Antonio Rossitto, Panorama 26/2/2009, 26 febbraio 2009
SICUREZZA FAI DA TE L’ITALIA DELLE RONDE
Il mercato torinese di piazza Madama Cristina è deserto, ma Francesco Picciotto, emigrato settantunenne, arranca già tra le bancarelle assieme a qualche pensionato. Ha il volto chiazzato di rosso, due bypass al cuore e un fischietto appeso al collo. Guarda l’orologio: le otto. ancora presto, i borseggiatori di colore, normalmente, si vedono a metà mattina. Quando intuisce un movimento strano, Picciotto prende fiato e soffia dentro il fischietto a pieni polmoni. I suoi compagni lo seguono: il sibilo assordante fa dileguare i rapinatori. Quest’uomo malconcio e corpulento è il primo rondista d’Italia: cominciò nel 1989 a San Salvario, popolosa zona di Torino alle spalle della stazione di Porta Nuova. E per vent’anni non ha mai smesso, nonostante risse, minacce e un lungo taglio all’avambraccio.
Ora il governo discute se riconoscere per legge l’inusuale mattinata di questo pensionato siciliano. E non solo la sua: in Italia ci sono già decine di gruppi di volontari organizzati per pattugliare il territorio. Le ronde sono ormai un modo immediato per cercare autotutela. A Parma ex carabinieri presidiano i parchi. In alcuni paesi abruzzesi gli abitanti sono scesi per strada dopo un’ondata di furti. Lo stesso succede in provincia di Frosinone.
L’Italia delle ronde. Inziative che, a livello locale, possono portare consenso e visibilità politica. In Veneto, Forza Italia ha istituito un numero telefonico. Nel Modenese la Lega va ogni sera in un paesino diverso. E anche nel Pd il tema è meno stigmatizzato di quanto si creda. Il sindaco di Bari, Michele Emiliano, è favorevole. Quello di Vicenza, Achille Variati, pensa di coinvolgere militari in pensione. A Bologna se ne discute negli incontri elettorali per le prossime amministrative. La politica, però, cerca solo di assecondare l’esasperazione dei cittadini. Centinaia di persone continuano a scendere per strada: girano di notte, torce e cellulari in mano, lo sguardo vigile. Uniti dal timore della criminalità straniera ci sono attempati signori, camicie verdi, comitati di quartiere, manipoli di amici. Una varietà umana che rivela un paese impaurito ma risoluto: l’Italia delle ronde.
San Salvario, Torino, venerdì mattina. ”Purtroppo da 2 anni esco solo di mattina, dalle otto a mezzogiorno. Sono vecchio e cardiopatico, di sera ormai è troppo pericoloso”. Francesco Picciotto ha cominciato nel 1989, quando arrivarono gli extracomunitari. Dopo aver avuto la pensione d’invalidità le ronde sono diventate il suo lavoro. seduto davanti alla finestra sprangata del soggiorno, al primo piano di una casa di ringhiera. Tiene la mano destra sul termosifone. Con l’altra invece gesticola, per dare sapore ai suoi racconti: ”Appena finito di cenare, ci trovavamo all’angolo con gli amici. Poi andavamo avanti fino alle 4″. A volte con gli immigrati si discuteva. Altre volte si arrivava alle mani: ”Almeno un centinaio di risse” ricorda. ”Sono finito all’ospedale spesso. Non avevo mai litigato in vita mia, loro però mi fanno imbestialire”. ”Loro” sono i nordafricani. Picciotto dice di essere stato minacciato di morte: telefonate, lettere minatorie, bossoli nella cassetta della posta, scritte sui muri. Qualche anno fa qualcuno tappezzò il quartiere con un volantino rivolto ai clandestini. C’era la sua foto e sotto una scritta in tre lingue: ”Attenti a questo signore: è uno sbirro. Si aggira nei mercati, pronto a saltarti addosso”.
Picciotto ha segnalato moltissimi extracomunitari alla polizia: ”Gli trovavano addosso merce rubata, armi, droga… Per questo so che me la faranno pagare. Prima o poi mi aspetto una coltellata alle spalle”. I pattugliamenti per lui sono una missione: ”Se lo Stato facesse il suo dovere, non ce ne sarebbe bisogno, invece un gruppo di vecchietti deve rischiare la vita”. La Lega ha proposto che venga nominato cavaliere. L’anno scorso ha deciso di restituire la tessera elettorale al presidente della Repubblica: ”Me la farò ridare quando qualcuno si occuperà seriamente della sicurezza dei cittadini”.
Campo sportivo di Poasco (Milano), lunedì sera. ”Era un paese tranquillo, oggi è diventato un Far West” lamenta Enzo Di Gregorio, 57 anni, pensionato, mentre l’autobus 71 gli sfila davanti. Poasco, 3 mila abitanti a qualche chilometro da Milano, sembra uno di quei posti in cui non succede mai niente: le case basse, le aiuole curate e tutti felici a casa per il quiz della sera. Invece i residenti vivono con l’incubo dei rom: due campi nomadi a qualche centinaio di metri. Furti, violenza, degrado.
Le ronde sono cominciate un anno e mezzo fa, poi le hanno sospese. Ora, dopo altre rapine, sono riprese sotto forma di ”passeggiate fra amici”. Alle 21 Di Gregorio esce e chiama al citofono altri tre volonterosi. ”Ci muoviamo a piedi, fino a mezzanotte. un deserto, e quelli devono avere chiaro che i padroni siamo noi” dice Alessandro Vigorelli, un ragazzone di 37 anni che fa l’operaio. I metodi di dissuasione, assicura, sono fermi ma non violenti: ”Se ne vedo uno dal tabaccaio, gli dico che fumare fa male: e lui capisce”. Le ”passeggiate” non passano inosservate tra le forze dell’ordine: «La Digos ci ferma dieci volte a sera. Ci sentiamo trattati da criminali. Mentre gli zingari fanno quello che vogliono…». Edda Malacrida, 68 anni, ha i capelli rossicci e una lunga pelliccia da cui sbucano scarpe sportive: ”Leggiamo degli stupri nella periferia romana e tremiamo: siamo nella stessa situazione, in campagna, con un campo di clandestini a pochi metri. Aspettano che succeda una tragedia anche qui?”. Malacrida prende fiato per allentare la concitazione: ”Allora, altro che ronde. Andremmo per strada con i forconi”. Se i pattugliamenti volontari diventeranno legali, a Poasco batteranno il paesino 24 ore al giorno. La base operativa sarebbe il bar dello stadio. Una cinquantina di persone ha già dato la propria disponibilità. Edda Malacrida è pronta: ”Ci riprenderemo la città. Quelli non li voglio vedere più”.
Sampierdarena, Genova, venerdì sera. Nel quartiere operaio alla periferia di Genova il capopopolo è Massimo Cazzola, 44 anni, dipendente di un’azienda di telecomunicazioni, pizzetto curato e simpatie leghiste. il presidente dell’associazione Genova sicura, nata a settembre 2007 dopo l’aggressione di due immigrati a un anziano. ”Sono sbucati fuori dal cassonetto: quando hanno visto che aveva solo 5 euro, l’hanno massacrato di botte” racconta Cazzola. La moglie, Michela Fanti, 37 anni, lavora in una mensa: ”Abbiamo chiamato polizia, carabinieri, vigili urbani, il Comune. Nessuno ci ascoltava. Allora ci siamo organizzati da soli”. Per due sere a settimana, insieme con una ventina di residenti, hanno cominciato a girare per strada, con volante al seguito. ”Era l’unica maniera per fare capire che la zona non era abbandonata agli stranieri” dice Fanti, bruna e minuta. ”E anche per far venire qui la polizia” aggiunge sarcastico il marito. Il problema erano ”le orde di sudamericani ubriachi davanti ai bar fino al mattino” spiega Cazzola. ”Non si riusciva più a dormire, il degrado era ovunque”. Dopo una cinquantina di esposti, i locali sono stati chiusi. Ma la cosa di cui va più fiero è l’arresto di tre clandestini: stavano spaccando la vetrina di un bar per rapinarlo, lui li ha fotografati e ha inviato le immagini alla polizia. Sono stati condannati da poco. Cazzola si arrotola una sigaretta di tabacco. Lo chiamano al cellulare: la manifestazione contro la costruzione della moschea a Lagaccio è partita. Manca solo lui. ”Una moschea da 2 mila posti… Impensabile, verrebbero anche dalla Francia. Non glielo permetteremo mai”.
Pescarotto, Padova, sabato mattina. Uno dei nemici pubblici è ”Cicciobello”, spacciatore tunisino di 27 anni. Arrestato 28 volte, è ancora in circolazione: ”Giuro che se lo incontro mentre sono in macchina, lo tiro sotto” minaccia Denis Menegazzo, 55 anni, imprenditore e presidente del Comitato Pescarotto. Un gruppo nato spontaneamente, per combattere lo spaccio degli extracomunitari. Le ronde si fanno almeno una volta la settimana, con torcioni e ombrelli anche d’estate, ”per difenderci dalle aggressioni”. Assidua partecipante è Ottorina Fassina, 69 anni, caschetto curato e occhiali a specchio: ”Non siamo più padroni in casa nostra. Vengono fuori alle 8 di sera come scarafaggi. Nascondono la droga ovunque. Non possiamo vivere così”. ”Facciamo decine di segnalazioni alla polizia” dice Menegazzo. ”I neri ci odiano, ci danno dei bastardi e dei razzisti. Ma noi siamo tanti e li sorvegliamo. Lo devono sapere” aggiunge incattivito. Annuncia che alle amministrative il comitato presenterà la lista Padova sicura. Le perlustrazioni notturne, racconta, sono diventate pure occasioni di socialità: ”Il mio vicino non sapevo chi fosse. Adesso organizziamo grigliate insieme”.
Servola, Trieste, sabato sera A riprova della pluriennale fedeltà alla Lega, Giorgio Marchesich, 54 anni, pelata lucida e parlantina fluida, tira fuori le tessere del Carroccio, a partire da quella del 1991. Quattro mesi fa ha fondato a Trieste i Volontari verdi: ”Siamo i duri e puri del partito: seguiamo la corrente indipendentista di Mario Borghezio”. Beve un sorso di birra: ”Vogliamo combattere la microcriminalità, ma il controllo del territorio è anche un atto di identità politica”. L’iniziativa però non è piaciuta né al sindaco, il forzista Roberto Dipiazza, né ai rappresentanti locali della Lega, che si sono subito dissociati. ”I cani sciolti non sono apprezzati dai potentati” replica Marchesich. I Volontari verdi hanno escogitato le ronde in macchina. Ogni sera un paio di automobili girano per la città, come due volanti della polizia. La prima impresa, spiega Marchesich, è stata ”derattizzare dai rom alcuni bar della periferia”. Senza violenza: solo spray al peperoncino e, in casi estremi, ”qualche calcio nel sedere”. Giorgio Gherlanz, 49 anni, ristoratore, è un colosso con le basette lunghe e gli occhiali fumé: ”Facciamo da deterrente. E funziona, perché siamo di sana, robusta e padana costituzione”. Accanto a lui Dario Dussi, 52 anni, annuisce ingrugnato. Di giorno lavora come amministrativo. Di sera veste in tenuta militare dalla testa ai piedi. ”Non siamo tanto amati dalle forze dell’ordine” ammette ”ma continueremo a vigilare: in questa città ci vogliono ordine e disciplina”.