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 2009  febbraio 22 Domenica calendario

«QUANDO MURDOCH VOLEVA PORTARE MARANGHI A SKY»

«Ho cominciato con il cinema e la tivù, sono e resto un uomo di cinema e tivù». Perentoria dichiarazione di Tarak Ben Ammar, il quasi sessantenne produttore tunisino diventato familiare da noi più per l’agio con cui si muove tra i salotti della finanza (Mediobanca, Telecom, Generali) che non per la settima arte. A riprova, però, ecco che sul megaschermo della sua casa parigina fa scorrere le immagini del promo di Bagheria, l’ultima fatica di Giuseppe Tornatore in procinto, forse, di andare a Cannes. Una specie di C’era una volta in Sicilia, o di saga storica alla Novecento di Bertolucci, con tanto di cast stellare, il tutto per la bella sommetta di 25 milioni di euro, spesa in parte anche per costruire in Tunisia il set che riproduce il paese siciliano. Produzione mista, Ben Ammar con Medusa, ovvero Silvio Berlusconi, ovvero colui che da un quarto di secolo resta uno dei suoi più grandi amici. Una lunga storia che parte dalla spiaggia di Hammamet, passa per la quotazione in Borsa di Mediaset e arriva al recente incontro in pompa magna con i libici a palazzo Grazioli, la residenza romana di Silvio Berlusconi.
Il primo incontro non si scorda mai. Quando avvenne il suo con Berlusconi?
Ero in Tunisia, stavo girando un film con Aldo Maccione e contemporaneamente Pirati di Roman Polanski. Mi aveva chiamato Bettino Craxi per invitarmi a cena. Disse che ci sarebbero stati anche degli italiani, tra cui Berlusconi. Infatti poco dopo, camminando sulla spiaggia di Hammamet, lo incontro insieme a Fedele Confalonieri e Tony Renis. Mi sono presentato dicendogli: «Credo che domani sera ceneremo insieme». Parliamo di 25 anni fa.
Invece per il grande pubblico la prima volta fu la sua comparsa al Tg5, intervistato da Enrico Mentana sulla vicenda All Iberian.
Giusto, ma all’epoca avevo già portato il principe Al Waleed nel capitale di Mediaset. La storia di All Iberian è nota, ma gliela riassumo in due battute. Craxi chiedeva a tutti gli industriali, Berlusconi compreso, soldi per i palestinesi. Ma Silvio non poteva farlo, diceva: «Io lavoro con Hollywood, là sono tutti pro israeliani e mi sparano». Sono stato io che ho preso i soldi vendendo dei diritti di La Cinq a Berlusconi, e li ho girati ai palestinesi.
Ma lei, se mi consente, è un po’ un arabo meticcio, un crogiolo di religioni.
Madre nata cattolica, padre musulmano, moglie cattolica, io musulmano, ho battezzato i miei figli ma li educo nelle due religioni. Invece per la politica deve sapere che mia zia, sorella di mio padre, ha sposato Habib Bourguiba, primo presidente della Tunisia, e mio nonno è l’avvocato che l’ha difeso durante la lotta per l’indipendenza. Abbiamo sempre aiutato e finanziato i palestinesi. Nell’82 io ho partecipato al negoziato per portarli in Tunisia dopo l’assedio di Beirut.
Che cosa ha portato a Berlusconi, oltre che alleati esotici e capitali?
Un punto di vista internazionale. Sono l’unico imprenditore straniero nel suo entourage. Ho sempre detto scherzando che l’Italia è il Paese arabo più a Nord, e questo spiegava forse la grande attenzione di Andreotti e Craxi verso la causa palestinese.
Facciamo un passetto indietro, all’operazione Wave, "onda". Per chi non ricorda, Berlusconi, oberato dai debiti, cercava soci che investissero nelle sue televisioni.
C’erano due pretendenti. Uno era Rupert Murdoch: voleva comprare la maggioranza di Mediaset e andare in Borsa. Io invece stavo con Al Waleed, Leo Kirch, Nethold e Lehman Brothers, che volevano entrare come soci di minoranza.
Allora Murdoch dovrebbe vederla come fumo negli occhi, invece è diventato suo amico. Com’è che lei diventa amico di tutti, signor Ben Ammar?
Dopo l’operazione "Wave", Murdoch mi disse di andarlo a trovare a New York. Quando lo incontrai mi fece una richiesta: «Perché non mi aiuta in Europa come ha fatto con Berlusconi?». Io gli chiesi se potevo portargli capitali arabi. E in tre giorni ho fatto entrare Al Waleed anche in NewsCorp. Da lì è nata la mia amicizia con Murdoch.
E poi?
Poi sono diventato suo consulente anche per le altre operazioni italiane. All’epoca c’era Stream, una delle due pay tv, che andava male. Allora l’ho consigliato di comprare Telepiù e fondere le due società, ovvero l’operazione da cui è nata Sky Italia.
Un politico che non piace al Cavaliere direbbe: ma che ci azzecca Sky con Mediobanca?
Passaggio decisivo. Ho consigliato a Murdoch di prendere Vincenzo Maranghi con Mediobanca come consulente nell’acquisto di Telepiù. Ed è in quell’occasione che è cominciata la mia collaborazione e amicizia con Vincenzo.
Vede che la vita è meglio del cinema. Però in Mediobanca voi francesi entraste molto dopo. Ci svela l’arcano?
Semplice. Nel 2001 Vincent Bolloré aveva comprato un pacchetto di partecipazioni da Lazard, tra cui c’era un 1% di Mediobanca. Siccome è mio vicino di casa, un giorno mi viene a trovare e mi dice: «So che conosci Berlusconi e l’Italia. Vorrei il tuo aiuto per cercare di rimettere Antoine Bernheim alla presidenza di Generali».
E lei cosa fece?
Sono andato a chiedere consiglio a Berlusconi che di Bernheim aveva grande stima, essendo stato lui il suo banchiere all’epoca della Cinq. Mi ha risposto: «Grande idea, ma non so come aiutarti, perché io non sono di quel mondo».
Ma avevate solo l’1% di Mediobanca o, come si è sempre sospettato, molto di più?
Da quel momento, senza dire nulla a nessuno, avevamo rastrellato con Bolloré e soci fino al 15% del capitale. Rivelai la cosa a Silvio.
Che immagino, attaccato com’è all’italianità, non l’abbia presa benissimo.
Non l’ha presa male. Ha detto: «Cribbio!». Era sorpreso e impressionato. Però poi l’ho fatto incontrare con Bolloré e Bernheim che lo hanno rassicurato sul fatto che non avevano intenzioni ostili sulle Generali.
E non ha detto altro?
Che l’unico con cui dovevo mettermi d’accordo era Cesare Geronzi. Sono andato ad incontrarlo, l’ho informato che la mia famiglia aveva cacciato i francesi dalla Tunisia e che poteva stare tranquillo sul rischio di colonizzazione a Trieste. E che, se fosse stato necessario, sarei stato garante del fatto che i francesi avrebbero rispettato l’establishment italiano
Nel frattempo il povero Maranghi ignorava che con voi francesi si era messo in casa un cavallo di Troia.
Sì e no. Non gli dicemmo mai che avevamo superato il 2%, ma lo rassicurammo sul fatto che i francesi stavano con lui nella sua battaglia contro le banche azioniste, Capitalia e UniCredit.
Peccato che quasi tutti gli altri soci lo volevano mandare via. Solo contro quasi tutti.
Infatti a un certo punto Bolloré e io gli abbiamo detto: «Se la tua vita è Mediobanca aiutaci a proteggerla, perché tu da solo non ce la fai». Da allora l’ho puntualmente informato di tutti i negoziati che hanno portato all’accordo finale e alla sua uscita di scena. Ma siamo rimasti amici fino all’ultimo. Ricordo la dignità e la commozione con cui ha firmato la lettera di dimissioni davanti a Geronzi, Bolloré, Tronchetti e il sottoscritto. Le svelo un particolare inedito...
Siamo qui per questo.
Quando uscì da Mediobanca, io, d’accordo con Murdoch, gli proposi la presidenza di Sky Italia. Murdoch era rimasto affascinato dal modo in cui Maranghi aveva affrontato il matrimonio tra Stream e Telepiù, dandogli preziosi consigli senza mai rinunciare alla sua durezza. Un giorno, in disaccordo su un punto, arrivò a dirgli: «Murdoch, lei è uno stupido che non capisce niente».
Maranghi non diventò presidente di Sky.
Ricordo ancora la sua frase quando gli proponemmo l’incarico: «La mia vita professionale si è chiusa con Mediobanca».
Tutto bene se si è amici di Murdoch e Berlusconi quando vanno d’accordo. Ma quando litigano, anche uno abile come lei dovrà scegliere da che parte stare.
Ho visto Murdoch quindici giorni fa e non è affatto arrabbiato con Berlusconi. un uomo d’affari che vive in un mercato competitivo. Gli ho ricordato che è in Italia perché c’era Silvio presidente del Consiglio che lo ha permesso. All’epoca Mario Monti, l’Antitrust, la sinistra, tutti erano contrari. Parlavano dello squalo che allungava le mani anche sulla tivù italiana.
Sull’aumento dell’Iva però non è che ha fatto i salti di gioia.
Murdoch sa che quando si arriva da stranieri in un Paese non bisogna mai mettersi a fare politica.
Eppure una volta Berlusconi la tentazione di vendere all’amico-rivale l’aveva avuta.
Era pronto a vendere. Ma i figli hanno detto che volevano lavorare, non essere considerati solo degli eredi. Ero presente al dibattito in famiglia, e ho trovato bello che dei figli ricchi avessero detto così. In fondo il padre li aveva educati al lavoro.
Secondo lei Berlusconi venderà mai?
No, mai. Agli italiani non importa nulla del conflitto d’interessi. E poi lui non ha ostacolato la concorrenza, tant’è che Murdoch e il suo braccio destro, Tom Mockridge, in Italia hanno potuto fare un lavoro fantastico.
Ha idea di dove sta andando la televisione? Sul satellite, sul digitale terrestre, sulla banda larga?
I contenuti sono quelli, cambia il modo di diffonderli. E ognuno sarà libero di scegliersi il mezzo che predilige.
Certo che lei potrebbe essere uno che si diverte: cinema, donne, barche, champagne, e invece passa buona parte del suo tempo a occuparsi di Generali, Mediobanca, Telecom...
Ho costruito un’industria cinematografica in Tunisia, ho fatto 70 film investendo 500 milioni di dollari, ho impiantato degli studi cinematografici creando in trent’anni 500mila posti di lavoro. In Francia controllo quasi tutte le società di post-produzione. In Italia ho Sport Italia, la Lux e la Eagle con cui ho fatto Twilight, il film sui vampiri che sta spopolando. Mediobanca e il resto sono stati episodi non previsti nella mia carriera. Dimenticavo: adesso lancio anche una televisione maghrebina, Nesma Tv, (nesma, brezza, ndr) per quei 90 milioni di nord-africani arabi che non sono integralisti, ma persone moderate e di valore.
Con Mediaset naturalmente.
Sì, partiremo in marzo. Berlusconi ha capito al volo che bisognava fare una televisione moderata, mediterranea e maghrebina.
Più di recente, l’ombra di Murdoch si è allungata sulla Telecom.
Il Governo Prodi ha ostacolato Tronchetti Provera in quello che invece sarebbe stato un grandissimo accordo. Che avevamo preparato con l’ausilio di un grande consulente.
Chi era?
Nessuno sapeva, al di fuori di Murdoch e io, che era Maranghi. Era già malato, ma è venuto con me a Londra per consigliare Murdoch. Aveva caldeggiato l’accostamento di Sky Italia a Telecom. Un particolare che nemmeno Tronchetti conosceva, perché Vincenzo non voleva assolutamente apparire.
Trattavate di contenuti, non di azioni.
Quello era l’inizio. L’obiettivo finale era di unire Telecom e Sky. Qui il Governo fu ambiguo: a Tronchetti diceva di non cedere la maggioranza di Telecom, a Murdoch che poteva prendersela. Avvisai Rupert di non cadere nella trappola.
Che trappola?
Gli dissi: «Ma tu pensi che, se si trattasse di Australia Telecom, il Governo del tuo Paese lascerebbe la maggioranza a un italiano?». Alla fine si è convinto. Però siccome sapeva che Prodi preferiva lui a Tronchetti, i suoi advisor hanno sparato una cifra iperbolica per la valutazione di Sky Italia in modo da farsi dire di no.
Quello che non si fece con Tronchetti si può fare oggi con Telco. Non le sarà sfuggito che in Italia c’è un partito trasversale favorevole allo scorporo della rete e poi alla fusione tra Telecom e Mediaset.
No, nessuna fusione. Con Sky c’era una logica, perché telefonia e pay tv hanno entrambe degli abbonati che pagano un servizio. Mediaset invece è una tv gratuita.
E lo scorporo?
Anche qui no. Il goodwill di Telecom è la rete, se la scorpori cosa resta? E poi, ammesso che si potesse scorporare e quotare portandosi a casa molti soldi, per come sono messi oggi i mercati non mi pare aria.
Però a Mediaset l’idea della fusione non dispiace.
Mediaset e Telecom fanno due mestieri diversi. una suggestione che piace a qualche politico, ma la televisione generalista non può essere legata alla telefonia.
Comunque, prima di qualsiasi cosa, c’è il problema di liquidare gli spagnoli che si opporrebbero a tutto. Bella spina nel fianco.
Telefonica è entrata in Telecom per ragioni difensive: aveva paura che attraverso di lei Carlos Slim potesse aprirsi una breccia in Sudamerica. Certo, l’hanno pagata cara. Ma meglio aver speso quei soldi, o vedere Tim Brasil nelle mani del nemico messicano?
Nulla da ridire sull’attuale governance di Telecom?
Così come dissi a Gabriele Galateri che doveva lasciare Mediobanca perché era incompatibile con Geronzi, allo stesso modo spinsi perché andasse in Telecom, dove si sta rivelando un presidente formidabile, molto più a suo agio che non a piazzetta Cuccia. L’accoppiata con Franco Bernabé, che ha in mano l’azienda e che sta portando degli ottimi risultati, sta funzionando benissimo.
A proposito, ma lei non doveva portare in Telecom i libici?
Il prezzo discusso con loro non era interessante per gli attuali soci. Quindi abbiamo interrotto il negoziato. Lo riprenderemo più avanti, ammesso che si ricreino le condizioni.
Si consoli. Non li ha portati in Telecom, ma li ha portati a palazzo Grazioli.
Era la conseguenza del trattato con cui l’Italia ha chiesto perdono del periodo coloniale. Da voi non se n’è compresa appieno la portata storica. Parliamo di un Paese che dalla rivoluzione viveva della retorica di Gheddafi contro il colonialismo e i fascisti che hanno ammazzato il suo popolo. I libici hanno pianto il giorno in cui, nello stesso luogo dove è stato impiccato dal generale Graziani Omar el Mukhtar, il Garibaldi libico, Berlusconi ha chiesto scusa e voltato pagina.
Sa una cosa? incredibile come lei si trovi sempre nel posto giusto al momento giusto. Dicono che molte delle sue fortune derivino dal fatto di parlare cinque o sei lingue.
Le lingue mi hanno aiutato a capire la mentalità e la cultura dei miei interlocutori. E ad evitare i malintesi. Essendo l’unico amico e socio arabo di Berlusconi, ho favorito il dialogo tra lui e Gheddafi. Ma ciò è stato possibile perché a Roma i libici hanno un ambasciatore formidabile, Hafed Gaddur, che parla uno splendido italiano e soprattutto ha capito il vostro Paese.
Ma lei non è un signore che fa beneficenza. Quanto vale una così ricercata intermediazione?
Non ho misteri. Io non sono un banchiere d’affari, e non ho mai presentato parcelle. Con Murdoch non ho mai negoziato prima la cifra, ho sempre lasciato fare a lui. Ed è stato generoso con me. Anche negli affari. Quando l’Unione Europea, dopo la fusione Stream-Telepiù, gli impose di vendere due frequenze, io gliele ho comprate.
E con Berlusconi?
 diverso. Con lui sono socio da quasi vent’anni, ha un terzo della mia società francese, la Quinta. Però quando ho portato Al Waleed, Kirch, Lehman e Nethold in Mediaset ho preso l’1% dei soldi che hanno investito.
Certo che per i libici investire con il petrolio a 150 dollari o a 35 fa una bella differenza.
Nella loro sfortuna si sono protetti perché in questi 15 anni non hanno investito all’estero, essendo boicottati dagli americani. Perciò si ritrovano con 100 miliardi di euro non spesi.
Non per inzigare, ma finora i libici sono entrati pesantemente in UniCredit all’insaputa sua e del Governo.
Erano dei fondi che hanno fatto un’operazione di Borsa e non ero coinvolto. vero, Tremonti non era contento. Pensava che i libici avrebbero dovuto avvertire prima dell’operazione, non dopo. Cosa che hanno poi fatto quando hanno deciso di accollarsi l’ulteriore tranche dell’aumento di capitale non sottoscritta da Cariverona.
Meglio tardi che mai.
Proprio per evitare queste mosse non coordinate dei libici abbiamo pensato con Berlusconi e Tremonti di affidare a Mediobanca il ruolo di tramite tra loro e il Governo italiano. Ecco il motivo della riunione con Berlusconi, Tremonti, Geronzi, Nagel, il sottoscritto e i libici a palazzo Grazioli.
A proposito, si aspettava che il presidente della Fondazione Cariverona, Paolo Biasi, si tirasse indietro dai "cashes" UniCredit?
No, e non ho capito la mossa. Se il gioco era di non pagare tre euro posso comprenderlo, ma allora sarebbe stato corretto chiamarsi fuori sei mesi fa, quando hanno deciso l’aumento di capitale. Fatto due giorni prima ha messo nel panico azionisti, Governo e Tremonti.
In Eni invece i libici saliranno al 10%?
Mediobanca si sta proprio occupando di questa trattativa.
Ah, mi stavo quasi scordando di chiederglielo. Il suo amico Bernheim ad aprile dormirà sonni tranquilli?
Tranquillissimi. Ha un mandato che scade nel 2010 e lo onorerà fino a quella data. In questa crisi, destabilizzare sul toto nomine Generali un anno prima della scadenza non ha senso, in più non vedo il nome di un eventuale sostituto che metta d’accordo tutti i soci.

CHI 
Tarak Ben Ammar è nato a Tunisi nel 1949. Suo padre è stato ambasciatore e ministro della Repubblica. Ha iniziato la carriera di uomo d’affari e produttore cinematografico dopo la laurea in Economia internazionale all’Università di Georgetown a Washington, con la creazione della Carthago Films nel 1974. Sue le produzioni della Traviata di Franco Zeffirelli, dei Predatori dell’arca perduta di Steven Spielberg e di Pirati di Roman Polanski.
In ottimi rapporti con Rupert Murdoch, nel 1983 crea con Silvio Berlusconi la Quinta Communications, società cinematografica e di distribuzione, che ha chiuso l’ultimo bilancio con un fatturato di 220 milioni di euro e un Ebitda di 75. Nel 2002 diviene azionista di riferimento della società di fiction italiana Lux Vide. Tra i suoi numerosi incarichi, dal 1995 al 2003 è stato consigliere d’amministrazione di Mediaset. Dal 2003 siede nel Cda di Mediobanca, in rappresentanza del gruppo di azionisti francese. presente anche nel Cda di Telecom Italia.

I PROTAGONISTI
Silvio Berlusconi

Presidente del Consiglio Ha fondato Fininvest, oggi Mediaset

«La storia di All Iberian? Craxi chiedeva soldi per i palestinesi, anche a Silvio. Sono stato io che ho preso il denaro vendendogli i diritti di La Cinq, girandolo poi ai destinatari»


Rupert Murdoch

Editore, imprenditore e produttore televisivo australiano

«Mi fece questa richiesta: "Perché non mi aiuta in Europa come ha fatto con Berlusconi?" In tre giorni ho fatto entrare Al Waleed in NewsCorp. Da lì è nata la nostra amicizia»

Cesare Geronzi

Presidente del consiglio d’amministrazione delle Generali

«L’ho informato che la mia famiglia aveva cacciato i francesi dalla Tunisia, che poteva stare tranquillo sul rischio di colonizzazione a Trieste. E che sarei stato garante per i francesi»

Vincenzo Maranghi

Delfino e successore di Cuccia a Mediobanca scomparso nel 2007

«Bolloré e io gli abbiamo detto: "Se la tua vita è Mediobanca aiutaci a proteggerla, perché da solo non ce la fai". Da allora l’hoinformato su tutti i negoziati fino alla sua uscita dfi scena».

Muammar Gheddafi

Il colonnello è la massima autorità della Libia

«Essendo l’unico amico e socio arabo di Berlusconi ho favorito il dialogo tra lui e Gheddafi Ma ciò è stato possibile anche perché a Roma i libici hanno un ambasciatore formidabile»

Paolo Biasi

Presidente della Fondazione Cariverona

«Non ho capito perché si è tirato indietro nell’intervento su UniCredit. Sarebbe stato più corretto chiamarsi fuori sei mesi fa. Farlo due giorni prima ha messo nel panico azionisti e Governo»