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 2009  febbraio 22 Domenica calendario

BUDIRIRO

(Zimbabwe) – Maganaka (il buono) ha 8 mesi e una famiglia ristretta. Nei giorni di Natale il colera gli ha portato via papà, nonno, sorella e bisnonna. Ora sono in tre. La madre lo allatta nella penombra (anche oggi niente corrente), la nonna lo guarda da una poltroncina sfondata. La pioggia fa tracimare i rigagnoli di fogna a cielo aperto tra una catapecchia e l’altra in questa township alla periferia di Harare.
«Non li perdonerò mai», dice la nonna. «Comrade Bob e i suoi amici mandano i figli all’estero, e noi qui a morire come bestie». Il «compagno » Robert Mugabe è al potere dal 1980. Il presidente ha ingoiato la nascita del governo di unità nazionale, con il «nemico» Morgan Tsvangirai premier e ministeri da spartire: «Ma è come mettere pomodori marci con quelli buoni» dice la mamma di Maganaka: lei i pomodori li compra al mercato e li rivende per strada (sei, un dollaro). «Speriamo che Tsvangirai risollevi questo Paese».
Un peso immane, se dall’estero non arriveranno aiuti per 5 miliardi di dollari. Nello Zimbabwe dei record mancava il colera. Speranze di vita 35 anni, 25% affetti da Hiv/Aids, inflazione a 9 sestilioni (30 zeri), 94% disoccupati, 7 milioni su 12 sopravvivono grazie agli aiuti alimentari da fuori, 4 milioni scappati all’estero. Lui l’esilio no: il dittatore ai tempi del colera non se la passa male. Ieri ha compiuto 85 anni (nello stesso arco di tempo passano tre generazioni). Il 28 febbraio festa pubblica nella provincia natale di Chinoyi. Si parla di 8.000 aragoste, champagne, anatre e carrettate di cioccolatini per la festa privata in casa (3 piani e un parco di 13 ettari) a Borrowdale, la zona ricca di Harare. Aragoste per gli ospiti: se «il compagno Bob» è arrivato a quota 85, portando al collasso quello che fino a 15 anni fa era il granaio dell’Africa, è anche perché sa contenersi (non come la moglie Grace, sua ex segretaria detta first shopper per la mania delle compere). Dicono sia quasi vegetariano, sveglia prima dell’alba, yoga, niente colazione, tanto tè e sadza, il tradizionale purè di mais). Certo non si fa mancare niente: ha appena comprato casa a Hong Kong, dove studia la figlia ventenne Bona. Dalla sua doccia acqua pulita. Dai suoi giornali solo elogi: una pagina a firma del ministro della Difesa sull’Herald (i media sono in mano ai fedelissimi) celebra la sua costanza di «poderoso coccodrillo».
Intanto il colera aspetta nuove vittime ai funerali di quelle vecchie. Il padre di Maganaka è stato infettato così, alla cerimonia funebre di un lontano zio. Legami sociali e diffidenza. «Nessuno dei vicini ci ha prestato una macchina o un carretto – dice la nonna – abbiamo dovuto portare mio marito all’ospedale con la carriola. Non ho neppure potuto onorarlo: l’hanno messo in un sacco e non l’ho visto più». Come fate con l’acqua? «La cisterna dell’Unicef, ore di coda per 20 litri a persona. Ma per il gabinetto prendiamo quella del canale». Dove finisce la fogna. «E cos’altro possiamo fare?».
Il colera accelera. Dall’agosto 2008 80 mila casi, 3.800 vittime. Peggioramento, dice il bollettino Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità). «Medici Senza Frontiere» ha aperto 300 piccoli centri, spesso un paio di tende ciascuno. Ma lo Zimbabwe è più vasto dell’Italia, i villaggi remoti. L’infezione all’intestino può prosciugarti in 5 ore di diarrea e vomito. Pensare che è curabile: «Due giorni di flebo e sei in piedi », dice un giovane medico. Lo chiameremo JD. Rischia 20 anni di carcere, anche se quel che dice non è segreto di Stato: «La sanità pubblica non esiste più. Noi e gli infermieri non veniamo pagati. Stipendi in valuta locale, inflazionata. Con un giorno di lavoro non compri due banane ». Non è immorale? « doloroso. Ma questo non è sciopero. denuncia. Siamo stanchi di veder morire la gente perché negli ospedali mancano le cose più semplici, come le flebo». E allora? «I primari girano i pazienti ricchi nelle cliniche private ». I poveri? «Muoiono a casa. Va un po’ meglio rispetto a 2 mesi fa. C’è un medico all’emergenza e uno in sala parto». Però «le neomamme si devono portare medicine, guanti, tutto», dice l’infermiera TN. Costo di una nascita: 100 dollari. E i dirigenti? «Non si presentano».
Gli ospedali pubblici di Harare, il Centrale e il Parirenyatwa, sono controllati da spie della polizia. Un amico si finge tirocinante, in mano un libro sulle malattie tropicali. Nessuno ci ferma. Accettazione chiusa. In un corridoio due brandine, ragazzi feriti in un incidente. Hanno ricevuto un’iniezione antidolore in 12 ore, niente cibo e acqua. Per il resto piani e piani di reparti deserti e lucchetti. I cartelli invitano al silenzio, «nell’interesse dei malati».
Presidente
Robert Mugabe, 85 anni. Ha accettato che Tsvangirai fosse premier dopo una lunga crisi Sepoltura Una famiglia dello Zimbabwe dà l’estremo saluto a un suo congiunto morto di colera a Seke Chitungwiza, 25 km da Harare ( Afp/Desmond Kwande)
Michele Farina