Milo Goj, Libero, 21/2/2009, 21 febbraio 2009
IL MERCATO DELL’ARTE TIENE
Va molto meglio della Borsa, delle commodity e in generale dei prodotti finanziari. Vince il confronto con l’immobile. E sta smentendo le previsioni funeree dei catastrofisti. L’arte sembra rappresentare oggi una buona scelta per i risparmiatori.
Per restare nella pittura e nella scultura moderna e contemporanea, la più diffusa tra i collezionisti, l’ultima asta londinese di Sotheby’s, lo scorso 5 febbraio, ha registrato il 90% del venduto e ha visto diversi pezzi andare oltre le stime. Un po’ meno bene ha fatto Christie’s l’11 febbraio, sfiorando comunque l’80% di aggiudicazioni. Nel complesso, le aste di febbraio hanno raccolto una cifra traducibile in 200 milioni di euro. Una somma di tutto rispetto, in una fase in cui di soldi liquidi se ne vedono pochi. E che mostra un’inversione di tendenza rispetto all’autunno, quando secondo l’Aiaf, l’Associazione degli analisti finanziari, il calo di prezzi alle aste sarebbe stato del 14%, con un forte aumento degli invenduti.
In effetti, nell’ultimo trimestre del 2008 regnava un pessimismo diffuso, come conferma un’indagine realizzata da Rics, Royal institution of chartered surveyors. Da cui emergeva un sentiment negativo (misurato come la differenza percentuale tra chi riscontrava che i prezzi crescessero e chi invece diminuissero), pari per la pittura moderna a -47 e per il contemporaneo a -41. Un clima cambiato con l’anno nuovo. A fine gennaio ad Arte Fiera Bologna gli espositori ottimisti superavano quelli pessimisti, confortati dall’affluenza del pubblico (oltre 50 mila visitatori) e da discrete vendite.
Il mercato dell’arte si sta dunque rivelando, in un periodo di crisi generalizzata, il miglior investimento, sia in termini di tenuta, sia di prospettive. A fare meglio è solo l’oro, bene rifugio per definizione, che però ci ha abituato ad alti e bassi. Mentre il trend dell’arte nel lungo periodo è crescente, pur con qualche inevitabile periodo di arretramento. L’ultima discesa dei prezzi risale al 1990-’91, quando le quotazioni scesero del 44%. Per poi moltiplicarsi nei 15 anni successivi. Nel solo quadriennio 2002-2006 il volume delle vendite è raddoppiato, toccando a livello mondiale quota 43,3 miliardi di euro. Forte la crescita anche in Italia: da 1,8 miliardi nel 2007 a oltre 2,5 miliardi nel 2008, nonostante le difficoltà dell’ultimo trimestre.
Tutto ciò ha una logica. Mentre il corso dell’oro dipende da movimenti speculativi o da momenti di paura (tende a salire in tempi di guerra), quello dell’arte è collegato alla vita reale. Nel mondo cresce il livello d’istruzione. Con la cultura aumenta l’interesse verso l’arte che, anche grazie ai media (ormai non c’è giornale che non vi dedichi ampio spazio), è diventata un fenomeno di costume, come confermano le file alle mostre e l’affluenza alle fiere. E con una massa di appassionati crescenti, non può che amplificarsi il numero di collezionisti, alimentando la domanda.
Questo non significa che il settore sia in una fase di salute scoppiettante. Le folli accelerazioni degli anni scorsi di artisti come Damien Hirst non ci sono più. «Ma forse è un bene», commenta Guido Galimberti, amministratore di Opera art advisoring, «il mercato non crolla, ma fa pulizia. Quelli che io chiamo artisti gossip, montati dalla speculazione o da fenomeni di moda, si stanno sgonfiando, a vantaggio degli autori veri. Certo, forse nel complesso i prezzi si sono abbassati, ma le opere di qualità, anche a quotazioni elevate, trovano sempre un acquirente».
Criteri di scelta
La ricetta di Galimberti, condivisa dalla maggior parte degli operatori, si compone di tre ingredienti. Il primo è puntare sugli artisti storicizzati. Il secondo è scegliere opere di qualità. Il terzo è non farsi influenzare dalla griffe: non tutto quello che un maestro ha prodotto merita di essere acquistato.
Ma c’è anche chi va controcorrente e punta sugli emergenti. Come Tiziana Ferrari, art advisor indipendente di contemporaneo internazionale. «I buy what i like, come diceva Charles Saatchi», afferma, «intendo dire che appena mi trovo davanti a un’opera d’arte mi faccio guidare dall’intuito. Che comunque si è affinato frequentando mostre e fiere internazionali». Ma in questo periodo difficile, consiglierebbe davvero degli emergenti? «Sì, la vera abilità sta proprio nell’investire negli artisti emergenti, più che su quelli consolidati che, proprio perché ormai storicizzati, hanno quotazioni elevate. Cito, tra gli altri Maria Friberg, Nathalie Djuberg, Jonathan Monk, Wolfgang Tillman, Rebecca Horn, Will Cotton. Poi tre cinesi: Chen Ke, della cosiddetta cartoon generation, Jiang Zhi, e lo scultore Huang Jan. Tra i più giovani, la svizzera Christine Streuli e il canadese Gareth Moore. In Italia, Vanni Cuoghi, Arcangelo Sassolino, Sarah Ciraci, Massimo Vitali, Livio Scarpella e Paolo Schimidlin».