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 2009  febbraio 26 Giovedì calendario

LA MORTE LE FA BELLE

di FULVIO CAPRARA
Uscire di scena, non farcela più. I suicidi femminili segnano l’inverno cinematografico. Nel nuovo film di Giuseppe Piccioni, Giulia non esce la sera, Valeria Golino è una detenuta in semilibertà che, dopo aver abbandonato il marito e la figlia, uccide l’amante che vuole lasciarla. La rieducazione la porta in una piscina dove fa l’istruttrice di nuoto e dove incontra lo scrittore Valerio Mastandrea. Si accende una speranza, forse qualcosa può ricominciare, forse la figlia riuscirà a perdonarla. Ma non è così facile. Il primo incontro tra le due va malissimo, Golino ne esce prostrata, chiede l’isolamento e un giorno decide di farla finita.
Proprio come Kate Winslet, Oscar per The Reader, dov’è una kapò che, nei giorni del carcere, comprende l’enormità delle sue colpe e non regge al peso dei rimorsi. In Revolutionary Road Winslet è invece una donna ferita dall’impossibilità di realizzare il sogno di un’esistenza anticonformista. Aspetta il terzo figlio, ma la gravidanza è un peso insopportabile, l’ostacolo che le impedisce la fuga. Si procura un aborto con metodi rudimentali e, quando arriva in ospedale, per le non c’è più niente da fare. Si uccide perfino la statuaria Bellucci, abito bianco, pistola in bocca, colpo secco. Il film, presentato all’ultima Berlinale, si chiama The private lives of Pippa Lee ed è scritto e diretto da una donna, Rebecca Miller, figlia di Arthur, moglie di Daniel Day-Lewis. E poi non sarà un caso se la voce narrante di una delle più celebrate saghe televisive degli ultimi tempi, Casalinghe disperate, appartiene al personaggio di Mary Alice Young (l’attrice Brenda Strong), suicida all’inizio del racconto.
Certo, non si può parlare di una moda e neanche di una tendenza, le storie e i contesti sono diversi, però qualcosa sta succedendo. Reduce da un’apparizione a Sanremo, Piera Degli Esposti, attrice ma anche scrittrice e poetessa da sempre in particolare sintonia con l’universo femminile, fa una riflessione: «Tutto questo rappresenta un segnale. Riguarda il discorso della pazienza delle donne. Nel loro ruolo, sia in casa che fuori, in ogni tempo, la pazienza è stata elemento centrale. Oggi questa pazienza viene meno, prevale la disperazione». In Giulia non esce la sera Degli Esposti è l’agente dello scrittore Mastandrea, una presenza amica, sollecita, ma anche pragmaticamente interessata: «Rivedendo il film ho pensato - dice - che la protagonista poteva fare una scelta più politica, più meditata e che in fondo la vita poteva anche offrirle una seconda occasione. Ma lei non ha pazienza, è una persona istintuale, non ha un gran governo di se stessa, ubbidisce, invece, alla propria immediatezza».
E poi c’è il nodo madre-figlia, quello da cui tutto dipende: «La madre è l’amica-nemica che viene prima di noi. Se una figlia cancella la madre, e nel film questo accade, la madre simbolicamente muore, la sua immagine sparisce». Golino ha partecipato alla realizzazione del film fin dalle prime fasi. Prima di arrivare sul set ne ha molto discusso con il regista e ha anche accettato di cantare con i Baustelle nel video di Piangi Roma, la canzone che accompagna i titoli di coda: «Sono andata a visitare un carcere femminile per capire meglio come doveva essere il personaggio di Giulia. Sono stata a Velletri, in una prigione per sole donne, mi ha colpito scoprire che questi sono posti umani, con il verde, con lo spazio riservato ai bambini che vengono a visitare le mamme...».
Eppure, nonostante tutto, certe volte non ce la si fa. E poi il carcere può anche non avere le sbarre. Come l’appartamento romano in cui si era trasferita Rita Atria, la ragazzina 17enne che nel ”91 denunciò gli assassini del padre e del fratello, entrambi uomini d’onore. Dopo la morte di Borsellino, che l’aveva seguita nella difficile ribellione a Cosa Nostra, Rita si tolse la vita. Dalla sua storia Marco Amenta ha tratto un film, La siciliana ribelle, da domani nelle sale: «Ho voluto raccontare Rita - spiega la protagonista Veronica D’Agostino - prima come ragazza, poi nella sua lotta contro qualcosa di più grande di lei. Non vedo il suo suicidio come una sconfitta contro la mafia, ma come la presa di coscienza, dopo la morte del procuratore, dell’impossibilità di tornare alla vita normale».