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 2009  febbraio 21 Sabato calendario

Via libera ai «Tremonti-bond». Dovrebbe essere una buona notizia, che lo Stato aiuti le banche a rafforzare il proprio capitale, in modo che non si interrompa il credito alle imprese

Via libera ai «Tremonti-bond». Dovrebbe essere una buona notizia, che lo Stato aiuti le banche a rafforzare il proprio capitale, in modo che non si interrompa il credito alle imprese. Eppure ieri l’ha accolta in Borsa un altro capitombolo dei principali titoli bancari. La causa sta in un nuovo equivoco. A una prima lettura, il testo finale delle disposizioni attuative, al quale la Commissione europea ha dato via libera ieri, sembrava prevedere un possibilità in più, per lo Stato: diventare azionista. Ad alcuni esperti la cosa è parsa subito strana, perché nell’articolo 12 della legge 2 (che ha convertito il decreto anticrisi) non c’è scritto nulla del genere. Ma altri, compresi alcuni banchieri, non hanno capito. Nel clima di tensione estrema della Borsa, e a ruota dell’equivoco di giovedì, causato dalle parole di Silvio Berlusconi sulla nazionalizzazione delle banche discussa nel G-7, è parso l’indizio di problemi più gravi: Intesa Sanpaolo ha perso il 15%, Unicredit l’8,7%. Nessuna nazionalizzazione, invece. Il provvedimento prevede soltanto che lo Stato sottoscriva speciali obbligazioni (convertibili in azioni ordinarie «solo su richiesta dell’emittente») che saranno conteggiate nel «patrimonio di vigilanza» censito dalla Banca d’Italia. La frase fraintesa aggiunge che saranno possibili emissioni anche a tassi meno onerosi per le banche di quelli voluti dall’Ue, purché ad esse partecipi almeno un 30% di privati. In questo caso - che ricalca il simile provvedimento austriaco - anche lo Stato accetterà una remunerazione inferiore. L’equivoco nasce dal gergo: «la possibilità che lo Stato partecipi alle ricapitalizzazioni qualora vi sia una partecipazione di investitori privati pari ad almeno il 30%» era parsa l’annuncio di aumenti di capitale. Molti banchieri sono invece contenti, perché potranno rafforzare il capitale in via temporanea a un costo non proibitivo. Il testo finale elimina il premio di rimborso nei primi quattro anni; le banche che ricorreranno ai bond prevedono appunto di restituirli in questo arco di tempo. La vera novità, ora, è che potrebbe cambiare idea Alessandro Profumo, ad di Unicredit: «sono significativamente migliorati, valuteremo». Intesa Sanpaolo aveva già annunciato che se ne sarebbe servita e lo conferma: «Siamo interessati», dice il direttore finanziario Carlo Messina, dopo che un «lavoro eccezionale da parte del ministero dell’Economia» ha modificato le condizioni iniziali, troppo onerose. Il presidente dell’Associazione bancaria Corrado Faissola valuta positivamente questa soluzione «riservata alle banche giudicate fondamentalmente solide». Nella versione finale il tasso annuo sarà dell’8,5%, ma non ci saranno alcune clausole, principale delle quali il premio di rimborso, che avrebbero reso l’intervento ancora più difficile. Anche la Banca centrale europea, per bocca di Lorenzo Bini-Smaghi, le aveva giudicate troppo pesanti. La nuova dotazione di capitale non potrà superare «il 2% del valore dell’insieme delle attività della banca ponderate per il rischio». Il ministero dell’Economia saluta con soddisfazione il sì europeo a un provvedimento «efficace per il finanziamento alle imprese» e che «sarà il presupposto per l’adozione nel settore finanziario di regole e codici etici nuovi».