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 2009  febbraio 22 Domenica calendario

di MATTEO COLLURA PER IL CORRIERE DELLA SERA «Quella di Waterloo per lei è stata una vittoria o una sconfitta?», chiese una volta Sciascia a Borges; e la stessa domanda si sarà posta Sergio Romano, direttore della collana Corbaccio intitolata «I giorni che hanno cambiato il mondo», in cui è stato accolto il volume di Andrew Roberts, 18 giugno 1815 - Waterloo (pp

di MATTEO COLLURA PER IL CORRIERE DELLA SERA «Quella di Waterloo per lei è stata una vittoria o una sconfitta?», chiese una volta Sciascia a Borges; e la stessa domanda si sarà posta Sergio Romano, direttore della collana Corbaccio intitolata «I giorni che hanno cambiato il mondo», in cui è stato accolto il volume di Andrew Roberts, 18 giugno 1815 - Waterloo (pp. 168, euro 16,60). da considerare una vittoria o una sconfitta l’esito di quella battaglia combattuta in Belgio? Lo storico Roberts è per «la vittoria», considerati i benefici – sostiene – che direttamente o indirettamente ne derivarono non solo all’Europa. Roberts, inglese, non può stare dalla parte di Napoleone, anche se, nel descrivere la carneficina di Waterloo, egli mostra di voler essere obiettivo. L’imperatore dei francesi sbagliò, quel giorno, e per lui fu la fine. Una fine annunciata, oltre che sperata, da gran parte del Vecchio Continente. Di questo è spia il titolo originale del libro: Waterloo. Napoleon Last Gamble. «L’ultimo azzardo»: quello di un uomo che aveva vissuto d’azzardo, battaglia dopo battaglia, conquista dopo conquista. così? Noi riteniamo sia ancora pertinente l’interrogativo del Manzoni: «Fu vera gloria?». Sospeso il giudizio, restano la battaglia, la località dove fu combattuta, i documenti che ne svelano i risvolti, le testimonianze rimaste negli archivi, le deduzioni degli strateghi. Su questo ha lavorato Roberts, giungendo alla medesima conclusione del moralista americano dell’Ottocento Wendell Philips: «Alla fine ogni uomo incontra la sua Waterloo». Ragion per cui, niente da fare, quella volta, per il grande imperatore. Anche perché egli – come il suo avversario Wellington – dovette fare i conti con quella serie d’imprevisti che – lo spiega Tolstoj in Guerra e pace – condizionano l’esito di ogni battaglia. Piovve tutto il giorno prima e tutta la notte in quell’angolo di Belgio. Una pioggia che Dennis Wheeler, climatologo dell’Università di Sunderland, dopo aver indagato sulla carta del tempo, definì «apocalittica». Questo significò fango e terra molle, che s’incollò agli stivali e frenò la corsa distruttiva delle palle di cannone, oltre che rallentare il trasporto dell’artiglieria. Scrive Roberts: «Trascinare un cannone da dodici libbre su per un pendio, in mezzo al fango, non era un’impresa da poco; e la gran batteria di Napoleone a Waterloo era costituita da sessanta cannoni e venti obici». Anche la stagione ebbe un ruolo importante. Il grano, «alto fino al petto e in alcuni campi fino alla spalla», nascose contingenti e truppe e ne rallentò l’avanzata. La battaglia fu vinta «di stretta misura» dagli alleati, i quali, nell’efficace narrazione di Roberts, non mancano di ammirevole understatement («Come ve la state cavando, Halkett?». «Signore, ci stanno facendo a pezzi. Potete darci il cambio per un po’?». «Impossibile». «Molto bene, signore, resisteremo finché anche l’ultimo uomo non sarà caduto»). E dall’altra parte? «La Guardia muore ma non si arrende!».