Alessia Maccaferri, Il Sole 24 Ore, 12/2/2009, 12 febbraio 2009
IL DONO DELLA RICERCA
La filantropia nella scienza si fa strada tra Stato e mercato
Il dono della RICERCA
Le fondazioni alle prese con i metodi per scegliere i progetti da finanziare E per valutarne l’impatto effettivo
Alessia Maccaferri
DI ALESSIA MACCAFERRI
Un impianto di distribuzione del metano per gli autobus comunali ma anche al servizio dei cittadini che fanno una scelta ambientale. Il tutto con un piano finanziario che punta alla autosostenibilità e al ritorno dell’investimento, in modo che il capitale possa essere riutilizzato diversamente. Il progetto non è finanziato né da un’azienda di tecnologie sostenibili, né da un amministratore in campagna elettorale, come si potrebbe supporre. «Nessun privato avrebbe trovato redditizio investire in questo settore marginale - spiega Angelo Miglietta, segretario generale di Fondazione Crt, che investirà nel progetto nel Canavese -. Noi non possiamo alterare la concorrenza dei privati e non dobbiamo andare nei settori interessanti per il mercato. Allo stesso tempo non dobbiamo essere sostitutori di spesa pubblica».
Questa zona grigia tra il mercato e lo Stato dà un lusso: sperimentare logiche diverse dal profitto e dall’erogazione a fondo perduto. Uno spazio di innovazione che ai confini ha due paletti: il valore collettivo e gli stakeholder, ovvero tutti i portatori di interessi (beneficiari, associazioni, enti locali). E ora che la filantropia diventa la nuova porta a cui bussare quando i fondi per la ricerca si assottigliano, i confini diventano più rigidi. Come un’azienda che deve presentarsi di fronte all’assemblea degli azionisti o come un Comune che deve essere giudicato dagli elettori, la filantropia deve rendere conto agli stakeholder. Alla base di questa rendicontazione - garanzia di trasparenza - c’è la valutazione. Telethon, tra i maggiori finanziatori di ricerca in Italia (con 32 milioni di euro nel 2007) è partita proprio dai suoi stakeholder, cioè i malati e i loro familiari. Nel caso di questa fondazione che organizza ogni anno la raccolta fondi a favore della ricerca sulle malattie genetiche, la selezione è centrata sulla peer-review, strumento di imparzialità di giudizio. «La Commissione scientifica di 30 persone di cui il 90% lavora all’estero – spiega Lucia Monaco, direttore scientifico di Telethon - effettua una prima scrematura, in base a criteri come rispondenza al bando, fattibilità, completezza, originalità. In genere viene scartato un terzo dei progetti». I restanti vengono sottoposti prima all’esame di due referee stranieri, esperti del settore, poi di tre revisori della Commissione scientifica. E «il revisore conosce l’identità del candidato, mentre quest’ultimo non sa chi lo valuta» precisa Monaco. L’anno scorso è stato finanziato il 16% dei progetti.
Fino a pochi anni fa le fondazioni ex bancarie si affidavano a commissioni interne. «Ora stiamo elaborando delle linee-guida per i bandi di ricerca basati su peer-review - spiega Andrea Landi, presidente della Commissione ricerca scientifica di Acri, – Le fondazioni grandi e medie stanno adottando la cultura della peer-review». Un altro obiettivo è arrivare a condividere un’unica banca dati nazionale dei revisori esterni. «La peer-review, come i sistemi di citazioni, hanno una componente conformista crescente - aggiunge Miglietta -. Alla valutazione a priori noi preferiamo la valutazione del mercato, cioè la valutazione dell’efficacia e dell’efficienza che si misura sul terreno della concorrenza tra diversi soggetti filantropici». Per esempio, attraverso lo strumento del cofinanziamento. O la sostenibilità e autonomia del progetto.
La valutazione non si limita alla selezione dei progetti. Nella filantropia comincia a prendere terreno la valutazione dei risultati. La britannica Wellcome Trust - la prima charity in Europa con 770 milioni di euro di erogazioni - sta rinnovando il suo processo di valutazione. «Recentemente abbiamo introdotto la nuova politica che richiede a tutti i nostri ricercatori di pubblicare in open access ”, spiega David Lynn, a capo della Pianificazione strategica – I ricercatori finanziati devono depositare una copia delle loro pubblicazioni in open access al Uk PubMed». Nella valutazione ex-post, la fondazione ha adottato lo strumento del Researchers’ Profile: «Per un numero selezionato di ricercatori ogni anno il Trust crea una banca dati dei risultati e del loro impatto, disponibile sul nostro sito. Per ogni ricercatore c’è una storia e con un approccio narrativo, non solo quantitativo, vengono raccontati i risultati» aggiunge Lynn.
Ma come valutare l’impatto di un intervento? «Se una fondazione sostiene di avere incrementato di un x per cento il Pil di un’area - spiega Gianpaolo Barbetta, responsabile Unità strategica per la filantropia di Fondazione Cariplo -, come può dimostrarlo? Magari senza quel progetto l’economia locale sarebbe cresciuta di più. Allora perché l’analisi di impatto sia sensata va strutturata sin dall’inizio. Noi stiamo sperimentando uno studio randomizzato». Il randomized controlled trial è una tecnica comune nell’industria farmaceutica, che ora verrà applicata a un progetto sociale: si vuole verificare se la figura del tutor sul luogo di lavoro per i malati psichici sia efficace per il mantenimento di un’occupazione. A un gruppo di 150 persone viene offerto un servizio di tutoraggio, ad altre 150 no (campione di controllo). Se la figura del tutor funziona, la Fondazione Cariplo la proporrà come strumento-modello alla Regione Lombardia per le politiche dell’occupazione.
In Gran Bretagna il cerchio della valutazione si sta chiudendo con l’analisi dell’impatto sull’intera società: lo scorso novembre è stato reso pubblico un report sull’impatto economico della ricerca medica finanziata dalla filantropia e dallo stato. I cittadini inglesi ora sanno, per esempio, che per ogni sterlina versata da un contribuente o da un donatore per la ricerca sulle malattie cardiovascolari e la salute mentale, c’è un ritorno ogni anno tra i 37 e i 39 centesimi. Almeno sapranno che i soldi sono stati spesi a fin di bene, e bene.o
alessia.maccaferri@ilsole24ore.com