è stato così tagliato del 9,2%. Venerdì scorso, centesimo giorno della crisi fiscale, i deputati hanno finalmente trovato il difficile accordo (in California il bilancio deve passare coi due terzi dei voti cosicché i repubblicani, benché in minoranza, hanno un potere di veto).
Un accordo shock per la gente di questo Stato e per un’America che si era abituata al «mantra» delle tasse sempre da ridurre e che, comunque, non vanno mai aumentate per nessun motivo.
Il tabù adesso è rotto. Per mano di un governatore repubblicano, per giunta: addizionale del 5% sui redditi, aumento dell’1% della tassa sui consumi (simile alla nostra Iva), un tributo sui combustibili di 12 centesimi al gallone, aumento della tassa di circolazione dei veicoli.
I democratici sono riusciti a superare i vecchi veti, ma per convincere la minoranza repubblicana hanno dovuto rinunciare a far pagare il prezzo della crisi soprattutto ai più ricchi: il buco di 42 miliardi è stato colmato per un quarto con nuovi debiti, mentre 14 miliardi verranno da tasse su consumi e servizi (un prelievo uguali per tutti). I rimanenti 15 miliardi vengono recuperati con tagli che colpiscono la scuola pubblica, la sanità per i poveri e gli altri servizi di assistenza.
Aspettando la ripresa
Prima o poi questo stesso ridimensionamento dell’economia californiana creerà le condizioni per un ritorno degli investimenti (attratti da un costo del lavoro che sta già scendendo) e delle famiglie che erano emigrate altrove anche a causa dei prezzi proibitivi degli immobili: gente che ora, coi valori di mercato scesi del 40%, può di nuovo permettersi una casa a Los Angeles o nella Silicon Valley.
Ma, in attesa della ripresa, c’è da soffrire in tutti i settori: dall’università (quelle pubbliche sono sovraffollate come mai) agli ospedali, alle prese con la «stretta» del credito, con l’insolvenza di molti pazienti che non riescono a pagare le compartecipazioni alle spese non coperte dalle assicurazioni e con un calo complessivo della loro attività, visto che in tempo di crisi la gente rinvia analisi, controlli periodici, cure non essenziali.
Con 17 milioni di posti di lavoro e un reddito medio di 41.500 dollari pro capite, la California rimane un gigante economico. Silicon Valley è in crisi, ma è sempre un grande motore dell’innovazione.
Con la recessione e la fine del «boom» delle costruzioni è, però, crollata la domanda di lavoratori giornalieri, quella che aveva attratto centinaia di migliaia di immigrati.
Molti resistono, pur sprofondando nella povertà: meglio lavorare 4-5 giorni al mese prendendo otto dollari l’ora che la miseria nera dei loro Paesi, anch’essi in recessione. Altri preferiscono tornare dai loro cari: dai grattacieli di Los Angeles alle piantagioni dell’Honduras.