Antonio Gnoli, Repubblica, 24/2/2009, 24 febbraio 2009
QUEL BLUFF DI CINCINNATO
Intervista a Luciano Canfora.
La storia non conosce molti esempi di dimissioni. Almeno di quelle eclatanti, plateali, improvvise, che lasciano il segno e si tramandano nel tempo. Le più celebri discendono da Lucio Quinzio Cincinnato che solo dopo 16 giorni di esercizio del potere, sconfitti gli Equi che erano un pericolo per i romani, se ne torna al suo campicello.
«Il caso di Cincinnato corrisponde solo in parte all´idea che noi abbiamo delle dimissioni», osserva Luciano Canfora. «Quello di Cincinnato fu un bluff. Certo, con il suo gesto passò l´idea di un capo che si ritira dopo aver fatto il suo dovere. Ma la verità è che a Cincinnato venne affidata la dittatura, cioè una magistratura un po´ speciale. Gesto bellissimo, le dimissioni, ma costituzionalmente non anomalo perché la dittatura era una forma di potere a tempo. Poteva al massimo durare sei mesi».
Distrugge un mito?
«Semplicemente gli do la giusta proporzione. Poi è anche vero che lasciò il potere».
Come Celestino V, un sant´uomo che fece il gran rifiuto.
«La cosa è controversa. C´è perfino chi sostiene che dietro quel gesto c´era l´ordine dei templari al quale lui obbedì. Ma resto della convinzione che abbia ragione Dante quando scrive "che fece per viltade il gran rifiuto"».
In ogni caso è un atto di nobiltà separarsi dal potere.
«Spesso lo si fa perché obbligati. I casi di dimissioni che io conosco sono tutti un po´ inquietanti. Pensi alle dimissioni di Luigi Facta. Siamo nel 1922. Lui è il Capo del governo, chiede lo stato d´assedio, i ministri lo votano, il Re lo sconfessa. A quel punto si dimette e Vittorio Emanuele dà l´incarico a Mussolini. Un altro caso è quello di Bethmann- Hollweg».
Era Primo ministro in Germania.
«Più esattamente aveva la qualifica di cancelliere. Viene costretto alle dimissioni. Il capo di Stato maggiore Ludendorff gli manda il principe ereditario a comunicargliele. L´alternativa che gli si presenta è secca: o va via o ci sarà un colpo di stato. Corre l´anno 1917, Bethmann è incline alla pace. Ludendorff per l´inasprimento del conflitto. Si chiarisce cosa c´è dietro quel gesto».
Ci si dimette anche per altri motivi.
«Mi fa pensare a Vittorio Emanuele III che abdica a favore del figlio Umberto in piena campagna elettorale per il referendum su monarchia o repubblica. Lì era chiaro che con quel gesto pensava di guadagnare i favori del popolo lanciando un ipotetico nuovo sovrano. Togliatti, allora ministro della giustizia, fu durissimo contro quell´abdicazione che aveva tutta l´aria di essere un´operazione politica.».
Poi ci sono quelli che le dimissioni non le danno anche quando sono richieste.
«Mi viene in mente Stalin, il quale non si ritira da segretario del partito nonostante nel testamento di Lenin si dica esplicitamente che deve essere rimosso. il 1924, la lettera viene letta a una élite del congresso, tra cui Trostkij, Bucharin, Zinoviev. E si apprende che Lenin lo giudicava un leader troppo violento per essere a capo di un partito. Stalin abilmente rovescia il giudizio, sostenendo che la sua inflessibilità è rivolta solo ed esclusivamente contro i nemici del popolo. Del resto non si dimetterà, e questa volta giustamente, neanche in seguito, quando la Germania nel 21 giugno del 1941 attaccherà l´Unione Sovietica».
Perché in questo caso era giusto che non si dimettesse?
«Perché era un momento eccezionale, con una guerra in arrivo non si lascia il potere. Poi ci sono le dimissioni in tempi normali. Credo sia giusto lasciare, dopo uno scacco elettorale. un gesto corretto, soprattutto in democrazia. C´è una frase di un autore francese dei primi dell´Ottocento, Augustin Scribe, il quale dice: "è cosa ottima dimettersi al momento giusto"».
Poi c´è l´attaccamento al privilegio.
«Ma questo riguarda soprattutto i politici mediocri».
C´è un diverso modo di uscire di scena tra gli antichi e i moderni?
«Possono cambiare le modalità, ma la sostanza è sempre quella. Pericle si farà eleggere per ben 430 volte di fila come stratego. L´unica volta che non lo eleggono è quando la guerra sta andando male e il popolo non ne può più del conflitto. Non è facile andarsene, cambiare vita, tornare nell´anonimato. Nelle pagine finali del libro di Roberto Michels, Sociologia del partito politico, c´è la descrizione di come si svolge la dinamica della lotta al vertice del potere tra i gruppi dirigenti. E Michels commenta che nessuno esce di scena spontaneamente e che la vicenda di queste élite che si combattono, gli ricorda le onde del mare che si scalzano a vicenda».