Filippo Tommaso Marinetti di Giordano Bruno Guerri, Le Scie, Mondadori, 2009. pagg. 98- 100, 24 febbraio 2009
FILIPPO TOMMASO MARINETTI
di Giordano Bruno Guerri - pagg. 98- 100 : Un altro regno da conquistare, o almeno da cambiare, era quello del libro. Come editore, Marinetti badava molto di più a diffondere i volumi che agli utili della casa editrice. Girava spesso con una borsa piena di libri, non soltanto i suoi, e li regalava a chiunque, per esempio in treno. Un bibliofilo di oggi, Giampiero Mughini, ama dire che è più facile trovare un libro di Marinetti con dedica che senza dedica.
Oltre ai volantini e alla pubblicità, un mezzo per far conoscere e diffondere le «Edizioni futuriste di Poesia» fu il «soffietto», con il quale Effetì dava alla stampa suggerimenti di recensioni o stimoli. «Noi riserviamo le Edizioni futuriste di Poesia a quelle opere assolutamente futuriste che per la violenza e l’estremismo del pensiero e per le difficoltà tipografiche non possono essere pubblicate dagli altri editori». Mandava in regalo una parte cospicua dei volumi a chiunque facesse opinione o che avrebbe cooptare nel movimento. Gli invii dovevano essere sempre accompagnati dalle dediche degli autori. Palazzeschi ricorderà il supplizio patito all’uscita dell’Incendiario:
Non appena in mille copie fu stampato il libro, trattandosi di consegnare i consueti omaggi alla stampa e a qualche amico, Marinetti a tale proposito mi consegnò un grosso scartafaccio che presi a fogliare con progressivo sgomento. Si trattava di settecento e più nominativi con relativo indirizzo e ai quali con tanto di dedica si doveva mandarlo. Le poche e sparute copie rimaste sarebbero state dispensate ad alcuni librai delle principali città senza un minimo di fretta come fatto di nessuna importanza dopo quel tutto esaurito che lo aveva preceduto.
La nota comprendeva le più svariate persone e i più insospettabili personaggi: uomini politici e di cultura, professori, industriali e professionisti, gentildonne e gentiluomini, fra i quali risultavano quali astri di prima grandezza proprio quelli che si sapeva essere i più feroci e irriducibili nemici di una tale impresa, e che lo avrebbero con infamia e magari bruciato, ma erano proprio quelli che non lo volevano, secondo la teoria di Marinetti, che dovevano averlo [...] Mi [... ] dichiarai impreparato nel modo più preciso a scrivere centinaia di dediche a persone che non conoscevo[…] «Le dediche te le detto io», rispose Marinetti.
In qualche caso Effetì pensò di accompagnare il volume o la rivista con un dono:disegni, o, a Natale, un panettone, dolce che amava. Questa strategia antieconomica suscitava ironie e e suggeriva previsioni nefaste sul destino di una simile impresa editoriale. Prezzolini, per esempio, su «La Voce» etichettava Marinetti come un «disorganizzatore»: «Chi è mai stato così imbecille da comprare un libro futurista quando sa che inviando biglietto da visita a F.T. Marinetti, Corso Venezia, se ne vedrà scaraventare dalla posta un intero pacco, e più tardi, riceverà regolarmente tutti quegli altri che l’officina va pubblicando?». Prezzolini non capiva che a Effetì premeva di più far conoscere il futurismo che guadagnarci sopra.
Sceglieva i libri da pubblicare, ne curava la veste tipografica, a partire dalla copertina. Oltre a essere tra i primi a intuire l’importanza della confezione editoriale, abbandonò le preziosità estetizzanti della tradizione dannunziana, con una vera rigenerazione estetica del prodotto-libro. La prima novità rilevante fu il foglio ripiegato, per contenere i poemi paroliberi. Spesso i volumi avevano formati tali da impedire che finissero in una libreria, considerata un luogo di antiquariato culturale. C’erano libri che avevano come copertina la busta con la quale venivano inviati, libri formati da cartoline sciolte, stampati in carta di colore e qualità diversa con inchiostro argenteo per richiamare il metallo. Si immaginarono anche libri a forma di ombrellini, che si richiudono come organetti, che vengono inscatolati come pomodori: il meraviglioso Scatole d’amore in conserva di Marinetti, con disegni di Ivo Pannaggi, pura pop art trent’anni prima di Andy Warhol.
Non mancheranno i libri imbullonati come il Depero futurista (1927), che prevedeva la possibilità di cambiare l’ordine delle pagine e che non doveva essere messo in libreria bensì «adagiato sopra un coloratissimo e soffice-resistente CUSCINO DEPERO»: oggi è una rarità che i collezionisti sono disposti a pagare una discreta fortuna. Poi le «lito-latte», volumi litografati su latta (le Parole in libertà API turiste olfattive tattili termiche di Marinetti nel 1932; L’anguria lirica di Tullio d’Albisola, del 1934, illustrata da Bruno Munari) e Il Poema del vestito di latte (1937) di Marinetti, stampato su fogli trasparenti di cellofan e curato da Munari. Tutto ciò rappresenterà l’esito estremo di una ricerca tendente a fare del libro anche un oggetto, godibile in quanto tale.
Durante il processo a Mafarka, Effetì si era vantato, a ragione, di non essersi mai servito «in modo basso e banale» dell’eredità paterna: «Mi sono avvalso, anzi, della mia posizione indipendente per attuare un mio vasto e audace progetto di rinnovamento intellettuale e artistico in Italia: quello di proteggere, incoraggiare ed aiutare materialmente i giovani ingegni novatori e ribelli che quotidianamente vengono soffocati dall’indifferenza, dall’avarizia o dalla miopia degli editori».