Francesco Specchia, Libero 25/2/2009, 25 febbraio 2009
«GIORNALISTI IN GALERA». L’IRA DELLA REGINA DEI CELTI
Francesco Specchia per "Libero"
Certo, ai tempi fatati non sarebbe mai successo. Quando di giorno era zarina della Rai e di notte, smessi tailleurino e tacchi da dominatrice, sul web, si mutava in Regina dei Celti (nicknane "Cartimandua" vergine di Keltia: la nobile ascendenza conta...); ecco, quando Deborah - con l’acca - Bergamini svettava - nel reale e nel virtuale - tra le donne più potenti d’Italia, mai e poi mai, ella si sarebbe sognata di mandare in galera i giornalisti.
Anche perché, in fondo, era stata brillante giornalista lei stessa: Bloomberg a Londra; Analyses et Aynthès a Parigi; e lo staff di Berlusconi, che lei ammaliò in una conferenza stampa, nel resto del mondo. Certo, i giornalisti - ammettiamolo - sono un eczema della democrazia. Ma il potere, come diceva il suo Tolkien nel Signore degli anelli, va esercitato con clemenza; e, per la Regina dei Celti, allora, la soppressione della stampa era quantomeno inelegante.
No. Ai bei tempi, nel fiabesco 2007, la vendetta non era in listino. Però, arriva adesso. «Da 1 a 3 anni di carcere per il giornalisti che pubblicheranno conversazioni (anche solo il contenuto) non rilevanti ai fini dell’indagine o quelle di cui sia stata ordinata la distruzione»: è con quest’emendamento alla legge sulle intercettazioni presentato il 17 febbraio scorso, che Deborah Bergamini oggi deputato (che nulla ha a che fare con la Commissione Giustizia), richiede il gabbio per gli ex colleghi. In galera devono andare.
Che non sarà un atto elegante. Ma, insomma, l’eleganza è andata a farsi fottere da quando, due anni fa il Fato rapace la strappò ai sogni; e da quando Deborah si vide pubblicate le intercettazioni (anche private) in cui, da capo del marketing strategico Rai inciuciava col nemico Mediaset sull’organizzazione comparata dei palinsesti; e da quando fu invitata a dimettersi dalla Rai; e da quando si dimise, e scrisse nel suo blog e al Corrierone d’essere squassata dal dolore per colpa dei pennivendoli di Repubblica che l’accusarono d’essere ingranaggio della conradiana "Struttura Delta".
Ossia la loggia che governava da Cologno Monzese a Viale Mazzini, sull’anima stessa della nazione. Certo, Deborah era incazzatissima. Ma la galera, insomma, forse è un tantinello eccessiva. Oggi, per la cronaca, iniziato alla Camera il dibattito per la nuova legge, dopo qualche tentennamento dei colleghi del PdL ramo Forza Italia e un iniziale appoggio del ministro della Giustizia Alfano, l’intero Parlamento ha mollato l’ideale penitenziario della Bergamini.
Dal lato sinistro il Pd lo ritiene un «atto di oscurantismo totale» e Di Pietro «un ddl di alta valenza criminale», e via denunciando. Dal lato destro, per dire, l’avvocato Giulia Bongiorno, altra valkiria del centrodestra, si è espressa per il «diritto di cronaca incomprimibile»; e Paolo Bonaiuti, sottosegretario con delega all’Editoria intervenendo a Rainews24 si è detto «favorevole a una depenalizzazione della diffamazione da parte dei giornalisti, ricorrendo non più al carcere, ma a multe salate...».
Grazie. Considerando che l’intera stampa è scesa in campo, in una formidabile prova di forza con tutte le sigle dei giornalisti e degli editori tornati una volta tanto insieme; be’, si capisce che Deborah ha unificato politica e società civile contro sé stessa realizzando, suo malgrado, un’opera di rara democrazia.
Ora, in condizioni normali, se tutto il mondo, i nemici, gli amici, perfino il Moige e il telefono Azzurro, ti fanno notare che stai facendo una pirlata; insomma, ti dovresti, perlomeno, fermare a riflettere. Deborah, invece, in una nuova lettera al Corriere, avanza virilmente per la sua strada: «...miro a far rientrare nella tipologia dei reati delittuosi un’azione che oggi costituisce reato contravvenzionale».
E, oggi, in tanti sono a sussurrare che oramai Deborah, della sua uscita con ignominia dalle stanze del potere ne ha fatto un’ossessione personale. una roba a metà fra Freud e il Conte di Montecristo. Appena vede un giornalista, in Deborah affiora un orgoglio regale e barbarico; le s’infiamma dentro una voglia insopprimibile di schiacciare il cronista con una linotype, o d’impalarlo in ripetitore televisivo. Non è colpa sua. E dire che, una volta, le sue impetuose uscite erano strategicamente indirizzate.
C’era un tempo, in cui Dagospia la chiamava "Deborina" dalle camicie candide e dalle bionde trecce "lavate in casa per fare prima" citando le manager rampanti della New York di Candace Bushnell, quella della "giungla di rossetti" di Sex and The City. Era, Deborah, una femmina- caterpillar. Cronista di nera e di finanziaria, poliglotta, anchorwoman tv fu chiamata ad Arcore per sviluppare il "carattere multimediale" della campagna elettorale di Berlusconi.
Divenne, di Silvio, la segretaria perfetta, la spalla su cui accasciarsi, l’angelo custode nei mesi difficili della riorganizzazione postprodiana, della "traversata nel deserto". Deborah pianificava le riunioni supportata da colleghi maschi in eterna soggezione; e sovrintendeva la messa a punto del mitico "contratto con gli italiani" ideato dall’amico Luigi Crespi (finirà impigliata anche in un’intercettazione in cui lui ne richiedeva l’intervento presso il Cavaliere per un grosso debito);e si piazzava in sala montaggio in un giorno festivo come il primo Maggio, per controllare la diretta del concerto, ché -si sa- ai comunisti qualche cazzatella scappa sempre. Deborah, la Zarina, era addirittura in grado di agire sua sponte sui palinsesti.
Sua fu, ad esempio, l’idea di mettere Riccardo Berti al posto di Enzo Biagi prima e di Pigi Battista poi a Raiuno: il monoscopio in terza serata faceva più ascolti. Suo pure il progetto di appaltare ottanta puntate (ottanta, neanche David Frost con Nixon ci riuscì) del programma "Il Tornasole" di Andrea Pezzi scavalcando del tutto il cda Rai -che riuscì a balbettare quieto dissenso solo per bocca di Malgieri.
Il programma -a cui chi scrive, partecipò- era costosetto, con basso share e non s’impresse, diciamo, nella storia della radiotelevisione. E Deborah, per aver aiutato quel giovane colmo d’entusiasmo e di speranze, si beccò anche le malignità del caso (in Rai la chiamavano "la bambola di Pezzi"). Però, insomma, superò tutto.
Deborah - lo si è scoperto dopo- nascondeva il segreto del self control e della sua incrollabile tenacia, nelle frequentazioni extralavorative. Un rapporto di solida amicizia con Patrizio Paoletti, napoletano di professione «esperto di counseling e motivatore, un po’ leader un po’ guru» (scrive Corriere Style); e il suo regno in Internet, per tornare a bomba.
Deborah, al calar delle tenebre indossava nel web l’identità di Cartimandua, «in onore della regina dei Celti che governò sulla tribù britannica dei briganti dal 43 al 69 d.C.». E, da regina, viveva in Keltia, un mondo popolato di poeti-cantori (Taliesin), e di fedeli condottieri che la proteggono (Odhran). Dove frequentava le "grotte di Catullo", il "bosco di castagni" oppure la "piccola spiaggia sul lago Maestro", vicino alle conifere di Burgundia.
E dove sfarfallava in una prosa luminosa: «ho una nuova cotta. Luce di luna, strepito di tuono e abbraccio di ferro sono serviti al fido amico Odhran per omaggiare la sua regina ». Oppure: « Il mio regno di prati verdi e impetuosi corsi d’acqua non ha conifere».
Il 21 ottobre 2007, colpita dal dramma chiosò: «...ora il mondo di Kaltia deve lasciare spazio al mondo reale, quello in cui ho deciso di combattere in prima persona». Il suo blog lo pubblicò Libero. L’avessero intercettata in quel momento, forse, più che una legge ci scappava una fiction.