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 2009  febbraio 22 Domenica calendario

VIA CRUCIS DI FAMIGLIA


 un libro nitido, nobile e commovente. Amaro come la vita quando decide di farci conoscere veramente il dolore. Parliamo del romanzo di Antonio Del Giudice, La Pasqua bassa. Uno dei pochi libri anacronistici di oggi, lontano dalle mode e dal chiacchiericcio imperante nella nostra narrativa.
Del Giudice è pugliese di Andria e, ci informa il risvolto di copertina, ha lavorato «per quasi 40 anni nei giornali»; arrivando solo ora «al primo romanzo, ricavato da appunti di storie vere». Ma il lettore non si aspetti un romanzo-verità: qui i reperti giornalistici sono trasfigurati secondo il modello di una tradizione letteraria eccellente, quella verghiana. Perché la vicenda dei suoi poveri personaggi, umile gente pugliese di campagna, calata soprattutto nel tempo della Seconda guerra mondiale, ma con frequenti flashback a epoche più lontane, alla genealogia degli avi, al Meridione dopo l’annessione al Regno d’Italia, con i problemi che ne conseguirono per le popolazioni del sud, è dominata dall’ombra di un destino cui non solo non si può sfuggire, ma che colpisce doppiamente i diseredati.
Non c’è tregua per la famiglia di Peppino e di Caterina (donna coraggiosa ed energica, lo si vedrà nel corso della trama). Che si sono conquistati giorno per giorno, con la fatica nel lavoro dei campi, una condizione meno aspra di quella dei genitori di lui, arrivati in Puglia dalla Lucania attraverso un logorante interminabile viaggio a piedi per tratturi, in cerca di un luogo dove fermarsi a guadagnare il pane: in fuga dalla miseria.
Dopo l’8 settembre, infatti, il ragazzo Pinuccio, militare sbandato insieme ai suoi compagni e fatto prigioniero dai tedeschi, riesce a evadere ma viene abbattuto in riva al mare, a poca distanza da casa. E sarà proprio il padre, Peppino, a scoprirne il cadavere. Con la morte del giovane, ha inizio la disfatta della famiglia di Peppino e Caterina, tutta proiettata sui figli con un amore tenace e un rigoroso senso del dovere (altri tempi). Ma ecco questo piccolo mondo chiuso di colpo spezzarsi, rimasta solo la figlia più piccola, Rita: destinata ad assumere «nella vita a venire un ruolo di ancella». A dimostrazione che si può morire anche rimanendo vivi.
La Pasqua bassa, cioè la Pasqua precoce, di marzo, nella tradizione popolare è sentita come portatrice di sventure. Ma qui, nel romanzo, alla superstizione del popolino si unisce uno spauracchio ben peggiore: la realtà della Storia, quella fatta dai potenti, incurante, come accade specialmente allo scoppiare di una guerra (ma non solo) delle ragioni dei singoli. Mentre, come appunto avviene nel grande, omerico Verga, sono proprio i diseredati, i socialmente deboli a esserne i più colpiti. Il libro è strutturato per blocchi, seguendo, non senza andirivieni cronologici, sull’onda dei ricordi, i diversi momenti che scortano la morte di un uomo: l’esposizione della salma, l’accompagnamento della stessa in chiesa, la messa funebre, la traslazione al cimitero, la sepoltura.
E il vuoto del terribile dopo. Come le tappe di una via crucis: attimi tragicamente reali e irreali insieme, che concludono una vita. Del Giudice li ha saputi rendere con pathos lontano da ogni enfasi. E, se fosse per noi, i premi letterari più prestigiosi dell’anno (sorry, noi sì, per la nostra enfasi), sarebbero suoi.