Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  febbraio 25 Mercoledì calendario

MEDVEDEV E I MILITARI CONTRO PUTIN


Quando qualcuno finalmente si è deciso a chiamare i dottori in una delle caserme del Car di Elansk, negli Urali, era ormai troppo tardi: Anton Yumatov, 18 anni, chiamato sotto le armi meno di un mese prima, stava esalando l’ultimo respiro. Intorno a lui, in un baraccone quasi privo di riscaldamento a dicembre, tossivano e rabbrividivano di febbre i suoi commilitoni. Negli stessi giorni, all’altro capo della Russia, moriva Alexandr Nikolaev, anche lui diciottenne, anche lui appena chiamato sotto le armi come marinaio della vedetta «Ardito» sul Baltico, anche lui della stessa malattia: polmonite. Pochi giorni prima aveva mandato alla madre un sms: «La nave è piena di topi, è umido e freddo, ma divertente. Ho preso la polmonite, qui tutti ce l’hanno, ma mi hanno fatto un paio di punture e sono di nuovo in piedi». Quando si è aggravato, Alexandr è stato spedito al manicomio, sospettato di simulare la malattia per non fare il marinaio. morto dopo due settimane di coma, mentre i centralini della Ong «Le madri dei soldati» venivano inondati da telefonate: «Anche mio figlio si è ammalato di polmonite in caserma».
Centinaia e centinaia di casi, ordinaria amministrazione in un esercito che unisce le tradizioni sadiche dell’ex Armata Rossa (niente acqua calda perché «in guerra non ci sarà la doccia») alla miseria postcomunista. Fare la naja in Russia ha sempre significato rischiare una condanna a morte. Ma adesso lo scontento esplode. Alla disperazione dei soldati si aggiunge quella dei loro comandanti. La guerra in Cecenia e il «vittorioso» blitz in Georgia, accompagnati da un aumento delle spese per la difesa di quattro volte in otto anni, aveva reso Vladimir Putin - che ha fatto sua la frase di Alessandro III «La Russia ha solo due alleati, la sua marina e il suo esercito» - l’idolo degli ufficiali. Ma il petrolio è sceso a 40 dollari al barile, e far svolazzare i cacciabombardieri ai confini degli Usa diventa un lusso. Il Cremlino si prepara a tagliare 200 mila ufficiali, tra cui 200 generali e 15 mila colonnelli.
Tagli anche giustificati, con delle forze armate di 1,2 milioni di unità che hanno probabilmente la più alta percentuale al mondo di generali. Ma colpiranno anche quegli ufficiali che abitano da anni in baracche, costretti ad arrotondare come tassisti per mantenere le famiglie, il popolo di umiliati e offesi che per tutti gli Anni 90 ha votato comunista e che i petrodollari e la retorica imperiale hanno solo recentemente riconciliato con il potere. All’improvviso a Putin viene ricordato tutto, incluso l’aver messo come ministro della Difesa Anatoly Serdiukov, che negli anni dell’amicizia pietroburghese con Putin era responsabile del commercio di mobili all’ingrosso. «Putin non potrà scaricare tutta la colpa sui suoi uomini ancora a lungo - è la confidenza anonima di un colonnello al Telegraph -, siamo arrabbiati con Serdiukov, ma anche col premier».
Ma l’esercito ammalato di polmonite è solo il più inquietante dei segnali che la crisi economica manda al Cremlino. Allo Stato manca già il 35% delle entrate previste, e la valanga di disoccupazione (un milione di posti di lavoro in meno in due mesi), con un Pil che fa -3%, rompe l’incanto del «boom» putiniano, in un Paese dove tradizionalmente dei guai dell’economia viene incolpato il premier. Il presidente Medvedev ha rimproverato recentemente in pubblico Putin per non saper affrontare la crisi. E non si tratta solo di uno spettacolo a beneficio del pubblico: un mese fa, per la prima volta, l’ex delfino ha disobbedito al suo mentore, bloccando il licenziamento di un responsabile della polizia di Vladivostok, al quale Putin aveva ordinato di reprimere una manifestazione di protesta che chiedeva le dimissioni del premier. L’ufficiale si è rifiutato, forse sapendo che al Cremlino avrebbe trovato ascolto.
Medvedev ha proseguito la sua rivolta personale licenziando quattro governatori nominati da Putin, tra cui Egor Stroev, che governava Oriol da quando era ancora membro del Politburo. Ieri il genero dell’ex governatore Alexandr Rogaciov - ex generale del Kgb e imprenditore per conto del suocero - è stato trovato morto a Mosca con una pallottola in testa. Elettori in rivolta, militari arrabbiati, inflazione e disoccupazione, lotte a mano armata tra clan corrotti: la Russia sembra tornare rapidamente nei «maledetti Anni 90», dai quali Putin si vanta di aver salvato i suoi elettori.