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 2009  febbraio 19 Giovedì calendario

Made in Italy a New York - Se c’è qualcosa che le sfilate di New York possono insegnare alle settimane della moda europee (ieri è iniziata la London fashion week e mercoledì 25 febbraio parte quella di Milano, seguita a ruota da Parigi) è la capacità di reagire e di guardare al futuro, magari persino con un po’ di incoscienza, senza mai piangersi addosso

Made in Italy a New York - Se c’è qualcosa che le sfilate di New York possono insegnare alle settimane della moda europee (ieri è iniziata la London fashion week e mercoledì 25 febbraio parte quella di Milano, seguita a ruota da Parigi) è la capacità di reagire e di guardare al futuro, magari persino con un po’ di incoscienza, senza mai piangersi addosso. Gli americani sono proiettati verso tutto ciò che è nuovo, un atteggiamento naturale, forse potenziato dal vento di cambiamento portato dalla vittoria di Barack Obama. I dati della New York Fashion Week che si è chiusa ieri, con la sfilata del re della moda americana, Ralph Lauren, parlano chiaro: nonostante una decina di defezioni causa fallimento (è il caso di Kira Plastinina e di Bill Blass) o causa riduzione di budget (Vera Wang e Betsey Johnson ad esempio hanno optato per una presentazione in showroom), sulle passerelle di Bryant Park ci sono stati dieci debutti di altrettanti sconosciuti stilisti e il numero delle sfilate è rimasto lo stesso di settembre (circa 200). Anche se c’è chi ha preferito uno show collettivo al posto di passerelle personali, come Mara Hoffman, Sergio Davilla e Nicholas K, talenti newyorchesi non nuovi alla fashion week. «Dividendo alcune spese, che includono affitto degli spazi, luci e allestimento – spiega Kelly Cutrone dell’agenzia People’s Revolution – i tre designer hanno risparmiato almeno il 40%». Le sfilate, comprese le spese per modelle, truccatori, parrucchieri, stylist, dj e tecnici delle luci, difficilmente costano meno di 200mila dollari e per gli show di star come Marc Jacobs si dice che in passato si sia arrivati anche a un milione. Quest’anno tutti hanno cercato di risparmiare, persino Jacobs. Ma chi scommetteva su trionfi di grigi e neri, intonati al clima economico, è rimasto deluso: passerelle, feste e clima generale sono stati più spartani del solito ma quasi tutte le collezioni per il prossimo autunno-inverno erano vivaci e coloratissime. «Credo che il nostro settore si stia come resettando, tornando a ciò che contava davvero all’inizio, ossia vendere vestiti», ha spiegato Steven, executive director del Council of Fashion Designers of America (Cfda, equivalente della nostra Camera della moda). «Stiamo attraversando una fase di transizione, che coinvolge stilisti, consumatori, retail. Il crollo dei mercati di ottobre ha colto tutti di sorpresa e ora nessuno stilista ha potuto far finta di niente, tutti hanno capito di dover cambiare approccio». Al sostanziale clima di speranza hanno contribuito anche i marchi italiani: sulla Fifth Avenue sono stati inaugurati due giganteschi negozi di Armani e Diesel e il primo monomarca americano di Morellato. A Bryant Park hanno sfilato Miss Sixty e la linea Black Gold del gruppo di Renzo Rosso, mentre nel Meat Packing District è stata presentata la collezione ZZegna e domani sera, sul tappeto rosso della cerimonia di consegna degli Oscar, il made in Italy sarà ovunque. La moda resta il nostro biglietto di presentazione nel mondo. E in quanto tale andrebbe maggiormente considerata e tutelata.