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 2009  febbraio 24 Martedì calendario

FERGUSON, IL MITO CHE PERDE SOLO CONTRO SUA MOGLIE

C’erano ancora Margaret Thatcher e il muro di Berlino. Cristiano Ronaldo e Wayne Rooney avevano un anno. Non si può visitare il museo Ferguson, e apprezzarne le opere esposte, senza risalire a quel 1986 in cui il destino pose la prima pietra. Manchester United si pronuncia in due modi: Matt Busby, l’uomo che lo ricostruì dopo la tragedia di Monaco di Baviera; Alex Ferguson, il manager che ne ha scolpito l’età d’oro. Scozzesi entrambi, come Bill Shankly, il padre del grande Liverpool. Ferguson, l’Inter, l’ha già assaggiata ed eliminata nel marzo del 1999, poco prima di diventare «Sir»: 2-0 a Old Trafford, 1-1 a San Siro.
In attesa di Mourinho, o di chissà chi, è, oggi, l’allenatore più vincente al mondo. Ha l’hobby dei cavalli e del buon vino, mastica «gomme» a ogni partita e quando perde la testa, la perde sul serio: umiliato dall’Arsenal nella Coppa d’Inghilterra, diede una pedata a una scarpa abbandonata nello spogliatoio e la suola, buongustaia, trovò asilo in un sopracciglio di Beckham: i tabloid si leccarono i baffi.
Alexander Chapman Ferguson, classe 1941, è un duro per scelta e, soprattutto, per radici. Papà manovale, mamma bigotta, l’infanzia incollata alle fabbriche di Govan, sobborgo operaio di Glasgow. «Ho sempre respirato spirito di gruppo». E guai ai traditori. Sir, ma anche «hairdryer», asciugacapelli, per i terrificanti cazziatoni che distribuisce. Centravanti dal gol facile, usò l’Aberdeen come fionda per la carriera di allenatore: «scudetti», coppe e, addirittura, una Coppa delle Coppe strappata al Real. Lo United lo reclutò al posto di Ron Atkinson. Il titolo mancava dal 1967, dall’epoca, cioè, di Bobby Charlton e George Best. Ferguson rischiò l’esonero, dal momento che il primo trofeo (Coppa d’Inghilterra) non arrivò che quattro stagioni dopo.
Da allenatore a manager, il passo non è breve e neppure trascurabile. Essere tecnico significa fare il tecnico. Essere manager, fare «anche» il tecnico. Lo ha rinfacciato, orgoglioso, a Mourinho. La storia si è occupata di lui non per la qualità del gioco, ma per la quantità degli scalpi raccolti. Sir Alex non è un rivoluzionario alla Rinus Michels, sarto del calcio totale. I suoi modelli sono più terrestri, da Jock Stein, il Rocco scozzese, a Marcello Lippi e la sua Juventus, molto studiata e molto invidiata (1997: «Vorrei Zidane, l’unico giocatore al mondo che ci può migliorare»).
I cicli di Ferguson vanno divisi per «sette»: in principio fu Bryan Robson, un regista, poi Eric Cantona, un trascinatore, quindi David Beckham, un cesellatore, per finire a Cristiano Ronaldo, un tuttologo. Cantona è stato il totem del primo «scudetto», conquistato nel 1993. Con l’avvento della Premier League, il francese aiutò il Manchester a diventare una squadra non solo vincente ma anche teatrale, nel senso alto del termine. A ruota, David (Beckham) e i molteplici Golia di una irripetibile covata: i fratelli Neville, Ryan Giggs, Paul Scholes. La Champions del 1999, sfilata al Bayern di Lothar Matthaeus, ne riassunse meriti, fortune e splendori. Veltroni avrebbe liquidato la cessione di Beckham al Real come un segnale di «discontinuità». Non che i galli nel pollaio fossero diventati troppi, ma ce n’era uno che lo aveva trasformato in un set.
Magari, un giorno pure Cristiano Ronaldo finirà a Madrid, ma i tempi non sono ancora maturi. L’ultimo United - la squadra che si è arrampicata in cima all’Europa e al Mondo - ha pensionato la forza bruta di Roy Keane e non applica più il 4-4-2 sistematico della tradizione, si è aperto a Tevez e Berbatov, ha rianimato Van der Sar. Un solo cruccio: Ruud Van Nistelrooy, 150 gol per la miseria di uno «scudetto» e una FA Cup. Troppo, per così poco. E poi il pubblico: troppo viziato. Per tacere della moglie Cathy: «Al diavolo l’amichevole, oggi ti tocca il trasloco». Era l’agosto del 2007: «Il Times ha scritto che sarei l’uomo più potente dello sport. Ma se non lo sono nemmeno a casa mia...». Cathy è la sua bussola: nel 2002, quando stava per gettare la spugna, fu lei a intimargli di andare avanti. «Dimissioni? Non scherzare».
La difesa è a pezzi, il museo Ferguson fa tappa al Meazza senza antifurto. Sir Alex, sir Panico. E quel tipo alla cassa sembra proprio Mourinho.