Flavio Pompetti, il Messaggero 23/02/2009, 23 febbraio 2009
FLAVIO POMPETTI PER IL MESSAGGERO
NEW YORK Tempi duri persino per il re delle pietre preziose: il diamante, gioiello per eccellenza delle coppie sulla via dell’altare e investimento di rifugio per miliardari scoraggiati dall’andamento dei mercati finanziari.
La notizia viene naturalmente dal Botswana, dove la società De Beers, che controlla da sola il 40% del mercato mondiale dei diamanti ha dovuto prolungare le feste natalizie dei suoi lavoratori per cercare di compensare un calo della domanda del 20%.
I numeri della crisi vengono invece dai grandi negozi di gioielli nel mondo come Tiffany, che negli ultimi mesi sta avendo grandi difficoltà a vendere questo tipo di preziosi, a dispetto degli sconti che ormai sono offerti sull’intera ”linea di produzione”.
Insomma, non è più un segreto il fatto che la crisi abbia raggiunto anche i vertici della ricchezza: un’indagine della Prince & Associates recentemente pubblicata dal Wall Street Journal mostra che l’80% dei plurimilionari americani che ammettono di avere un’amante sono anche disposti a dichiarare che saranno costretti quest’anno a tagliare le spese di mantenimento, comprese quelle destinate ai regali, e presumibilmente quelle per i gioielli.
Il fenomeno ha invece ben altro peso quando si pensa che dall’economia del diamante dipende la sussistenza di interi Paesi come appunto il Botswana, il Sudafrica e l’Angola, che detengono la gran parte della materia prima del pianeta, e la cui stabilità dipende in gran parte dall’uso della risorsa naturale.
Il prezzo della pietra preziosa è stato in continuo aumento nello scorso decennio, e ha avuto il momento di picco solo nello scorso settembre, quando l’attività estrattiva era ancora condotta a marce forzate.
La nuova domanda proveniente dall’India e dalla Cina, i Paesi emergenti, aveva gonfiato negli ultimi anni il volume globale del mercato oltre i 22 miliardi di dollari di fatturato, e la De Beers, titolare di una fetta pari quasi a 9 miliardi, era in grado di regolare i prezzi semplicemente aprendo o chiudendo i rubinetti della produzione. Nel frattempo però la base degli estrattori si è frammentata con l’arrivo di nuovi protagonisti che hanno aggirato le aste annuali condotte dalla De Beers e hanno inflazionato il mercato con nuovo prodotto.
Il tracollo è avvenuto nei mesi autunnali, in concomitanza con l’esplosione della crisi globale, ed è stato tanto repentino e profondo da smantellare qualsiasi manovra di arginamento. Oggi Paesi produttori come l’Angola e la Russia, nel tentativo di frenare la caduta dei prezzi, sono costretti a ritirare parte del prodotto dal mercato con acquisti massicci operati direttamente dalle casse del Tesoro, che sono ora minacciate da una caduta della domanda del 50%, e da previsioni al ribasso per tutto il 2009. Chi può permetterselo farebbe comunque bene ad approfittare della situazione per comperare: le riserve attuali non dureranno più di vent’anni, e i prezzi non potranno che risalire nel tempo.