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 2009  febbraio 26 Giovedì calendario

I cittadini di Trino, Caorso, Latina e Garigliano possono dormire sonni tranquilli, difficilmente le vecchie centrali nucleari torneranno a funzionare

I cittadini di Trino, Caorso, Latina e Garigliano possono dormire sonni tranquilli, difficilmente le vecchie centrali nucleari torneranno a funzionare. Sarebbe difficile rimetterle in funzione da un punto di vista tecnico e non converrebbe nemmeno sotto il profilo economico. Il ministro dello Sviluppo Economico, Claudio Scajola, ha auspicato di «arrivare entro la fine della legislatura a posare la prima pietra di un gruppo di centrali nucleari»: secondo gli esperti, l’unico sito papabile, fra quelli già esistenti, entro quella data, potrebbe essere la centrale di Montalto di Castro. Vent’anni dopo Sono passati più di vent’anni dal referendum dell’87 che ha bocciato il nucleare. Fino ad allora erano in funzione quattro centrali atomiche e una quinta, quella di Montalto di Castro, era in fase di costruzione. La storia delle centrali di Trino (provincia di Vercelli), Caorso (provincia di Piacenza), Latina e Garigliano di Sessa Aurunca (provincia di Caserta) è grosso modo molto simile. Tutte hanno iniziato a produrre energia elettrica nei primi anni Sessanta e hanno continuato l’attività fino all’esito referendario che le ha costrette alla chiusura. Da quel momento è iniziato un programma di messa in sicurezza delle strutture, chiamato tecnicamente ”custodia protettiva passiva”. In pratica si mantengono in sicurezza gli impianti, si effettuano lavori di normale manutenzione, in attesa che la radioattività decada per poi avviare la fase di smantellamento. Ritardi nei progetti e difficoltà sopravvenute hanno costretto al rinvio della fase cosiddetta di ”decommissioning”, ovvero la progressiva destrutturazione. Il momento di avviare i lavori per smantellare le vecchie centrali atomiche è arrivato nel 2000. Per gestire questa fase è stata creata la Sogin – società gestione impianti nucleari – partecipata al cento per cento dal ministero dell’Economia e delle finanze. Ingegneri ed esperti si sono messi a lavoro per rendere possibile lo smantellamento delle strutture nucleari, ma i primi sei anni sono andati molto a rilento. Dal 2001 al 2006, sono stati spesi mediamente circa quindici milioni di euro l’anno per le procedure di smantellamento. Nel corso degli ultimi due anni, superate alcune criticità, si è verificata una rapida accelerazione della fase di decommissioning, le attività sono quasi triplicate e solo nel 2008 il costo dello smantellamento è arrivato a circa cinquanta milioni di euro. Le centrali nucleari, dunque, sono ancora lì dove sono state costruite, aspettano di essere destrutturate e mentre il governo, dopo l’accordo con la Francia, pensa ai possibili siti per la costruzione di nuove strutture, la Sogin continua i lavori di smantellamento, prevedendo in un piano quinquennale (2008 – 2012) di spendere oltre quattrocento milioni di euro. Il programma attuale prevede la totale dismissione entro il 2019. Standard cambiati Stando a quanto dicono gli esperti una marcia indietro non sarebbe auspicabile. Le vecchie centrali atomiche non sarebbero più idonee a produrre energia elettrica, gli standard sono cambiati molto negli ultimi anni e rimettere in funzione con i nuovi parametri queste strutture già esistenti costerebbe molto di più rispetto alla creazione di nuovi impianti. In pratica, sarebbe come pretendere da una vecchia automobile pronta alla rottamazione di riprendere, con qualche ritocco qua e là, a funzionare esattamente come funziona un’auto di ultima generazione. Oltre agli aspetti più prettamente tecnologici, bisogna pensare anche al cambiamento delle condizioni socio-ambientali. Le centrali nucleari non possono sorgere dove è alta la densità della popolazione e nelle zone in cui sono stati costruiti i siti nei primi anni Sessanta, poi bloccati, il numero di abitanti è cresciuto nel corso degli anni. L’unico, tra i vecchi siti, che potrebbe funzionare come nuova centrale nucleare sarebbe quello di Montalto di Castro. Nell’anno del referendum era ancora in costruzione e dopo l’esito della consultazione è stato convertito a centrale policombustibile. Ora, Montalto risponderebbe alle caratteristiche di idoneità: è un territorio non a rischio sismico, è sul mare, c’è ancora disponibilità di terreno e la densità di popolazione sarebbe adeguata. Ma nessuno, per ora, ha voglia di sbilanciarsi.