Marco Imarisio, Corriere della sera 25/2/2009, 25 febbraio 2009
IL CORVO E LO SCRITTORE IL GIALLO CHE SCUOTE TRIESTE
All’inizio gli venne anche da sorridere di compassione. «Il personaggio a cui faccio riferimento gode in città di notevoli e protettive amicizie, ma è un pedofilo infame». Il 10 gennaio 2008, la questura girò al diretto interessato la lettera arrivata al Piccolo, il giornale per il quale collabora. «Il solito pazzo, ecco l’unica cosa che pensai». Lo scrittore Veit Heinichen non poteva sapere che avrebbe provato sulla sua pelle la sottile differenza che intercorre tra la pazzia e la follia. Dove la seconda può essere lucida, precisa. Spietata. Gli è toccato in sorte un «corvo», lui lo chiama «ombra», che dopo quel timido avvio ha inondato la città di lettere dimostrando di conoscere bene la sua vittima. Cambia identità di continuo. Può essere il padre separato che denuncia gli abusi subiti dal figlio di sei anni. Ma è anche lo spettatore teatrale che non tollera di vedere un grande come Boris Pahor seduto in platea accanto «a quell’animale abbietto». Diventa il segretario di una fantomatica associazione di commercianti che implora i colleghi dei bar sulla Costiera di tenere presente «l’orrenda pericolosità sociale di questo pedofilo impenitente ». Una sorta di Zelig cattivo che muta ad ogni lettera, dipende dal destinatario. E ce ne sono tanti, tutta la città che conta. Politici, amici, curia, tribunale, ristoranti, librerie, case editrici. Non è solo diffamazione, però. C’è anche una forma dura di stalking.
L’ombra tappezza i muri di casa sua e dei suoi vicini di adesivi che ripetono la medesima accusa. Nelle sue lettere fa abitudini a dettagli privati, resoconti esatti dei suoi spostamenti di giornata. «Nei miei libri ho scritto del lato nero di questa città così bella. Ma esserne colpito, è un’altra cosa, smuove ogni tua certezza». Oggi la bora gelida che soffia sempre nei suoi romanzi è solo un vento fresco che soffia sulla strada Costiera. Ma l’umore dello scrittore tedesco non può essere in sintonia con questo annuncio di primavera. «Di Trieste amo anche l’ordine. Ma da 14 mesi la mia vita è invece sottosopra».
nato 52 anni fa in quel lembo di Foresta nera che tiene insieme i confini di Germania, Francia e Svizzera. Studia Economia, diventa manager alla Mercedes. Dieci anni fa, racconta, si trova a decidere «tra la concretezza di Mercurio e la poesia di Apollo». Molla tutto. Sceglie Trieste. «Perché vivo il confine come incontro tra tante diversità culturali. O perché l’amore è cieco, e c’è compatibilità tre le reciproche nevrosi ». Si mette a scrivere romanzi noir che hanno come vera protagonista Trieste, la città della quale Heinichen adotta anche i misteri, i personaggi politici più discussi, ai quali cambia nome, lasciandoli riconoscibili da chi sa. «Non posso dire "sicuramente", ma sono convinto che la persecuzione contro di me sia dovuta ai rimandi dei miei libri con la politica locale». Da I morti del Carso
a Danza macabra, ogni libro è best seller in madre patria, vende bene in Italia. Vita da rintocco d’orologio, tre ore di scrittura al mattino, pranzo con la sua compagna, i pomeriggi che si chiudono quasi sempre al Gran Malabar di piazza San Giovanni, con gli amici. Fino a 14 mesi fa.
La questura di Trieste gli ha imposto di stravolgere tutto. Tanta visibilità, per mettere l’ombra nella condizione di rivelarsi. «Io ho chiesto solo una cosa: indagate su di me. Cercate nel mio passato tedesco, al quale l’ombra fa spesso riferimento». Fatto. Quell’uomo è una pagina bianca, dice il questore Francesco Zonno. La Polizia guarda soprattutto al passato recente della città. «Egregio Heinichen – si legge in una delle ultime missive – anni fa hanno ucciso Arnaldo Franceschino, un mio amico». Non è fantasia. E’ cronaca. Il 13 ottobre 2000 un ispettore venne trovato ucciso a martellate in una dolina fuori Trieste. Era sparito 8 mesi prima. Vedovo, partecipava alla vita politica locale. Si chiamava Arnaldo Franceschino. L’indagine venne archiviata. «Hanno insabbiato’ scrive l’ombra – ed io so perché. Per anni sono andato via da Trieste, ma ora sono tornato e voglio sollevare il discorso». Lo fa davvero. In un’altra missiva c’è un riferimento preciso alle telefonate estere fatte dall’uomo nella sua ultima notte. Un dettaglio che in pochi conoscono. Indagine riaperta.
Heinichen non crede a questa pista. «Secondo me è un diversivo, l’ombra è astuta». Lo chiama per nome, come un conoscente. Nell’ultima lettera, di pochi giorni fa, è stato sfidato. «Coraggio, giochiamo», scrive l’ombra. «A lei la prossima mossa». Lo scrittore decide di raccontare tutto in un articolo uscito il 24 febbraio sul Piccolo. La persecuzione diventa di pubblico dominio. «Si chiama sparigliare», dice. L’ombra si fa corvo per i media, la sostanza non cambia. L’unico effetto immediato è la riabilitazione. Perché pare che ce ne fosse pure bisogno. La calunnia non è la bora ma soffia comunque forte. Tutti sapevano. A dicembre destò scalpore un suo articolo apparso sulla rivista dell’aeroporto di Lubiana. Heinichen, sostenitore dei diritti della minoranza slovena, ci andò pesante. «A Trieste trovi i peggiori politici italiani». La risposta fu veleno puro. «Spieghi piuttosto come mai è venuto in Italia», disse il sindaco Roberto Dipiazza. «Smetta di pontificare – aggiunse il sottosegretario di An Roberto Menia – perché noi non siamo bambini...». Era il 18 dicembre, e in teoria non si sapeva ancora nulla della vicenda.
«Da quando mi sono esposto, ho almeno capito che in città non ci crede nessuno, a quelle cose. Identikit? Sono convinto che sia un uomo istruito. Mi ha studiato a fondo. Un uomo che guarda nella mia vita e vuole solo distruggerla. Almeno, dimostra di aver comprato i miei libri ». Heinichen non sorride della sua battuta. Si affaccia alla finestra. Il mare ormai è una massa scura. I lampioni sulla strada mandano una luce fioca. C’è un’ombra, là fuori.